mercoledì, settembre 30, 2009

Rutelli e Veltroni: non è mai troppo tardi?

Francesco Rutelli e Walter Veltroni si accorgono che il socialismo è in crisi. Sono alcuni anni in ritardo, ma non potevamo certo pretendere che se ne accorgessero se non per via delle proprie poltrone traballanti causa disastro elettorale continentale. IN fondo, la crisi del socialismo era stata preconizzata e spiegata soltanto da decenni, ma non si può pretendere che a sinistra se ne fossero accorti: per i nostri sinistri, nulla esiste se non viene scippato da un pensatore progressista e quindi nessuno ha mai preso in considerazione, da Pareto ad Hayek, le confutazioni del collettivismo. Dopo vent'anni in cui è la pura la realtà a prenderli a calci in faccia, stanno cominciando a comprendere; aspettiamoci quindi l'annuncio che non solo Veltroni non è mai stato comunista, ma che non è mai stato Justify Fullsocialista ed anzi, che ha sempre teorizzato la morte del socialismo.

Personalmente, non credo alla "Morte del socialismo". Sono sempre i migliori che se ne vanno e questo da solo dovrebbe garantire che l'atavismo socialista rimarrà fra noi a lungo. Il suo appeal, si basa sul prevalere sull'istinto del branco, una pulsione animalesca e difficilmente sopprimibile attraverso l'uso della ragione, sull'illusione infantile che si possa ottenere ciò che si vuole soltanto deisderandolo a sufficienza e sul desiderio di avere un capro espiatorio, qualcuno a cui dar ela colpa di tutto. Nella sua versione socialdemocratica, non ha certo lo stesso potere di seduzione delle varianti totalitarie naziste e comuniste, dove si aggiungeva il potere catartico della violenza più animalesca, ma è sufficiente per garantirci la sua sopravvivenza per il futuro.

martedì, settembre 29, 2009

Polanski come Battisti

Forse, per una volta, non dovremo vergognarci dei nostri intellettuali, della casta di chierici che ha tradito la stessa libertà che li ha generati. Ammetto che temevo una levata di scudi a difesa di Roman Polanski, reo confesso dello stupro di una tredicenne, anche da parte dei media italiani. Il caso di Adriano Sofri e quello, più sfumato, di Cesare Battisti mi predisponevano allo scetticismo. Fortunatamente, mi sbagliavo. Almeno in parte: l'intellighentsia francese è ovviamente schierata come un sol uomo dietro a Polanski, colpevole di aver drogato e violentato una tradicenne (secondo lui consenziante) e poi fuggito in Europa. La scusa per cui la vittima si sarebbe ormai completamente ripresa e che sono passati trent'anni suona ipocrita: i difensori di Polanski sono stesse persone che applaudirono il tentato arresto di Augusto Pinochet, dittatore anticomunista amnistiato dalle proprie stesse vittime, oppure il tentativo del giudice Garzon di metter sotto processo i generali franchisti (tutti deceduti) per i crimini commessi durante la guerra civile del 1936-1939.

Putin, la barzelletta del giorno

Il primo ministro Putin annuncia piu' privatizzazioni. Ci piacerebbe sapere quali sarebbero state le precedenti privatizzazioni. Sotto Putin, non vi è stata una sola privatizzazione in Russia; i monopoli di Stato si sono al contrario ingrassati a spese del settore privato, sia durante il boom che durante le recente crisi, attraverso una serie di espropri e vendite forzose degne del regime di Chavéz. A farne le spese non sono stati soltanto gli ex-oligarchi, espropriati tramite la violenza e processi-farsa e non tramite una procedura degna di una nazione civile; anche le aziende straniere, indotte ad investire miliardi per ammodernare il cadente impero industriale sovietico, si sono ritrovate di fronte a contratti radicalmente alterati in maniera unilaterale.
L'ex-presidente avrebbe addirittura definito l'economia russa un sistema di "mercato liberale". La Russia attuale è la parodia di un regime capitalista, qualcosa di più simile alle menzogne denigratorie impiegate dai libri di testo stalinisti piuttosto che alla realtà. Vista la riabilitazione staliniana che Putin sta introducendo, sorge il dubbio che il problema sia proprio questo: Putin starebbe plasmando la Russia in quello che uno stalinista ritiene essere una nazione capitalistica. Peccato che questo si chiami fascismo, o rocporativismo, non liberalismo.
Speriamo di sbagliarci, ma negli ultimi otto anni non abbiamo visot altro che conferme di questa tendenza.

lunedì, settembre 28, 2009

Siamo davvero usciti dalla depressione bancaria?

La tabella sottostante potrebbe servire a chi pensa che il mercato azionario sia adesso tranquillo, dopo il rally di Marzo. Secondo alcuni, l'intervento governativo dell'ultimo anno avrebbe riportato il sistema bancario ad un minimo di equilibrio, e quindi alleviato i sintomi, se non risolto il problema alla radice della crisi bancaria.



Come si può notare, una sola regione ha raccolto più capitale di quanto ne servisse per pareggiare le perdite del 2008-2009: l'Asia. Praticamente ovunque, invece, i governi e le imprese stanno ancora cercando di recuperare le perdite annunciate. Tutto ciò che non possono essere finanziate attraverso i mercati obbligazionari o tramite finanziamento pubblico già scricchiolante dovrà venire da aumenti di capitale, creando pressioni sui mercati azionari.

Una lettura ottimistica della tabella di cui sopra presuppone inoltre che le svalutaizoni sui crediti siano finite e che non vi saranno ulteriori perdite di venire da, diciamo, mutui residenziali, prestiti agli studenti, prestiti auto, prestiti sulle carte di credito. Si presume anche che le banche banche non stiano diciamo così stiracchiando la realtà sul reale stato dle proprio bilancio, come è invece avvenuto negli ultimi anni. Per quanto riguarda l'economia mondiale, gli investitori in tutto il mondo vedono il rally dei mercati azionari , se misurato dai minimi di Marzo - e deducono che la battaglia è finita. In un certo senso, la battaglia è finita: Lehman è stata sacrificata, ma sotto tutti gli altri aspetti, le banche hanno vinto, e tutti gli altri hanno perso.


Hat tip:The Price of Everything.

domenica, settembre 27, 2009

Zamax da esposizione

Zamax tutto da leggere su burqa, nijab, cretinismi "alternativi" ed esibizionismo islamico.




Germania contro Portogallo, liberali contro socialisti? Affare fatto

Spiacente per gli amanti del Fado ( e sicuramente le pagine di certi giornali di sinisitra), ma non credo proprio che il risultato elettorale del Portogallo controbilancerà quello in Germania la Germania. Soprattutto una Germania dove i liberali del FDP incrementano del 50% i propri voti ed arrivano al 15 per cento. Potrebbe essere la dimostrazione che non è necessario sbandare a sinistra o darsi alla demagogia per avere buoni risultati elettorali anche durante una crisi; potrebbe anche trattarsi del freno alla deriva centrosinistra di Angela Merkel.
Ultima noticina: ci piacerebbe che anche in Italia il premier decidesse di governare con i liberali. La grande coalizione con i resti del partito socialista non ci sta portando molto lontano.

Banche centrali, inciuci nazionali, perdite universali

Le banche privilegiano grandi imprese e titoli di Stato ai prestiti alle piccole e medie imprese. La responsabilità è in buona parte dei governi e dei loro precedenti tentativi di ottenere “giustizia sociale” .

In Italia, le banche hanno ridotto drasticamente i prestiti a piccole e medie imprese, mentre hanno ampliato marginalmente quelli alle grandi imprese e, soprattutto, gli acquisti di titoli di Stato, usando i fondi generosamente prestati dalle Banche Centrali. Una strategia controversa e contraria agli scopi dei governi, ma derivante proprio dalle politiche governative che avevano come scopo la tutela dei risparmiatori e l’espansione, anche drogata del credito. Le politiche di tassi a zero hanno, soprattutto, gettato benzina sul fuoco dei mercati finanziari, generando quella che somiglia all’ennesima bolla. Non parliamo soltanto di speculazioni di Borsa, ma anche e soprattutto del cosiddetto carry trade di tasso: le banche prendono a prestito a brevissimo e a tassi quasi nulli dalla Banca Centrale Europea ed investono in titoli di Stato a lungo termine, lucrando la differenza. La sola Banca Intesa, ad esempio, ha incrementato di 18 miliardi di euro il proprio portafoglio titoli, mentre riduceva di circa 8 miliardi i prestiti alla clientela. Il trucco è conosciuto, ma poco citato da governi e banche centrali. I governi devono collocare quantità sempre maggiori di debito e quindi accettano volentieri qualsiasi aiuto, anche quello di banche che prendono a prestito da un ente statale (la BCE) per prestare ad altri (i governi). Le banche centrali desiderano un aumento delle riserve di capitale delle banche; il carry trade fornisce notevoli utili che possono essere messi a riserva. Il rischio è che, quando ariverà l’inevitabile rialzo dei tassi, le banche non siano in grado di scaricare le proprie posizioni e quindi comincino ad accumulare perdite rovinose. Sino ad allora, siamo di fronte all’ennesimo sussidio, pagato dal contribuente, che aiuta a nascondere il nocciolo del problema bancario: il vero padrone, in un istituto di credito regolamentato,non è soltanto l’azionista, che conta poco rispetto ad una dirigenza teoricamente vigilata e perennemente sostenuta da coloro che la dovrebbero controllare. La stessa autorità di vigilanza si arroga parzialmente il ruolo degli azionisti; gode di poteri d’intervento inauditi in ogni altro segmento di un’economia di mercato, ma preferisce dimenticarsene quando la stampa ed i politici aggrediscono un “capitalismo selvaggio” che nel settore bancario non è mai arrivato.

