lunedì, settembre 07, 2009

Tremonti, smemorato perché politico

Il ministro dell’Economia si scaglia contro le banche ed è in ottima compagnia: al G-20 tutti hanno capito che la caccia al banchiere paga. Purtroppo, la demagogia porta a soluzioni inutili nel migliore dei casi, dannose nel peggiore. E nasconde agli elettori le responsabilità dei politici.


L’accordo di massima uscito dal G-20 è un miscuglio di palliativi, buone intenzioni e caccia alle streghe. Le proposte sultetto ai salari, ad esempio, sono di natura prettamente demagogica, ma l’elettore che vede il proprio governo gettare miliardi di euro per evitare ilcommissariamento di una banca non vuole riforme; istintivamente, vuole vendetta. Tagliare i salari dei manager bancari soddisfa tale sete di vendetta, ponendo nel frattempo la classe politica in una luce positiva, quali i salvatori del sistema. Poco importa che la crisi sia nata proprio dove l’intervento e la sorveglianza delle autorità statali era più ampia, non dove erano meno coinvolte. Poco importa che le crisi bancarie peggiori degli ultimi anni sono avvenute senza alcun bisogno di innovazione finanziaria ed in contesti dove i compensi erano modesti: i bancari svedesi che portarono il proprio sistema finanziario al collasso negli anni’90 non guadagnavano certo bonus principeschi; negli stessi anni, Ventriglia e soci riuscirono ad affondare il Banco di Napoli senza stipendi d’oro, ma con una grossa mano da parte della politica. L‘atteggiamento apocalittico a cui ministro Giulio Tremonti si è lasciato andare è soltanto l’espressione più teatrale di questa strategia: noi italiani, si sa, adoriamo il melodramma e le scenate e Tremonti, ormai vero politico, rinuncia alla tecnica ed abbraccia la propaganda pauperistica per amor di palcoscenico. In realtà, il ministro sta abbaiando sotto l’albero sbagliato, seppure, almeno in parte, per i motivi giusti.

AIUTI SI’, AIUTI NO - Se Tremonti ragionasse ancora da tecnico, saprebbe che gli istituti che non accettano il Tremonti-Bond non sono traditori della patria, come li ha praticamente definiti. Nell’ipotesi più caritatevole, sono istituti virtuosi, che non hanno bisogno degli aiuti e Tremonti dovrebbe rallegrarsi di non dover metter mano al portafogli degli italiani. In un’interpretazione più maliziosa, sono miracolati dell’intervento politico, che ha alterato le regole del gioco rendendo meno pressante la necessità di raccogliere capitali. Ricordiamo, infatti, che anche il ministro Tremonti ha plaudito all’alterazione delle norme contabili che esentavano le banche dal riconoscere le perdite sui titoli tossici in portafoglio. Il Ministro si è anche in passato scagliato contro Basilea-2 , mai davvero entrata in vigore, perché avrebbe richiesto che anche i prestiti alle aziende venissero valutati in base alla solidità dei debitori. Se il Ministro avesse voluto che le banche ricapitalizzassero, avrebbe dovuto astenersi dall’interferire ( e con lui i suoi pari del G30): la ricapitalizzazione sarebbe divenuta ineludibile, per l’intero settore e si sarebbe potuti ripartire con una trasparente visione della gravità del problema.

ALLA RADICE DEI PROBLEMI - Il ministro si sta insomma lamentando delle conseguenze di interventi che aveva rumorosamente appoggiato. Allo stesso modo, sorprende l’altro punto dell’intervento tremontiano, ossia la lamentela che le banche sarebbero troppo preoccupate della salute dei propri bilanci e della tutela dei propri azionisti, rispetto al “bene comune”. Se i manager della banche si fossero preoccupati davvero dei propri azionistie dei propri bilanci, non avrebbero preso rischi eccessivi, ben consci che gli utili elevati spesso comportano rischi elevati. Quello che ha favorito la cultura del rischio ad ogni costo non è l’eccessivo potere degli azionisti. E’ stata l’autoreferenzialità dei dirigenti bancari, protetti dalla legislazione speciale che governa il mondo della finanza: in un mondo dove l’ultima parola spetta per definizione alle autorità di vigilanza, l’azionista è a malapena un altro dei creditori. Le proposte di ulteriore regolamentazione e vigilanza stanno quindi rafforzando il meccanismo che ha protetto i banchieri dalle conseguenze dei propri errori. Se il ministro Tremonti volesse davvero guardare in faccia la radice dei problemi nel settore meno esposto al mercato in tutto l’Occidente, dovrebbe guardare la foto-ricordo del G20 e quella di Jackson Hole, luogo della conferenza dei banchieri centrali.


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