lunedì, marzo 02, 2009

Le parole contano: commissariare è una soluzione, nazionalizzare è soltanto un disastro

Il mio socio racconta oggi dei sospetti del mercato sulle "nazionalizzazioni". Sarebbe anche ora che si facesse chiarezza su di un termine ambiguo e potenzialmente pericoloso.

Il mercato al momento sta cominciando a scontare il rischio che non saranno soltanto gli azionisti, ma anche gli obbligazionisti a pagare un prezzo per le follie bancarie degli ultimi anni - ed ha ragione. In un mondo razionale, gli azionisti e gli obbligazionisti devono subire le perdite derivanti dagli errori dei dirigenti che essi stessi hanno eletto e le pratiche aggressive ed imprudenti che hanno finanziato.


Purtroppo, la moda dell'uso del termine "nazionalizzazione" ha invece contagiato perone al di sopra di ogni sospetto, come James Baker, influente ex-segretario di Stato repubblicano, e molti esponenti del GOP. Esiste un consenso bipartisan sulla via da percorrere? No; il termine è infatti impiegato per definire un procedimento ben differente da quello immaginato da democratici e socialisti vari à la Krugman. Innocui giochi sulle definizioni, allora? Neppure: impiegare quel termine abitua il pubblico a ritenere accettabili provvedimenti che porteranno ad esiti disastrosi.




Un provvedimento di nazionalizzazione che salvi gli obbligazionisti sarebbe completamente iniquo, perché i loro titoli diventerebbero garantiti di fatto dallo Stato, con un enorme aumento di pregio, invece di essere penalizzati i propri errori di valutazione.


Una nazionalizzazione, anche punitiva quanto una procedura di amministrazione controllata, sarebbe marginalmente migliore, ma comunque esiziale per la salute a lungo termine di una economi e di una società libera, Anche escludendo il pessimo segnale inviato agli individui - esagerate e sbagliate pure, pagheranno i contribuenti virtuosi.
Da un lato, nasconderebbe sotto una pioggia di denaro pubblico le tracce dei principali colpevoli: il potere politico e le burocrazie governative, da sempre legate a filo doppio all'attività bancaria tramite la manipolazione dell'unico settore sempre gestito in regime di totale monopolio politico: la gestione della moneta.
Dall'altro, un provvedimento di nazionalizzazione implica la proprietà statale, il che significa che il potere politico avrà il diritto di manipolare il credito a proprio piacimento, tramite pressioni sui dirigenti bancari: il risultato sarà un'ambiente dove i favoriti dai politici avranno ampio credito a tassi vantaggiosi, mentre tutti gli altri verranno lasciati, semplicemente, a secco. La storia abbonda di numerosi esempi di questo genere, a fronte di pochissimi casi virtuosi.



Come ho già scritto, una sana politica di soluzione del problema bancario passa attraverso i tribunali e la legislazione, non l'arbitrio governativo: la procedura di amministrazione straordinaria impedirebbe di ai politici di prendere il controllo delle banche nascondendosi dietro la facciata dell'emergenza; permetterebbe di mantenere operative le funzioni di base di un'azienda bancaria, ossia la fornitura di credito ed i servizi di pagamento; consentirebbe di ristrutturare il passivo delle banche, addossando le perdite alle parti che ne portano la responsabilità: gli azionisti che hanno percepito dividendi eccessivi, ma anche gli obbligazionisti.

L'assicurazione dei depositi verrebbe garantita, a spese del contribuente: si spera che il costo faccia aprire gli occhi ai contribuenti, rendendo espliciti i costi del fallimento di politiche di "garanzia" che garantiscono soltanto banchieri centrali e coloro che gonfiano il credito usando soldi altrui.



I politici non porterebbero tuttavia diluire, procrastinare e nascondere il risultato delle proprie follie tramite l'apporto di denaro pubblico a titolo di capitale e le magniloquenti dichiarazioni di "politica industriale": i panni verrebbero lavati in pubblico, finalmente.

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