PRESTITI E DOLORI- Per quanto riguarda i prestiti alle grandi imprese, gettiamo uno sguardo negli USA, dove per almeno alcune categorie di prestiti le banche sono ancora obbligate e riportare il reale valore dei prestiti e non il valore “storico”. Ebbene, secondo uno studio annuale ufficiale, le perdite sono triplicate nel corso del 2009 , arrivando ai 53 miliardi di dollari. Le illusioni riguardo il basso rischio dei prestiti alle blue chip ed alle mega-operazioni societarie si è rapidamente rivelata fallace, come invano avevano ripetuto per anni gli stessi analisti che adesso vengono accusati, paradossalmente, di “liberismo selvaggio”. I dirigenti delle banche commerciali faranno probabilmente spallucce: si tratta di ulteriori munizioni nella battaglia per ottenere ancora più aiuti di stato, espliciti o impliciti. Le banche nostrane dovrebbero prestare attenzione: le grandi aziende possono essere tranquillamente accompagnate al mercato obbligazionario, invece d’impiegare capitale bancario prezioso prestando loro a tassi poco redditizi: le nostre banche prestano normalmente a tassi tropo ridotti ai grandi gruppi, rifacendosi poi su tutti gli altri clienti. L’unica eccezione sono le operazioni rischiose, i prestiti forniti a società grandi, ma fragili, il cui maggior pregio è la capacità relazionale del proprietario. I nomi di Zunino e di altri “capitani coraggiosi”, del presente e del recente passato, tornano alla mente. Se il nostro premier smettesse di parlare di ciò che non conosce e rivolgesse gli occhi verso casa, troverebbe “speculatori” ben più meritevoli di sanzione. Purtroppo, sia l’attuale governo, come il precedente e l’opposizione, sembrano soddisfatti con posizioni demagogiche ed autolesionistiche. Le normative seguite al caso Parmalat hanno chiuso il mercato del credito per quasi tutte le aziende italiane, bloccandone lo sviluppo; nel frattempo, invece, il mercato obbligazionario aziendale cresceva d’importanza in tutta Europa. Tale chiusura non ha portato alcun vantaggio alla tutela dei risparmiatori, lasciati in balia di strumenti ancora meno trasparenti ed ha lasciato le banche come uniche interlocutrici delle grandi aziende, regalando loro un business molto politico, ma non molto redditizio, che sottrae capitale e talenti che potrebbero essere impiegati per sostenere la vera spina dorsale dell’economia: le piccole e medie imprese. La soluzione non è una ulteriore camicia di forza, ma la rimozione dei vincoli che garantiscono alle banche la propria rendita di posizione.


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Non sono comunista. Al contrario del nostro premier

Spiace contraddire il socio Phastidio e l’ottimo Carlo Stagnaro, ma non siamo noi ad essere comunisti. E’ Silvio Berlusconi che sembra diventato comunista, da socialista che era.

E’ in ottima compagnia, visto quello che è accaduto a Giulio Tremonti: un altro socialista brevemente diventato liberale e ritornato socialista in salsa corporativa, come il mai abbastanza vituperato Alberto Beneduce, nazionalizzatore e becchino dell’economia italiana, prima come simpatizzante socialista e poi come fascistissimo socializzatore da destra, senza dover cambiare una virgola delle proprie ricette. Oltre a quanto già fatto notare da Carlo, vorrei aggiungere alcune considerazioni.

REALTA’ VERSUS PROPAGANDA - Le affermazioni del nostro premier sono innanzitutto smentite dalla realtà dei fatti: se la preoccupazione berlusconiana è che i prezzi sono troppo volatili e una regolamentazione,fino al divieto dell’uso di derivati, sarebbe la cura, il rimedio previsto è molto peggiore del male. Numerosi studi chiariscono come i mercati più volatili non siano quelli più liquidi e dotati di strumenti finanziari derivati, ma proprio quelli dove tale attività è vietata o dove i governi intervengono pesantemente, come nel caso del riso. L’esempio più estremo di fallimento dello Stato è quello delle cipolle; nel 1958 il Congresso USA vietò la “speculazione” in derivati; il risultato fu un aumento della volatilità e non una sua diminuzione; il mercato è tuttora uno dei più instabili. Se invece la speculazione è maligna soltanto quanto spinge i prezzi in una determinata direzione, il discorso diventa incoerente e contraddittorio: innanzitutto, quale sarebbe la speculazione cattiva? Quella che spinge i prezzi al ribasso o al rialzo? La speculazione “al rialzo” disprezzata per gli effetti sui prezzi degli idrocarburi è la stessa speculazione che viene salutata come patriottica, quando spinge i pezzi di titoli di Stato e cartolarizzazioni di immobili, massimizzando così le entrate per il Tesoro e riducendo la spesa governativa per gli interessi sul debito.

PRIMA E DOPO – La speculazione immobiliare era considerata sanissimo investimento, finché i prezzi salivano; recentemente, ci si lamentava per il ribasso di azioni ed obbligazioni accusando gli “speculatori”, mentre la vera bolla di cui subiamo gli effetti negativi era avvenuta in un mercato al rialzo ed i ribassisti si limitavano a scommettere su di un ritorno a prezzi razionali. Abbiamo avuto il paradosso di un governo che auspicava un calo dei prezzi del petrolio e, contemporaneamente, apprezzava le quotazioni stellari di ENI, gigante energetico parastatale il cui prezzo in Borsa è diretta conseguenza del costo dell’oro nero. Per quanto riguarda le materie prime alimentari, ci si scagliava pochi mesi fa contro i rialzi “pazzi “dei prezzi, mentre ora il ministro Zaia blatera sui danni dei bassi prezzi del latte e delle derrate alimentari; il ministro pare dimenticare la lunga e fallimentare storia di sussidi, regolamentazione e manipolazione dei prezzi dl latte da parte dei governi nazionali e della UE. L’unica coerenza, pare, è quella con i desideri dei politici e delle loro clientele, purtroppo quasi sempre conflittuali, oltre che lontani da ogni parvenza di efficienza di mercato e tutela dei consumatori. Se questi discorsi nascondessero il desiderio di prezzi manipolati o fissati per legge, si potrebbe notare che questo desiderio porterebbe rapidamente alle peggiori politiche socialcomuniste e corporative, una riedizione moderna delle grida manzoniane e dei prezzi amministrati; una ricetta sicura per la miseria, come è stato dimostrato negli ultimi quattro secoli. Un’inclinazione di questo tipo è, appunto, roba da comunisti, signor premier, non da liberali.

CHE SUCCEDE? – A questo punto, potrebbe sorgere il dubbio che una parte della classe “dirigente” del centrodestra non abbia capito nulla degli ultimi vent’anni e che, in cambio , ci abbia preso in giro per tre lustri. Sarebbe, purtroppo, in buona compagnia: anche in Gran Bretagna, i laburisti si stanno riscoprendo statalisti anche nella retorica, dopo aver passato dieci anni ad imbambolare gli elettori cianciando di libertà e capitalismo, concetti seguiti a singhiozzo. Nella pratica, il governo Brown ha sperperato le entrate straordinarie del boom sprecandole in spesa assistenziale, arrivando poi ad alzare le tasse nella maniera più subdola possibile per non svelare il trucco. Escludendo la truffa ai danni dell’elettorato, oltre che della verità e della razionalità, non ci resta che sperare che Berlusconi e Tremonti recuperino l’uso della ragione e, magari, ricomincino a leggere e far di conto. In alternativa, sarebbe apprezzato un loro rientro nell’alveo della sinistra che ci ha regalato Fanfani, De Mita, Intini, De Michelis, il peggior debito in tempo di pace della storia occidentale moderna e la lenta sclerosi di una nazione intera, prima di farsi spazzare via dal crollo del Muro di Berlino, che obbligava l’elettorato moderato a turarsi il naso e votarli comunque. Dispiacerebbe dover parafrasare Ronald Reagan e dire “Non ho mai lasciato il PdL. E’ il PdL ad avere lasciato me” causa sopraggiunta deriva socialista.




venerdì, settembre 25, 2009

529 milioni per la macchina di Gore

Una società neonata, ma sponsorizzata da Al Gore, riceve 529 milioni di dollariin aiuti pubblici per costruire auto di lusso.

