domenica, gennaio 07, 2007

Libri, questi relitti: nemmeno gli scrittori scrivono più

Conversare di show televisivi è diventato più chic che parlare di libri, persino per i lettori della Sunday Book Review del New York Times? Noi italiani siamo da sempre zotici ed abbiamo sempre parlato d'altro - autori famosi compresi.
Tuttavia, l'effeto rimane inquietante: le recensioni della Domenica del modello d'oltreoceano di "Repubblica" (sinistra progressista snob insomma) contiene ben tre articoli che parlano, forse involontariamente, di corda in casa dell'impiccato.

Uno degli ultimi librai indipendenti di Princeton molla il colpo e vende ad una catena, mentre i suoi stessi dipendenti passano il tempo a parlare di TV.
La Ricchezza delle nazioni, di Adam Smith, è troppo lungo e datato? Il buon P.J. O'Rourke cerca di darne una versione sintetica e più attuale nel suo nuovo libro; il recensore non trova di meglio che definirlo "un blog in brossura con O'Rourke che parla Adam Smith". La recensione è impeccabile, ma il paragone mi ha lasciato abbastanza perplesso.

Dulcis in fundo, Richard Powers parla della fine della scrittura, persino in forma digitale. Ne parla, alla lettera, visto che racconta come un software di riconoscimento vocale ed un tablet pc gli permettano di fare a meno anche della tastiera, liberandolo dalla scrittura vera e propria, riportandolo ad un passatto fatto di autori che dettavano o declamavano a segretari. A questo punto, verrebbe da chiedersi, perché leggere? Non basterebbe alterare la voce se sgradevole, e passare il tutto su di un audiobook od un podcast? Sunday Book Review suona tanto bene...

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