venerdì, aprile 21, 2006

Nuke Greenpeace

Today, there are 103 nuclear reactors quietly delivering just 20 percent of America's electricity. Eighty percent of the people living within 10 miles of these plants approve of them (that's not including the nuclear workers). Although I don't live near a nuclear plant, I am
now squarely in their camp.

And I am not alone among seasoned environmental activists in changing my mind on this subject. British atmospheric scientist James Lovelock, father of the Gaia theory, believes that nuclear energy is the only way to avoid catastrophic climate change. Stewart Brand, founder of the "Whole Earth Catalog," says the environmental movement must embrace nuclear energy to wean ourselves from fossil fuels. On occasion, such opinions have been met with excommunication from the anti-nuclear priesthood: The late British Bishop Hugh Montefiore, founder and director of Friends of the Earth, was forced to resign from the group's board after he wrote a pro-nuclear article in a church newsletter.

parole del solito sciagurato libertario di destra à la Cato Institute? Non del tutto. Parole di Patrick Moore, fra i fondatori di Greenpeace.
Tralascio l'accusa di essere passato "dall'altra parte", accusa lanciata da Andrew Leonard a Salon. Troppo facile sostenere che il Post ha torto a definire Moore un esperto di tematiche ambientali, solo perche' non e' piu' dalla "parte giusta".



Credo pero' che riguardo al nucleare si rischi di passare da un eccesos all'altro, a spese del contribuente, senza invece trattare lìenergia nucleare per quello che e' : una tencologia, con i suoi costi ed i suoi benefici, soggetti ad analisi ed a scelta.
In un passato recente, l'energia nucleare viene trattata come il Diavolo e le centrali atomiche erano considerate bocche dell'Inferno. SPero che lo spirito di crociata non contagi anche le fila dei sostenitori del nucleare.

Personalmente, sono favorevole alla fine della preclusione contro la costruzione di centrali nucleari, nonche' ad una maggiore liberta' di costruzione di rigassificatori e centrali a carbone, a patto che le aziende energetiche ne sopportino i costi diretti ed indiretti: in questo, Taradash ha ragione.

Le mie riserve riguardano i risultati di un'analisi costi-benefici, che temo lo renderebbe economicamente interessante soltanto in periodi come quello attuale: a meno di ipotizzare un prezzo del petrolio costante - o quasi - sui livelli attuali, una centrale nucleare e' antieconomica, a causa degli elevatissimi costi fissi d'impianto e di smantellamento . L'Economist, ad esempio, ha avuto a lungo una posizione contraria al nucleare proprio per motivaizoni economiche. Per fare un altro esempio, la profittabilita' delle centrali francesi, e' almeno in parte un miraggio, legato all'assunzione, da parte del governo, di numerosi oneri legati proprio ai costi di costruzione ed alllo smaltimento delle scorie.
Questo non implica che il nucleare sia fuori gioco, o che l'Occidente abbia compiuto una scelta corretta, negli anni '70 ed '80, abbandonando la via nucleare: e' stato un errore madornale e si potrebbe sostenere che tale scelta e' una delle cause dell'alto costo della costruzione di centrali nucleari, per le quali il problema e' di tecnologia e di scala.
Se non avessimo perso due decenni e non avessimo azzerato l'impiantistica nel settore, e' molto probabile che avremmo centrali piu' avanzate e nettamente piu' economiche, ossia con minori costi di costruzione e minori problemi di scorie e quindi il nucleare sarebbe una fonte d'energia risolutiva.
Non sollevo il tema della sicurezza degli impianti per un motivo semplice: c'e' ben poco da affrontare , il livello di sicurezza raggiunto e' molto piu' che soddisfacente, da quanto ho capito.

Detto questo, la diversificazione delle fonti di generaizione energetica impone a qualsiasi produttore di prendere in consideraizine il nucleare, come ogni altra fonte d'energia alternativa al petrolio.

Il discorso, insomma, e' aperto. La cosa importante e' mantenere il dibattito sul piano economico e tcnico, rimuovendo le influenze improprie della politica, in un senso o nell'altro.



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