Fisker Automotive è una azienda neo-costituita che progetta di costruire un'auto di lusso con tecnologia ibrida. E' posseduta da KPCB, unl fondo di private equity di cui Al Gore è partner, ex vicepresidente USA, sostenitore di Obama e boiardo del Partito Democratico. Siamo sicuri che sia una coincidenza , come il fatto che i dipendenti KPCB abbiano donato 2.2 milioni di dollari alla campagna presidenziale di Obama, presidente che si dichiara attento all'uomo comune, ma pronto a spendere 500 milioni per un'automobile che l'americano medio non potrà permettersi.
clipped from online.wsj.com

WASHINGTON -- A tiny car company backed by former Vice President Al Gore has just gotten a $529 million U.S. government loan to help build a hybrid sports car in Finland that will sell for about $89,000.

The award this week to California startup Fisker Automotive Inc. follows a $465 million government loan to Tesla Motors Inc., purveyors of a $109,000 British-built electric Roadster. Tesla, like Fisker, is a California startup focusing on high-end hybrids, with a number of celebrity endorsements that is backed by investors that have contributed to Democratic campaigns.

Fisker's top investors include Kleiner Perkins Caufield & Byers, a veteran Silicon Valley venture-capital firm of which Gore is a partner. Employees of KPCB have donated more than $2.2 million to political campaigns, mostly for Democrats, including President Barack Obama and Hillary Clinton, according to the Center for Responsive Politics, a nonpartisan group that tracks campaign contributions.

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giovedì, settembre 24, 2009

Banche, prove tecniche di sganciamento

Unicredito e Banca Intesa si preparano a dimostrare di poter fare a meno del soffocante abbraccio governativo.
Il 29 Settembre si svolgeranno i CdA di Unicredit ed IntesaSanpaolo. In quella sede, la dirigenza di entrambe le banche avrebbe intenzione di presentare misure straordinarie per raccogliere capitale, evitando il ricorso ai Tremonti bond. Come avevamo già riportato, Intesa punterebbe ad emettere uno strumento ibrido, una sorta di Tremonti Bond collocato presso investitori istituzionali. Unicredit starebbe pianificando un aumento di capitale vero e proprio, ma sinora il principale scoglio era la resistenza delle fondazioni bancarie che, congiuntamente, controllano la banca. Queste, per legge, dovrebbero ridurre gradualmente la propria quota, in modo da potersi concentrare sulla propria missione di supporto del territorio e delle opere a valenza sociale. In pratica, il processo è sempre stato molto lento e le partecipazioni bancarie sono state un utile fonte di cassa e di potere politico. Durante la crisi, Profumo ha però azzerato i dividendi pagati da Unicredit, esacerbando i malumori fra i propri azionisti-rentiers ed un aumento di capitale, privo del supporto degli azionisti più rilevanti, verrebbe accolto con notevole scetticismo. Uno spiraglio si sarebbe aperto ieri: alcune fondazioni sarebbero disposte a partecipare, se il dividendo venisse ristabilito. Adesso che la liquidità regalata dalle banche centrali permette profitti facili, almeno sulla carta, la proposta potrebbe essere accettata senza creare preoccupazioni sul mercato riguardo alla stabilità finanziaria della banca.

Mentre le sconquassate Banca Popolare di Milano e Banco Popolare, con l’aggiunta quasi certa di Monte dei Paschi e credito Valtelllinese, non hanno avuto altra scelta che piegare il capo ed accettare l’aiuto di Tremonti, le due banche maggiori potrebbero evitarlo. L’antistatalismo c’entra poco: il settore bancario ha sempre goduto e tuttora gode di ampi privilegi, in cambio della sottomissione ai voleri della banca centrale e di alcuni segmenti della classe politica, ma non ha mai dovuto rinunciare ad ogni margine di manovra e sottomettersi ad impegni espliciti, quali quelli richiesti dal ministro valtellinese; la distanza ideologica fra questo governo e la dirigenza di Intesa e Unicredit, inoltre, non aiuta di certo.

Se Tremonti volesse davvero riformare il settore o rompere le reni alla casta bancaria, abbonderebbero strumenti meno rozzi e per una volta estranei all’arsenale socialista . Per un governo sedicente liberale, esistono rimedi molto migliori di una battaglia dirigista per imporre dall’alto diktat politici e populisti, addolciti dalla carota avvelenata del denaro pubblico. Meglio, molto meglio indagare le cause dell’elevato costo dei servizi bancari in Italia e proporre semplici cure liberali. Invece di lamentarsi per le dimensioni delel banche in Italia, meglio sarebbe rimuovere gli ostacoli all’aumento della competizione bancaria, unico modo per ridurre i prezzi praticati alla clientela; aiuterebbe molto eliminare i sussidi e le garanzie che ancora fanno pretendere che nessuna banca, soprattutto le grandi, fallirà mai. E’ ora di rinunciare al patto scellerato per cui un cartello bancario è autorizzato a rapinare una clientela che, dal canto suo, non si prende neppure la briga di confrontare prezzi e condizioni, perché , tanto , “le banche non saltano”. Se questo governo si ricordasse di essere di centrodestra e non una riedizione del peggior socialcomunismo all’amatriciana o una replica economica del corporativismo da Ventennio, potrebbe farci un pensierino.

Crosspost con Giornalettismo e Macromonitor


V-blogstars e sviluppo in Cina

Gran pezzo di Gloria sulla libertà di espressione in Cina. Temo che la Cina rischi un'evoluzione simile a quella dell'Unione Sovietica o la Germania nazista: un regime che si tiene in piedi grazie allo sfruttamento dei fattori che ottiene a basso costo grazie ad un regime repressivo, mentre lascia alle nazioni libere l'incombenza di innovare. Una nazione può permettersi di rimanere non-democratica e in sviluppo a lungo, ma è quasi impossibile negare le libertà individuali e prosperare oltre un livello medio-basso di reddito.

Hat tip: Giornalettismo

Fini a braccetto con Montezemolo?

Si dice che le nuove iniziative di Fini tramite FareFuturo. Non mi sembra probabile che Fini esca dal centrodestra, ma sicuramente stiamo assistendo ad un riallineamento. Il problema è la contraddizione fra la nuova fede liberale di Fini e l'uso come sponda dell'UDC: la formazione di Casini è stata la serpe in seno del Governo Berlusconi nel 2006, la sponda per chiunque volesse sabotare le riforme e governare con il freno a mano tirato. Lo stesso Fini, alleandosi con loro per la famigerata "verifica", commise un errore strategico imponente. Cerchiamo di evitare che mezzi, anche questa volta, non si rivelino totalmente inadeguati ai fini - sempre che i fini siano quelli dichiarati.

Hat tip: Giornalettismo

martedì, settembre 22, 2009

Obama: censuriamo i blog, sussidiamo i giornali (amici, ovviamente)

In relazione a quanto scritto poco fa. Nel caso qualcuno credesse che Obama non condivida gli istinti da censura degli avvocati che lui stesso ha nominato, ecco le sue precise parole:

«Sono molto preoccupato per il tipo di informazione che circola nella blogosfera - spiega - dove si trova ogni sorta di informazioni e opinioni senza che vengano verificate, con il risultato di portare gli uni a gridare contro gli altri, rendendo più difficile la comprensione reciproca»

Ossia: "Non mi piace quelo che dite, quindi troverò un modo per tapparvi la bocca, alla faccia della Corte Suprema".
COme se poi non bastasse,ecco il "Newspaper Revitalization Act": sussidi ai giornali in crisi. Immaginiamo la maniera in cui tali sussidi verranno accordati: come in Italia, ossia agli amici degli amici.
Interessante l'esercizio descritto da Random Bits: sostituire "Berlusconi" con Obama e immaginare la cagnara da sinistra, confrontandola con l'assordante silenzio dalle redazioni nostrane.

Obama cerca di censurare blog e video ed i media tacciono

Una querela, in Italia, infiamma stampa e televisioni, ma una legge che permette al governo di censurare a volontà libri e cinema viene a malapena menzionata.

