giovedì, maggio 31, 2007

Agnelli mannari

Una volta l'uso nelle famiglie perbene era che i panni sporchi si lavassero in casa; figuriamoci, quindi , nella "famiglia regnante" dell'Italia repubblicana, la famiglia Agnelli. Nulla di tutto questo: ormai, anche i ricchi aristocratici danno spettacolo, un pessimo spettacolo, sulla pubblica piazza.
Il declino era già cominciato, dal punto di vista dell'immagine, con il caso di Lapo Elkann: il rampollo di casa Agnelli ha sicuramente ricevuto un trattamento privilegiato, date le circostanze, con tanto di perdono ed amnistia da parte dei rotocalchi nazionali. Eppure, rimane il sospetto che, in altri momenti e con altri Agnelli, nessuno si sarebbe mai sognato di pubblicare alcunché e non vi sarebbe stato alcuno scandalo.

Adesso arrivala notizia che la figlia di Gianni Agnelli e madre degli eredi designati, di Lapo e Yaki Elkann, avrebbe persino fatto causa, fra gli altri, a Franzo Grande Stevens e Gianluigi Gabetti, per una questione d'eredità. Una causa contro coloro che da sempre hanno agito quali plenipotenziari per conto della famiglia, praticamente da sempre?

Per una questione di conti correnti, insomma, Margherita Agnelli, intenta una causa contro alcune fra le persone che hanno contribuito ad aumentare maggiormente il patrimonio della famiglia tutta negli ultimi anni, soprattutto grazie ad una spregiudicata operazione per la quale Grande Stevens e Gabetti sono stati condannati a multe milionarie.

Nel 2005, la Fiat viaggiava ancora in cattive acque, nonostante la cura Marchionnne fosse già avviata con buoni risultati; tre banche creditrici erano state da poco costrette a convertire parte dei propri crediti in azioni, a prezzi nettamente superiori a quelli di mercato e quindi con perdite letteralmente miliardarie per i propri bilanci. Si trattò di una forte boccata d'ossigeno al gruppo, che però spodestava gli Agnelli dal ruolo di maggiori azionisti.

La holding di famiglia, IFIL, acquistò quindi azioni Fiat ad un prezzo di circa 4,5 euro, la metà di quanto furono costrette a convertire le banche, fino a riportarsi al 30% del capitale, in modo da precludere scalate ostili e posizionarsi favorevolmente per l'aumento di valore del titolo. Nulla di male, in teoria, salvo un particolare: Le azioni non vennero acquistate sul mercato da IFIL, cosa che avrebbe fatto levitare il valore del titolo e, molto probabilmente , fatto innervosire le banche creditrici, ma dalla banca americana Merrill Lynch per conto di IFIL, tramite l'impiego di derivati (equity swap) che elusero l'obbligo di darne comunicazione a Consob e che ridussero il rischio di lanciare una costosa OPA.
Al momento giusto, IFIL annunciò la transazione, subì una censura (curiosamente mite) della Consob e pagò le debite multe, come fecero Grande Stevens e Gabetti. Uno stile poco consono alla leggenda Agnelli, in fatto di correttezza e sangue blu, ma molto adeguato a quello della Fiat, lo stile di un gruppo industriale che non è mai, nella realtà, andato molto per il sottile con gli "estranei" e gli sfidanti.

Ciò che stona davvero, in questa storia, è la rottura dei ranghi, la fine della solidarietà all'interno del clan Agnelli o dell'autorità dell'attuale "patriarca", incapace persino di evitare che la propria madre si rivolti contro due colonne portanti del gruppo per pochi soldi.
Decadenza del Galateo, come sostiene Xavier, uno stile che tramonta. Insieme al Galateo ed allo stile, tuttavia, ci sembra che anche la dinastia Agnelli stia avendo qualche difficoltà.



HT: Xavier
Fonti: Reuters,IHT, Finanzablog

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