lunedì, maggio 11, 2009

Chavez ed Obama, la via nazionalizzatrice alla povertà

Chavéz nazionalizza per coprire i suoi precedenti errori, in una spirale discendente; Obama comincia sulla stessa strada.

Se volete vedere il nostro futuro socialista, non serve neppure che leggiate dei crimini del comunismo, dei genocidi di Pol Pot, della repressione dietro la Cortina di Ferro o dei macellai nei gulag. Basta leggere i giornali: Chavez ha mandato l'esercito a prendere il controllo dellae aziende che forniscono servizi alle aziende petrolifere.

Il dittatore pardon presidente perpetuo venezuelano ha già di fatto nazionalizzato quel poco d'industria petrolifera privata che esisteva in Venezuela ed ha militarizzato la compagnia statale, riuscendo a diventare il primo leader socialista che si ritrova i sindacati all'opposizione. Adesso, visto il crollo verticale della produttività nelle capaci mani statiste, vuole controllare l'intera filiera produttiva, illudendosi che questo ridurrà i costi e riporterà efficienza. Ovviamente il risultato sarà simile a quello ottenuto nelle altre aziende nazionalizzate: fine degli investimenti, fine dell'innovazione, caduta della redditività e quindi delle risorse indispensabili a pagare stipendi ed investimenti.

Chavéz proclama di essere soltanto l'inizio di una rivoluzione socialista e, guardando quello che Barack Obama sta facendo in America, non so come gli si possa dar torto: il presidente americano ne sta seguendo le orme.

La Casa Bianca ha calpestato le norme di una società liberale, pur di garantire un presente di predominio ai propri alleati, FIAT e soprattutto i sindacati, suoi grandi elettori, a costo del futuro degli USA come patria della libertà: per risolvere il contenzioso Chrysler - e fra poco quello di GM - ha imposto d'arbitrio, a colpi di minacce degne di Vito Corleone, una riorganizzazione aziendale che ha letteralmente calpestato ogni regola ed ogni contratto in essere, salvo quelli sindacali.
Il corollario è che ben poche banche e nessun investitore vorrà più prestare denaro ad aziende in difficoltà con un qualche aggancio politico, per timore che un intervento governativo cambi le carte in tavola: un conto è fare una scommessa ad alto rischio, un altro è farla senza conoscere neppure la posta in palio o le regole del gioco. Ma questo non è un problema: significa soltanto che il governo "dovrà" intervenire in ogni altro fallimento di grandi dimensioni, fingendosene costretto, aumentando il proprio potere e la propria influeznza sul settore aziendale, creando così nuove leve per controllare l'economia e nuovi spazi per la burocrazia, per concedere posti e prebende agli amici fedeli. Lo Stato, come al solito, finge di intervenire per risovlere problemi che esso stesso ha creato.

Come Chavéz, Obama non comprende il risultato delle proprie azioni? Oppure il motivo è più sinistro: dal punto di vista del team presidenziale, come del caudillo che tanto apprezzano, la distruzione dell'assetto liberale e della base delle prosperità è un piccolo prezzo da pagare, se in cambio si possono sia compiere passi verso il socialismo, che trovare nuovo bottino da spartire con i propri complici.

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