Vi piacerebbe che Berlusconi avesse il diritto di vietare la pubblicazione di un libro, soltanto perche’ parla di un politico? O che il quotidiano Repubblicapotesse scrivere sul governo, anche senza tener conto dei fatti, ma fosse illegale trasmettere un documentario che parla di politica? Benvenuti nella Nuova America: l’amministrazione Obama sta interpretando la legge in questo modo e cercando di passarne altre simili. In Italia, nessuno ne parla. Sui nostri media, impegnati ed imparziali, dove ogni starnuto di Bush veniva considerato al pari dell’invasione nazista della Polonia, il puro e semplice tentativo di vietare la pubblicazione di libri e documentari passa sotto silenzio. Negli USA, nel frattempo, si è scomodata la Corte Suprema, mentre giornali e TV tacciono. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la censura governativa scattata sul documentario “Hillary: The Movie“. Si tratta di un lungometraggio prodotto da Citizens United, un’associazione non-profit conservatrice; è estremamente critico di Hillary Clinton e non esistono molti dubbi sullo scarso affetto che la produzione riserva alla ex-first lady. Sembra, in sintesi, una versione di destra dei capolavori propagandistici di Michael Moore. La differenza è che Moore non ha mai avuto problemi con le autorità federali, mentre la “nuova ” Casa Bianca ha minacciato la galera per i produttori del video, se avessero osato proporlo sulla TV via cavo. Ad inizio 2008 gli spot sul documentario erano già stati vietati in televisione dalla commissione elettorale, perché vennero ritenuti “propaganda elettorale non autorizzata” che avrebbe potuto interferire con le primarie del partito democratico. In seguito, la comissione elettorale e il governo federale hanno minacciato 5 anni di galera ai produttori, se il documentario fosse stato trasmesso via cavo, in pay-per-view. Il fatto sarebbe stato già grave e discriminatorio di per sé e la causa sembrava , ma ad Aprile 2009 il dream team obamiano è riuscito in un clamoroso autogol. Malcolm Stewart, il nuovo Solicitor General (avvocato generale) nominato da Obama, non ha trovato di meglio che sostenere che il governo ha il pieno diritto di bandire e censurare ogni pubblicazione che ritenga di natura politica. Ora, il Primo Emendamento della costituzione è una delle architravi della libertà americana, il primo dei diritti civili ed è molto chiaro: il diritto di parola, soprattutto nella sfera politica, è intangibile, per quanto abominevoli sano le opinioni espresse. Il Primo Emendamento è spesso servito a coprire numerosi abusi, ma la Corte Suprema non ne ha tollerato il ripudio esplicita ed ha preso un provvedimento eccezionale. Ha ordinato ai legali della difesa di ridefinire il caso; in questo modo, invece di chiarire la costituzionalità dei limiti di una sezione della legge elettorale, la Corte intende ristabilire il principio generale della libertà di parola anche in periodo elettorale. Malcolm Stewart non è più Solicitor general, ma la bomba è esplosa.

RIMEDIO PEGGIORE DEL MALE? La radice del problema è la serie di recenti leggi di riforma dei finanziamenti elettorali. La principale è il Bipartisan Campaign Reform Act del 2002, meglio noto come il McCain-Feingold Act. Il senatore repubblicano McCain ed il liberal, ossia socialdemocratico, Russ Feingold sono stati gli sponsor di un nobile tentativo di limitare l’influenza delle lobby aziendali e dei sindacati nelle campagne elettorali. Sono stati imposti limiti ai finanziamenti elettorali ed è scattato il divieto, per aziende e sindacati, di finanziare messaggi diretti ad attaccare o a sostenere candidati alle elezioni, per un periodo fra i trenta ed i sessanta giorni. L’autorità di specificare quali messaggi costituiscano propaganda politica è stata affidata ad un’agenzia governativa, la Federal Electoral Commission (FEC). Gli avversari della legge e sostennero che si stava concedendo a politici e burocrati il potere di censurare determinati gruppi di persone, quando il materiale riguarda i politici stessi, mentre i limiti alla spesa e le nuove regolamentazioni avrebbero favorito i grandi interessi, con le risorse per affrontare la burocrazia, ed i politici già al potere, che godono di “pubblicità gratuita sui media. Vennero definiti lacché delle corporations. Dopo soli sette anni, i difetti della norma sono evidenti: i limiti ai finanziamenti elettorali si sono rivelati fallimentari ed hanno paradossalmente favorito gli individui molto ricchi, le grandi aziende e le organizzazioni di massa, scoraggiando chiunque altro dall’intervenire. Adesso emergono anche gli effetti perversi dei limiti alla propaganda politica. La parte più contestata è il divieto di pubblicare materiale che sia finanziato in tutto od in parte da una “corporation”, ossia un’azienda. Il problema è l’inevitabile l’interpretazione data da politici e burocrati. In senso stretto, ad esempio, quasi ogni libro che non sia pubblicato a spese dell’autore viene finanziato da una corporation: la casa editrice. Ogni film ed ogni documentario hanno una pletora di finanziatori che non sono persone fisiche: la casa di produzione, il distrbutore che ha dato anticipi, il conglomerato dei media che ne acquista i diritti per l’uscita in DVD. Di conseguenza, la FEC è libera di considerare ogni lavoro che parli di un politico, soprattutto sotto elezioni, come una potenziale fonte di contributi elettorali non controllabili e di conseguenza si arroga il diritto di autorizzare o vietarne la pubblicazione. A decidere cosa sia una forma di espressione esente da censura e cosa sia invece propaganda, inoltre , è la FEC stessa, con l’eventuale copertura dell’amministrazione. I documentari sono ad esempio teoricamente esenti dalla legge; si tratta di una scappatoia impiegata abbondantemente da Michael Moore e che è stata invece preclusa dalla FEC ai produttori del documentario su Hillary Clinton. Una legge che si proponeva di migliorare la democrazia ha quindi fornito al governo i mezzi per minare la libertà di stampa. Mentre l’amministrazione Bush, con tutte le sue colpe, non ha mai fatto uso della norma, l’Amministrazione Obama ha dimostrato di non avere alcun problema a censurare le voci non gradite.

OBAMA PEGGIO DI ALFANO? – Il caso getta una luce ancora più inquietante sulla libertà di espressione su Internet. Un impiego estensivodelle leggi vigenti metterebbe a rischio l’attività politica su Internet, dove il confine fra informazione e attivismo non è mai stato lungo le linee tradizionali. Il governo Obama e la FEC hanno già sostenuto che le norme darebbero loro il diritto di intervenire e censurare blog e siti colpevoli di attività politica a ridosso delle elezioni; considerando che negli USA il ciclo elettorale è pressoché continuo, si comprende la gravità di una simile affermazione, su cui di recente si sta cercando di effettuare una precipitosa retromarcia. I media americani, in teoria sempre pronti ad insorgere contro ogni violazione della libertà di parola, hanno reagito soltanto debolmente. In parte, si tratta del pregiudizio positivo nei confrontidi Barack Obama, ma esistono motivazioni più sostanziose. Innanzitutto radio, televisioni e giornali registrati sono infatti esenti dalle regolamentazioni del McCain-Feingold; godono quindi di un privilegio concesso loro dalla legge, a scapito di chiunque altro. Questo significa che i media sono ancora liberi di spendere qualsiasi somma, appoggiando o dando l’assalto ad un candidato, senza che la commissione elettorale possa intervenire. Chiunque abbia avuto il piacere di una trasmissione con Santoro o Bruno Vespa quali conduttori dovrebbe accoglier econ una sana dose di scetticismo l’idea che i media siano naturalmente imparziali. Un’ipotetica stretta amministrativa di Obama su Internet libererebbe i media tradizionali da concorrenti temibili. Al confronto, il Decreto Alfano sembra decisamente materia per dilettanti. Concedere potere ad una burocrazia governativa si è rivelato un rimedio peggiore del male. Ancora una volta, la legge delle conseguenze inattese smentisce l’efficienza dell’approccio interventista ad un problema: norme nate con le migliori intenzioni vengono sistematicamente applicate per gli scopi peggiori. Non si capisce perché insistiamo a chiamarla “legge delle conseguenze inattese”: dopo decenni, le conseguenze dello statalismo dovrebbero essere quasi scontate.


Crosspost con Giornalettismo

A futura memoria: la maggioranza del PdL non la pensa come i clericali

Siamo sicuri che la base del PdL sia schierata compatta sulle posizioni di Schifani, Sacconi, Roccella e guardie svizzere assortite, o che Fini stia combattendo una battaglia di "sinistra"? L'ottimo post di Camelot compara i dati e smentisce la leggenda di un PdL democretino:

Innanzitutto, se è vero che il Pdl è il partito più votato dai cattolici, è altresì vero che essi, sul totale di coloro che lo premiano nelle urne, rappresentano il 42%. Dunque, se la matematica non è un’opinione, la stragrande maggioranza degli elettori del Pdl - il 58%, per l’esattezza - è costituita da laici.

In secondo luogo, il 47% di tutti i cattolici praticanti, vale a dire dei cattolici più “ortodossi” - quelli che partecipano regolarmente alle funzioni religiose e sono più sensibili alle questioni relative alla Fede -, dichiara di essere favorevole all’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali, in casi come quello di Eluana Englaro (ritiene, cioè, sia giusto dare ai cittadini la possibilità di rifiutare questi trattamenti).

In terzo luogo, il 68% di tutti gli italiani opina si debba poter rinunciare all’idratazione e all’alimentazione artificiali.

Ciò detto, siamo proprio sicuri che Fini, in fatto di testamento biologico, esprima posizioni non condivise dalla maggioranza degli elettori del Pdl?

Se poi qualcuno volesse insinuare che la "volontà popolare" non conta e che il PdL dovrebbe seguire i propri "principi", va benissimo. Peccato che da nessuna parte stia scritto che il PdL debba essere un partito vaticano; l'affermazione che la destra italiana sia sempre stata solo ed esclusivamente papalina, poi, è semplicemente un incrocio fra un falso storico ed una bestemmia.

lunedì, settembre 21, 2009

Equidistanza ANSA: i terroristi diventano "medici"

Esempio di Libera stampa italiana (via Paolo):


Nel giorno dei funerali dei soldati italiani, vittime del terrorismo islamico, l'esercito israeliano sventa un attentato, uccidendo 2 terroristi islamici mentre stavano piazzando una bomba tra Gaza ed Israele,come potete leggere QUI sul Jerusalem Post.

