lunedì, settembre 03, 2007

Guerre fiscali, tregue fiscali e finzioni tributarie

Romano Prodi e le cheerleader democratiche hanno ben poca ragione per lanciare anatemi contro Umberto Bossi e le sue (discutibili) dichiarazioni: il loro Ministro Dell'Economia ipertecnico ha impiegato il medesimo linguaggio del becero "senatùr", parlando di "finanziaria di tregua fiscale".

Il vocabolario impiegato dal Ministro dell'Economia smentisce chiunque pretenda che il governo sia animato da ideali di giustizia, a meno di non definire giustizia quella bolscevica o giacobina nel pieno del Terrore: se si parla di tregua, significa immaginare di essere in guerra con una parte della nazione, non certo a caccia di qualche evasore - compito che oltretutto spetterebbe a Vincenzo Visco e non certo a TPS. Evidentemente, si è trattato di un lapsus freudiano, che rimarca una volta di più la natura illiberale del Governo Prodi: con l'evasione, i sudditi si ribellano e di conseguenza meritano d'essere schiacciati, con ogni mezzo.

Da un certo punto di vista, tuttavia, non possiamo che dare ragione al ministro Padoa Schioppa: al di là delle trappole e dei metodi del suo collega alle Finanze, la radice del problema dell'evasione italiana è l'elevato consenso sociale di cui gode, con annessa impunità sostanziale per gli evasori.
In questo senso, il governo italiano è da alcuni anni in guerra contro una parte dei propri cittadini, che non ne riconoscono la legittimità - e la responsabilità è della nostra classe politica.

Una classe politica che è causa ultima dei propri mali, talmente ipocrita da avere adattato, al Fisco dal dopoguerra ad oggi la vecchia barzelletta sovietica sul lavoro: io fingo di pagarti, tu fingi di lavorare.
In Italia, il governo nel dopoguerra ha finto di elaborare un sistema fiscale talmente oneroso e complesso che, se applicato, avrebbe ridotto l'Italia al livello della Bielorussia, con somma gioia dell'elettorato "progressista"; chi produceva, dal canto suo, ha spesso semplicemente finto di pagare. Il pentapartito prendeva voti anche a sinistra, i comunisti inveivano, ma alla fine, forse perché la barzelletta era sovietica, facevano ben poco altro, salvo accodarsi alla mangiatoia quando possibile. E' nata così la perniciosa abitudine ad ignorare la legge, per necessità e per solidarietà verso un comportamento razionale per la propria sopravvivenza, di fatto disapplicando parte del codice tributario in vaste aree d'Italia; purtroppo si sono così avvantaggiati anche coloro che decidono di evadere totalmente.

Nel frattempo, l'arena competitiva è stata invasa dagli amici dell'arbitro. La destra, infatti, ha forse gli evasori, ma la sinistra statalista ha creato legioni di elusori, dotati di legale autorizzazione a dimezzare il proprio carico fiscale. "Imprenditori progressisti", grandi aziende, corporazioni varie di personaggi antropologicamente superiori hanno preso il controllo dell'apparato legislativo e di conseguenza, a colpi di leggine ad hoc degne del Governo Berlusconi, sono in grado di esercitare proficuamente l'elusione fiscale in totale impunità, disprezzando nel frattempo il volgare evasore, spesso troppo piccolo per potersi permettere il lusso di un paradiso fiscale, costose architetture societarie o legioni di avvocati e consulenti per superare la burocrazia a guardia della greppia di Stato.

Il risultato è che probabilmente esiste una fascia di lavoratori ed imprenditori che, anche volendo pagare il giusto, non potrebbe farlo senza fallire, a causa di una legislazione fiscale assurda ed applicata in maniera punitiva e discriminatoria.
La reazione prevalente diventa il muto, istintivo riconoscimento che il governo stia cercando di rinnegare un patto scellerato, ma tristemente necessario. Lo Stato ha creato il problema, lo Stato cerca, agli occhi di molti, di risolverlo nascondendolo sotto le macerie di un'economia che rischia di crollare dissanguata dagli errori e dalle ipocrisie istigati dallo Stato stesso.
Di conseguenza, le campagne di guerra finanziaria e psicologica di Visco, che pretende d'imporre il pagamento d'imposte mai disegnate per essere riscosse, rischiano di avere lo stesso effetto dei rastrellamenti tedeschi: molto odio, poco altro.
Capisco che sia difficile, per chi è vissuto con istinti di crociata e di rivoluzioni socialiste, ma è ora di smetterla di cercare d'imporre con la forza un sistema bacato sin dall'inizio, che se applicato provocherebbe il disastro. Almeno la teocrazia e il comunismo hanno il fascino dell'utopia, ma sfasciare una nazione per una ripicca fra professori di scienza delle finanze è soltanto squallido.


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