Ma ecco come la “libera” agenzia di notizie (?) ANSA riferisce lo stesso (?) evento:

Gaza, uccisi due palestinesi

Medici, colpiti da carro armato israeliano a Jabaliya
(ANSA) - GAZA, 20 SET - Due palestinesi, tra i quali un miliziano del Comitato di resistenza popolare (Prc) [La sigla scelta dal giornalista, ricorda un partito italiano] sono stati uccisi nella Striscia di Gaza. Altri due uomini sono rimasti feriti. [ovviamente si omette il fatto che stavano piazzando una bomba!] Fonti mediche palestinesi riferiscono che la causa e' un colpo di carro armato sparato a nord di Gaza, nei pressi della citta' di Jabaliya. [Come mai non c'è la versione dell' esercito israeliano?] Stamani, due razzi lanciati dalla Striscia hanno colpito il territorio israeliano, senza fare vittime.
LINK

Ecco invece come trasmette la notizia la CNN, che sicuramente non è pro israeliana:
September 20th, 2009 2 Palestinians killed by Israeli fire JERUSALEM (CNN) — Two suspected Palestinian militants were killed near the Jabaliya refugee camp in Gaza Sunday, Palestinian medical sources said.Three others were injured. The Israeli military said it had fired on “suspects planting explosive devices along the security fence in northern Gaza.” (via Blog di Barbara)



I fatti, prima di tutto. Gli strafatti, invece, vengono in coda e scrivono le notizie, fra una molotov e l'altra.

domenica, settembre 20, 2009

Schumpeter, nome giusto per l'epoca giusta

Il settimanale inglese The Economist ha l'abitudine di chiamare alcune sue rubriche fisse con nomi storici per illa sezione a cui fa riferimento la rubrica. Per la rubrica di commenti sul business e il management si è scelto il nome di Joseph Schumpeter. Scelta estremamente azzeccata, specialmente di questi tempi: Schumpeter coniò il termine "distruzione creativa" per descrivere ed enfatizzare il ruolo dell'innovazione e dell'imprenditore nella crescita economica: senza di essi, non esiste miglioramento del tenore di vita.
Dal mio punto di vista, è azzeccata anche per quelli che l'Economist ritiene difetti: lo scetticismo nell'abilità dei governi di uscire da una recessione a forza di debiti e spese, il pessimismo sulle prospettive della democrazia, il suo liberalismo non adulterato e la sua adesione alla Scuola Austriaca. Se si vuole mischiare Keynes con Schumpeter, si ripeteranno semplicemente gli errori dei "Liberal" socialdemocratici , per l'ennesima volta.

Schumpeter: Taking flight | The Economist

lunedì, settembre 14, 2009

Lehman, un anno vissuto pericolosamente

Banche centrali e governi hanno dato la risposta sbagliata al problema giusto.


FALLIMENTO A SORPRESA -Il 15 Settembre del 2008 il management di Lehman Brothers gettava la spugna ed annunciava che avrebbe portato i libri in Tribunale. Per la prima volta nella storia recente, il governo americano accettava di lasciar dichiarare bancarotta ad una primaria istituzione finanziaria, dopo che le trattative con l’inglese Barclays non erano andate a buon fine. Si verificava quello che i trader di tutto il mondo avevano considerato un puro caso di studio sino a pochi mesi prima: una delle “Bulge Bracket“, le grandi banche d’affari di Wall Street, si avviava alla liquidazione. Si apriva così uno dei più grandi collaudi della solidità dell’infrastruttura che sostiene il sistema finanziario moderno. Il risultato è incoraggiante: il mondo non è crollato e il sistema ha imparato a correggere i propri errori; il risultato opposto a quelli ottenuti dai salvataggi governativi, che hanno incoraggiato un aumento di rischi e dimensioni, nell’attesa che chi è “troppo grande per fallire” verrà sempre salvato, soprattutto se politicamente fedele. La caduta di Lehman Brothers avvenne dopo alcune settimane di attività febbrile intorno al settore delle banche d’affari americane, particolarmente vulnerabili alla crisi finanziaria in atto già da quasi un anno. La dichiarazione di fallimento fu totalmente inaspettata, per motivi politici più che finanziari. Il CDS e le obbligazioni Lehman scambiavano già a livelli che suggerivano un’imminente chiusura, ma molti operatori davano per scontato che il governo e la Federal Reserve sarebbero intervenuti, come accaduto con Bear Stearns. La più piccola delle bulge bracket firms aveva subito una crisi di liquidità sei mesi prima ed era stata acquistata dalla concorrente J.P. Morgan, dopo che la Federal Reserve aveva acconsentito a farsi carico di decine di miliardi delle eventuali perdite sui titoli in portafoglio alla banca d’affari. Quasi contemporaneamente a Lehman, Goldman Sachs e Morgan Stalney furono costrette a cercare iniezioni di capitale da nuovi azionisti, per tamponare le falle in bilancio, Merrill Lynch fu costretta a vendersi al colosso bancario Bank of America (BoA); il Ministero del Tesoro e il governatore della Fed Bernanke sono stati accusati di avere esercitato indebite pressioni sulla dirigenza della banca acquirente, minacciando ritorsioni nel caso la banca non avesse chiuso l’operazione . L’acquisto di Merrill Lynch è costato miliardi di dollari in svalutazioni a BoA ed ai suoi azionisti, mentre la Federal Reserve è in rosso per circa 8 miliardi di dollari sui portafogli incamerati per facilitare l’acquisizione di Bear Stearns. Per contrasto, la liquidazione di Lehman sta procedendo in maniera relativamente ordinata. Da cosa nasce la disparità di trattamento fra Bear Stearns, Merrill Lynch e Lehman? Perché non si è scelta la strada della liquidazione anche per Bear Stearns, o per Merrill Lynch?

BANCHE O NON-BANCHE? Il problema maggiore è stato che le cosiddette “investment banks” non erano, in teoria, banche nel senso comune del termine. Non avevano la possibilità di aprire conti correnti e di raccogliere depositi presso il pubblico, né di offrire direttamente prestiti o mutui agli individui. In cambio, erano soggette a norme di vigilanza meno stringenti rispetto alle banche commerciali propriamente dette. Le uniche, parziali, eccezioni erano le due banche universali J.P.Morgan e Citigroup, che si configuravano come gruppi diversificati, comprendenti sia una società che esercitava attività d’intermediazione e consulenza ad aziende e investitori, sia una serie di banche commerciali. Le altre banche d’affari erano quasi soltanto dedite alla compravendita di titoli e di portafogli di prestiti originati da altre banche; sino al 2005, soltanto le “anomale” Citigroup e J.P.Morgan mantenevano grandi portafogli titoli per investimento, anche se tutte detenevano ”magazzini” impiegati per fornire prezzi in maniera continuativa (il cosiddetto market-making) oppure per fungere da materia prima per costruire titoli strutturati. Non a caso, il termine gergale per definirle negli ambienti finanziari è “broker”, ossia intermediari puri.

A partire dal 2004-2005, la manipolazione dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali e la manipolazione del mercato dei cambi da parte della Cina e di altre nazioni asiatiche aveva creato una condizione di eccessiva liquidità: tassi troppo bassi avevano incentivato l’assunzione di debito, mentre la domanda di titoli in dollari aveva distorto la percezione del rischio. La bolla che ne seguì fu particolarmente severa nel campo delle cartolarizzazioni garantite da mutui; Il fatto che i prezzi nominali delle case non fossero mai calati, a livello nazionale, dai tempi della Grande Depressione fece nascere la percezione che i mutui sottostanti alle cartolarizzazioni fossero molto più sicuri di quanto fosse ragionevole prevedere; i bassi tassi ebbero un doppio effetto: incentivarono chi voleva indebitarsi per comprar casa, aumentando l’offerta; stimolarono gli investitori a caccia di rendimento ad abbandonare i titoli di Stato e ad acquistare le cartolarizzazioni, che portavano rating molto elevati. Ad un certo punto, l’euforia contagiò le banche d’affari; iniziarono a credere alla propria stessa propaganda. Una ad una, affiancarono al ruolo di intermediari quello di investitori; prive di depositi e di raccolta a lungo termine, s’indebitarono massicciamente a brevissimo termine sul mercato monetario e trattennero nei portafogli d’investimento grandi quantità di titoli illiquidi, in particolare mutui residenziali e commerciali. Il rischio, invece di essere distribuito fra investitori professionisti, rimaneva immagazzinato nei veicoli fuori bilancio di proprietà di banche commerciali e broker. Gli azionisti vedevano, anche se solo parzialmente, ma soltanto una minoranza si preoccupava: la strategia fruttava denaro, il rischio sembrava ridotto e tutti si aspettavano che, in caso di problemi, il Governo sarebbe intervenuto. I creditori vedevano, ma anni di mercato toro e di supporto automatico da parte delle banche centrali li avevano resi compiacenti: pur di guadagnare interessi, si accettavano tassi ridotti e, soprattutto, poche garanzie sui prestiti a breve.


BOLLA E CROLLO - Fra il 2007 e l’inizio del 2008, lo scoppio della bolla immobiliare americana mise in crisi il mercato: l’assunto centrale che i prezzi degli immobili negli USA non potevano scendere era stato smentito, alterando drasticamente il profilo di rischio percepito, con un quasi immediato crollo dei prezzi. A questo punto, i giganteschi magazzini si trasformarono rapidamente in una formidabile pietra al collo: gli aumenti di valore negli anni erano stati distribuiti agli azionisti sotto forma di dividendi, tramite denaro presto a prestito impiegando quegli stessi titoli come garanzia. Adesso, le svalutazioni facevano scattare richieste di integrazioni di tali garanzie, aumentando la necessità di liquidità da parte del debitore. Fu la scintilla che innescò la grande crisi di liquidità: il credito a breve e brevissimo termine si prosciugò quasi immediatamente, portando al dissesto i “giocatori” più deboli e meno liquidi. Ogni intermediario cominciò ad insistere nel rispetto dei termini delle garanzie sui prestiti a clienti e controparti, esacerbando il problema. Banche ed investitori ricordarono improvvisamente quanto dipendenti dai finanziamenti a breve fossero alcune istituzioni e smisero di far loro credito, oppure pretesero ampie garanzie, non soltanto sulle cartolarizzazioni, ma per qualunque linea di credito ed operazione finanziaria da rinnovare. I più forti e prudenti non ebbero particolari problemi. Per i più aggressivi ed indebitati, le cose divennero rapidamente drammatiche. Era l’inizio di uno dei cicli di crisi e “pulizia” del mercato finanziario, comuni sino agli anni ‘90, ma sconosciuti da quasi 15 anni. Bear Stearns era uno dei broker più aggressivi: storicamente la più piccola e spericolata fra le “bulge brackets”, non era soltanto molto esposta alla crisi immobiliare. Era anche attivissima nelle operazioni con gli hedge fund , fornendo loro non soltanto servizi di intermediazione, ma anche credito a breve termine. Lehman Brothers era storicamente forte nei settori delle commodities e del reddito fisso, settori dove i clienti richiedevano credito, ma si era sempre comportata in maniera decisamente prudente. Sino al 2006, almeno, quando il suo management decise di buttarsi anch’esso nella speculazione in conto proprio, esattamente quando cominciavano i primi dubbi sulla bolla. Bear Stearns ebbe fortuna: fu la prima a vedersi rifiutare credito dal mercato e la Fed, pur non essendo tecnicamente obbligata a farlo, fece pressioni per un salvataggio. Lehman non fu così fortunata: la banca inglese Barclays si era inizialmente offerta per acquisire Lehman in cambio di un aiuto di Stato simile a quello offerto a J.P.Morgan per Bear Stearns. L’incapacità di raggiungere un accordo portò alla chiusura dei colloqui ed al fallimento. Sui motivi del mancato accordo, le interpretazioni abbondano e, sicuramente, le maggiori dimensioni di Lehman e la nazionalità non americana di Barclays furono grossi ostacoli, anche se un’interpretazione maggiormente politica non può essere esclusa. Merrill Lynch venne “salvata” perché si ritene che un secondo fallimento, una settimana dopo quello di Lehman, avrebbe destabilizzato eccessivamente il sistema; la Fed ed il Tesoro, d’altronde, stavano già sussidiando per decine di miliardi di dollari le banche commerciali, implicate nello stesso genere di speculazioni. E’ quello che sarebbe davvero successo? Non esistevano davvero salvaguardie alla stabilità del sistema, al di fuori di un intervento della Fed? La legislazione sul fallimento e sul commissariamento bancario sarebbero davvero state inutili? Il fato, così differente, di Lehman rispetto alle altre banche ci permette di rispondere ad alcuni interrogativi, comparando i costi ed i risultati dell’intervento governativo, con i costi ed il risultato di una ristrutturazione tramite il Tribunale. Le risposte sono meno ovvie di quanto ci si potrebbe aspettare, anche senza considerareil maggior difetto dei salvataggi statali: la conferma che per i grandi, alla fine, paga sempre Pantalone.


PROTEGGERE LE TUBATURE - L’unico obbiettivo di una banca centrale, di fronte ad una crisi finanziaria, dovrebbe essere quello di proteggere il funzionamento del sistema, laddove gli accordi privati non garantiscano tale sicurezza; proteggere una singola banca, i suoi azionisti o i suoi obbligazionisti non è necessario e neppure desiderabile, perché significherebbe premiare imprese inefficienti ed investitori miopi, impedendo invece a d investitori banche più abili o prudenti di aumentare la propria quota di mercato, aumentando l’efficienza e l’innovazione nel settore. L’intervento governativo straordinario effettuato dalla Fed nel caso di Bear e di Merrill non ha danneggiato il sistema dei pagamenti, ma non è chiaro se fosse necessario; l’nfrsatruttura di mercato sembra avere infatti retto il colpo del fallimento di Lehman in maniera dolorosa ma istruttiva . Esiste già, infatti, un sistema di convenzioni, un intreccio di contratti standard,codificato dalle associazioni che fungono da forum di consultazione fra le banche attive su derivati e sistemi di pagamenti. Tali convenzioni dovrebbero minimizzare i rischi che il fallimento di una controparte metta a rischio la validità delle operazioni in derivati con i propri clienti e con le altre banche. Una parte fondamentale di questo intreccio è costituito da una sorta di “rete di salvataggio”, un insieme di clausole e di pratiche che dovrebbe assicurare una ordinata conclusione dell’operazione anche in caso di insolvenza di una delle controparti; ogni operazione viene svolta seguendo queste pratiche convenzionali. Questo sistema ha funzionato sorprendentemente bene, considerati i timori derivanti dalla crisi e dal fallimento di Lehman. Le controparti finanziarie della banca fallita sono riuscite ad ottenere quanto loro dovuto ed a riaprire nuovi contratti con altre banche, senza eccessivi costi; le corti fallimentari implicate non hanno frapposto ostacoli, permettendo una rapida risoluzione dei contratti di mercato, anche quando non si trattava di operazioni concluse su mercati regolamentati. Il funzionamento dei mercati dei derivati e dei pagamenti ha retto al colpo, quindi, anche se è risultata evidente la necessità di una serie di profonde riforme, alle quali stanno lavorando sia le autorità di vigilanza che, soprattutto, banche ed altri operatori. Le attività caratteristiche di Lehman sono state acquisite da Barclays e dalla giapponese Nomura, che hanno riassunto la maggior parte dei dipendenti. Invece di una serie di interventi ad hoc, ottimi dal punto di vista della pubblicità, del marketing politico e della propaganda statalista, ci dovremmo chiedere se non sarebbe stata sufficiente una interpretazione flessibile delle leggi sul commissariamento bancario ed, al limite, una riforma della nomativa. Persino la compassata BIS, la Banca dei regolamenti Internazionali si è espressa in tal senso, criticando l’ipotesi che esistano banche “troppo grandi per fallire”. Non è un caso che le grandi banche sono di nuovo impegnate nello stesso comportamento “speculativo” di un anno fa: la lezione tratta dal 2008 è che basta essere abbastanza grandi e abbastanza obbedienti e si verrà salvati. Qualche Lehman in più, fra le grandi banche, ci avrebbe evitato l’interferenza politica nei processi di allocazione di capitale e credito. Soprattutto, senza l’iperattivismo di banche centrali e governi, , ci saremmo evitati altre bolle speculative, che iniziano sempre con la manipolazione dei mercati da parte di coloro i quali ne dovrebbero essere i custodi e continuano, anche oggi, grazie alla convinzione che alla fine la politica permetterà a tutti di non pagare il conto. Quello lo pagano i cittadini, con calma.



Crosspost from Giornalettismo

venerdì, settembre 11, 2009

Fini , rifondatore di Forza Italia?

L'ipotesi di Italia Oggi suona intrigante: Fini vorrebbe fondare il nuovo partito liberale . Le posizioni di Fini al momento ricalcano sempre più quelle della Forza Italia del 1994. Che sia ora di riprendere quel progetto? In fondo, il Fini del 1993 stava già cercando di rendere l'allora MSI in un partito conservatore e liberale, con il plauso, ai tempi, di nientepopodimeno di Vittorio Feltri. La discesa in campo di Berlusconi fece sì che il desiderio di un "partito liberale di massa" fosse intercettato dalla Forza Italia originale, che tuttavia sembra poi poi averlo perso per strada sul finir degli anni '90, in favore di una riedizione del pentapartito.
Sarebbe auspicabile, per la destra e per il paese, riprendere quel cammino interrotto dopo la sconfitta del 1996. Rimane da vedere se è possibile, o se la sclerosi si sia già spinta troppo oltre. Per chi credesse che il PdL sia allo stesso livello del Polo di allora, ricorderei che siamo passati dai "professori" liberali a Bondi e Scajola (per tacere di altri), da Tatarella a Gasparri, da Miglio e Pagliarini a Calderoli, Cota e Borghezio.


Hat Tip: Hurricane_53

Il conto dei pasti gratis

Su Lakeside Capital, ecco il conto per l'INNSE: Aedes cederà "gratis" il terreno, in cambio del permesso a cementificare altre aree di Milano.

Non esistono pasti gratis. Se a qualcuno sembra che ne esistano, li sta rubando e corre il rischio che qualcuno, prima o poi, consideri il ladro come il suo prossimo pasto.
Sindacalisti e socialisti di vario genere dovrebbero ricordarselo, quando spacciano false speranze ai lavoratori e illudono le masse di poter ottenere il paradiso in terra, rubando ricchezza altrui: quando finisce di divorare i ricchi, la rivoluzione divora i propri figli e degenera in un inferno.

Never Forget 9/11

Era l'undici settembre 2001. Era la fine di un sogno lungo 12 anni, quello della libertà, per la prima volta, trionfante grazie all'impegno ed alla forza della ragione.
Scoprimmo che la ragione non era sufficiente, che anche nel ventunesimo secolo si può odiare la libertà, senza sentire ragioni.

"We will always remember. We will always be proud. We will always be prepared, so we will always be free".
Ronald Reagan

Via Krillix

giovedì, settembre 10, 2009

Lockerbie-Megrahi, la piccola Caporetto di Obama e Clinton : Giornalettismo

Crosspost da Giornalettismo.

La sinistra del Partito Democratico americano ha sostenuto per anni che dietro la guerra in Iraq vi fosse soltanto il petrolio. Quando è stato il loro turno, pare che siano riusciti a fare di peggio.

Alcuni giorni fa, il governo scozzese ha deciso di liberare il mandante dell’attentato di Lockerbie, il dignitario libico Abdelbaset Al Megrahi, che stava scontando una condanna all’ergastolo; il terrorista, una volta rientrato in Libia, ha ricevuto una accoglienza da eroe. La liberazione ha scatenato uno scandalo enorme sulle due sponde dell’Atlantico: il perdono di un noto terrorista, responsabile della morte di 270 persone e per nulla pentito delle sue gesta, non poteva non infuriare l’opinione pubblica angloamericana.
La mossa si è trasformata in un gigantesco boomerang, che sta devastando l’immagine pubblica del governo autonomo scozzese, diretto dal partito indipendentista e socialista SNP, quella del governo laburista di Gordon Brown ed ora, pare, quella dell’amministrazione Obama, sempre che l’aura di santità obamiana presso i media non riesca ad arginare il danno. Il rilascio è stato giustificato inizialmente per ragioni umanitarie: Megrahi è malato di cancro alla prostata; il ministro della giustizia scozzese si è assunto la piena responsabilità, ha dichiarato di non essersi consultato con nessuno e ha sostenuto che la clemenza mostrata non aveva nulla a che fare con le negoziazioni che l’inglese BP stava conducendo con il regime libico di Gheddafi. Con il passare dei giorni, tuttavia, questa versione comincia a mostrare delle crepe. Il primo di settembre, il governo scozzese e quello inglese hanno rivelato la corrispondenza che rivela come la Libia avrebbe avvisato Londra che la liberazione di Megrahi era essenziale per un miglioramento delle relazioni (leggi: i contratti petroliferi di Shell e BP). Jack Straw, segretario alla giustizia inglese, ha immediatamente scritto alla controparte scozzese per perorare la causa della liberazione del terrorista. Il governo di Gordon Brown avrebbe quindi scambiato un terrorista condannato per strage in cambio della benevolenza del raìs di Tripoli. Peggio ancora, sembrava che fosse avvenuto violando gli accordi con gli USA al riguardo, che prevede la consultazione fra i due governi in questi casi. Oltre, quindi, al tradimento dell’etica e della giustizia, che il moralista Brown non manca di omaggiare a parole, vi sarebbe stato anche il tradimento dell’alleato americano, che ha perso 189 cittadini nell’attentato di Lockerbie. Le reazioni dell’Amministrazione Obama sono state immediate e violente, con un crescendo di dichiarazioni scandalizzate e di prese di posizione smepre più decise.

Washington sostiene quindi di essere stata tenuta all’oscuro di essere stata ingannata dai laburisti. Purtroppo, anche questa parrebbe essere una menzogna, imbastita allo scopo di non imbarazzare Obama ed il suo ministro degli esteri, Hillary Clinton. Secondo il quotidiano inglese Daily Mail, infatti, autorevoli fonti del ministero degli esteri inglese sostengono che gli accordi fra Regno Unito e Stati Uniti siano sem stati rispettati: Hillary Clinton e Barack Obama sarebbero stati tenuti al corrente durante ogni fase della vicenda e non avrebbero mai posto obiezioni. Se fosse vero, si tratterebbe dei un esempio devastante d’incompetenza, o peggio, di una resa nei confronti del primo satrapo mediorientale di turno. Incompetenza, petrolio o volontà di pace a tutti i costi, anche a costo di sacrificare giustizia e dignità sull’altare del rapporto con il mondo arabo? L’amministrazione Bush, invadendo l’Iraq, aveva perlomeno l’alibi delle armi di distruzione di massa, della detronizzazione di un dittatore e dell’esportazione della democrazia. I feroci critici di tale intervento, i democratici, hanno sempre sostenuto che fosse soltanto per il petrolio. Adesso, l’amministrazione democratica si sarebbe invece resa complice dell’abdicazione alla volontà di un altro dittatore, pur di ottenere vantaggi petroliferi. Un bel passo avanti.

lunedì, settembre 07, 2009

Stento a crederlo, ma concordo con Alemanno

Vittorio Feltri, da quando è rientrato al Giornale, ha qualche piccolo problema di equilibrio. Dire che sia diventato più realista del Re è semplicemente un eufemismo: sembra quasi essersi tramutato nella versione in carta stampata di Emilio Fede. Potenza contante?
Per quanto mi sia divertito, da miscredente , allo spettacolo d'ipocrisia ecclesiale dato dal caso Boffo, il tono ed i metodi sono stati da tifoso, non da cronista. L'attacco a palle incatenate a Fini, poi, dimostra un serio problema d'equilibrio del Vittorio nazionale. Se persino Alemanno si chiede se Feltri é sicuro di aiutare il Centrodestra, è davvero il caso di pensare a quanti voti faccia guadagnare Feltri, in cambio dell'affondamento della reputazione del Giornale e della sua trasformazione in un foglio autorevole quanto il TG4. Feltri dovrebbe ricordare che lo stesso Berlusconi una volta ammise che "quando Emilio parla di me, perdo qualche migliaio di voti". Gli elogi di chi non è credibile non giovano all'autorevolezza dell'elogiato.

Tremonti, smemorato perché politico

Il ministro dell’Economia si scaglia contro le banche ed è in ottima compagnia: al G-20 tutti hanno capito che la caccia al banchiere paga. Purtroppo, la demagogia porta a soluzioni inutili nel migliore dei casi, dannose nel peggiore. E nasconde agli elettori le responsabilità dei politici.


L’accordo di massima uscito dal G-20 è un miscuglio di palliativi, buone intenzioni e caccia alle streghe. Le proposte sultetto ai salari, ad esempio, sono di natura prettamente demagogica, ma l’elettore che vede il proprio governo gettare miliardi di euro per evitare ilcommissariamento di una banca non vuole riforme; istintivamente, vuole vendetta. Tagliare i salari dei manager bancari soddisfa tale sete di vendetta, ponendo nel frattempo la classe politica in una luce positiva, quali i salvatori del sistema. Poco importa che la crisi sia nata proprio dove l’intervento e la sorveglianza delle autorità statali era più ampia, non dove erano meno coinvolte. Poco importa che le crisi bancarie peggiori degli ultimi anni sono avvenute senza alcun bisogno di innovazione finanziaria ed in contesti dove i compensi erano modesti: i bancari svedesi che portarono il proprio sistema finanziario al collasso negli anni’90 non guadagnavano certo bonus principeschi; negli stessi anni, Ventriglia e soci riuscirono ad affondare il Banco di Napoli senza stipendi d’oro, ma con una grossa mano da parte della politica. L‘atteggiamento apocalittico a cui ministro Giulio Tremonti si è lasciato andare è soltanto l’espressione più teatrale di questa strategia: noi italiani, si sa, adoriamo il melodramma e le scenate e Tremonti, ormai vero politico, rinuncia alla tecnica ed abbraccia la propaganda pauperistica per amor di palcoscenico. In realtà, il ministro sta abbaiando sotto l’albero sbagliato, seppure, almeno in parte, per i motivi giusti.

AIUTI SI’, AIUTI NO - Se Tremonti ragionasse ancora da tecnico, saprebbe che gli istituti che non accettano il Tremonti-Bond non sono traditori della patria, come li ha praticamente definiti. Nell’ipotesi più caritatevole, sono istituti virtuosi, che non hanno bisogno degli aiuti e Tremonti dovrebbe rallegrarsi di non dover metter mano al portafogli degli italiani. In un’interpretazione più maliziosa, sono miracolati dell’intervento politico, che ha alterato le regole del gioco rendendo meno pressante la necessità di raccogliere capitali. Ricordiamo, infatti, che anche il ministro Tremonti ha plaudito all’alterazione delle norme contabili che esentavano le banche dal riconoscere le perdite sui titoli tossici in portafoglio. Il Ministro si è anche in passato scagliato contro Basilea-2 , mai davvero entrata in vigore, perché avrebbe richiesto che anche i prestiti alle aziende venissero valutati in base alla solidità dei debitori. Se il Ministro avesse voluto che le banche ricapitalizzassero, avrebbe dovuto astenersi dall’interferire ( e con lui i suoi pari del G30): la ricapitalizzazione sarebbe divenuta ineludibile, per l’intero settore e si sarebbe potuti ripartire con una trasparente visione della gravità del problema.

ALLA RADICE DEI PROBLEMI - Il ministro si sta insomma lamentando delle conseguenze di interventi che aveva rumorosamente appoggiato. Allo stesso modo, sorprende l’altro punto dell’intervento tremontiano, ossia la lamentela che le banche sarebbero troppo preoccupate della salute dei propri bilanci e della tutela dei propri azionisti, rispetto al “bene comune”. Se i manager della banche si fossero preoccupati davvero dei propri azionistie dei propri bilanci, non avrebbero preso rischi eccessivi, ben consci che gli utili elevati spesso comportano rischi elevati. Quello che ha favorito la cultura del rischio ad ogni costo non è l’eccessivo potere degli azionisti. E’ stata l’autoreferenzialità dei dirigenti bancari, protetti dalla legislazione speciale che governa il mondo della finanza: in un mondo dove l’ultima parola spetta per definizione alle autorità di vigilanza, l’azionista è a malapena un altro dei creditori. Le proposte di ulteriore regolamentazione e vigilanza stanno quindi rafforzando il meccanismo che ha protetto i banchieri dalle conseguenze dei propri errori. Se il ministro Tremonti volesse davvero guardare in faccia la radice dei problemi nel settore meno esposto al mercato in tutto l’Occidente, dovrebbe guardare la foto-ricordo del G20 e quella di Jackson Hole, luogo della conferenza dei banchieri centrali.


Crosspostes da Giornalettismo

venerdì, settembre 04, 2009

Elaborare per differenziarsi

Crossposted su Libertiamo:

- Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha dato prova di buonsenso nella sua recente intervista al Corriere, su due temi importanti: l’importanza del dibattito e dell’elaborazione interna al Pdl e la necessità di evitare le tentazioni da Stato etico sulla legge del fine vita.
E’ corretto chiedere che il Pdl accetti la sfida della Lega e del Pd riguardo all’elaborazione intellettuale ed alla presenza sul territorio: inutile lamentarsi, se non si dibatte e non si elaborano proposte; se non ci si radica sul territorio, poi, non è certo colpa di Bossi e soci. E’ importante per il futuro del Pdl che tali sviluppi non siano semplicemente la scopiazzatura delle posizioni e delle pratiche altrui. Il Pdl ha una sua specificità, quella della difesa della libertà nella sicurezza, che è invece praticamente assente negli altri partiti italiani. Sarebbe utile all’intero Pdl che tale specificità venisse valorizzata, nelle proposte di legge e nella pratica sul territorio.
Un esempio spicciolo: è possibile venire incontro alle esigenze locali rimuovendo paletti e costi, invece che aumentando tasse e norme, ossia la conseguenza delle soluzioni normalmente indicate da Lega e dal Pd.
E’ altrettanto possibile, in Parlamento, proporre soluzioni ai problemi attuali che riducano, invece di aumentare, il peso dello stato e dell’intervento governativo. Questo approccio rappresenterebbe una reale novità, offrirebbe una concreta alternativa a tutto il panorama politico italiano. Sarebbe coerente con il messaggio del 1994, quello che portò al successo Silvio Berlusconi e che si è poi appannato, generando in maniera determinante le difficoltà (e il disincanto) degli anni successivi.

Si tratta di una strada sicuramente più ardua che una semplice “variazione sul tema” dello statalismo, caro al resto dello spettro politico. E’ una strada che passa attraverso un confronto serrato, nel quale le culture politiche non liberali del Pdl saranno chiamate ad accettare la sfida della competizione interna, non tanto e non solo sui singoli temi, quanto soprattutto sulla filosofia sottostante all’azione legislativa e di governo: gli obiettivi possono rimanere invariati, ma l’angolo dal quale vengono affrontati deve necessariamente cambiare. Ancora, è un percorso che passa atraverso la necessità di un rinnovato e concreto impegno per coloro che più si riconoscono nell’ idea liberale. Se, al contrario, siamo interessati soltanto a costruire l’ennesimo clone partitico, tanto vale ammettere che Lega, Udc e Pd sono più che sufficienti per una nazione collettivista.

giovedì, settembre 03, 2009

Il commento definitivo

Quoto in pieno Penna

"E' pur vero che il gioco del lancio della spazzatura non è stato iniziato da Feltri e che spesso a brigante si risponde con un brigante e mezzo, ma visto che viviamo in un Paese che non sta meglio degli altri indipendentemente da ciò che continua a dire Giulio Tremonti, ma anzi necessita di una lunga serie di riforme politiche ed economiche, sarebbe bene che si litigasse su idee e programmi e non si contribuisse a peggiorare ancor più la qualità del dibattito pubblico e politico solo perchè gli altri fanno già così. A volte i principali protagonisti dell'Italia di oggi ricordano quei bambini, magari di certe zone disgraziate dell'Africa, che giocano su cumuli di rifiuti, eppure sono felici perchè, poverini, non hanno mai visto altro e pensano che ciò che li circonda sia del tutto normale."

Se Bush non era keynesiano, non lo era neppure lo stesso Keynes

Probabilmente è vero che Bush Junior non era keynesiano, ma in base alla tassonomia economica prevalente,allora neppure Keynes era keynesiano.

"Uno dei capisaldi della dottrina keynesiana era il perseguimento del pareggio di bilancio entro un ciclo economico" , scrive l'ottimo socio. Verissimo, ma venne ignorato da chiunque seguì - ed in parte dallo stesso Keynes. Questo caposaldo non è tenuto in enorme evidenza neppure da Keynes stesso, probabilmente per ragioni storiche: Keynes scriveva in un mondo ossessionato dalla disciplina di bilancio ed alle prese con la Grande Depressione; la necessità dell'azzeramento del deficit veniva data per scontata ed andava reinterpretata per coprire il ciclo e non il mero budget annuale dello stato.
Il suo approccio ha tuttavia permesso alla scuola che proclama di averlo preso a modello, universalmente definita "keynesiana" di indebolire tale requisito sino a renderlo quasi ininfluente. Non cominciamo neppure a discutere della pletora di politici che vi hanno aderito per convenienza, ricordandosi soltanto della parte nel quale si discute di spesa pubblica illimitata e della corte di pseudoeconomisti che hanno fatto loro da coro.
E' questo il grande difetto di Keynes: aver legittimato sul piano intellettuale una pratica deleteria, senza preoccuparsi delle conseguenze. La sua iconoclastia ha messo in ombra anche quella parte della teoria economica che era essenziale anche per la propria stessa teoria, lasciando gioco libero ai suoi epigoni. Un altro esempio della legge delle conseguenze inattese.

mercoledì, settembre 02, 2009

JFk, repubblicano. Altro che Ted Kennedy

Certi fans della famiglia di Camelot avrebbero bisogno di un corso di storia. Perché forse ammirano la persona giusta per il motivo sbagliato.

La morte di Ted Kennedy, ultimo rappresentante di una delle dinastie politiche regnanti sul Partito Democratico americano, ha scatenato una salva di eulogie e di rimandi nostalgici agli illustri fratelli. La sua posizione è sempre stata dipinta come la naturale continuazione dell’opera del celeberrimo JFK e di Bob Kennedy, una battaglia contro le forze della reazione e dell’oscurantismo, spesso personificate soprattutto all’estero dal Presidente Richard Nixon. Il “leone progressista” , insieme a buona parte dell’establishment democratico, ha costruito la propria carriera sulla difesa dei diritti delle minoranze e nell’estensione dello stato assistenziale, anche a costo di un aumento del carico fiscale e dell’intervento statale nell’economia. La sinistra democratica, inoltre, ha sempre avuto il pacifismo fra le proprie bandiere, soprattutto nei confronti dei regimi politici di sinistra.
Peccato che Ted, nei fatti, sembri più vicino alle peggiori idee di NIxon che alle posizioni dell'eroe e fratello. Il motivo lo leggete su Giornalettismo

Questione di Costituzione

Sofia Ventura si chiede se Può un’idea moderna di Patria fondarsi sui valori della Costituzione. Direi di sì, basta stare attenti a quale Costituzione usare come fondamento. Quella italiana è materiale buono per la casetta dei tre porcellini.

martedì, settembre 01, 2009

Arafat, Nobel per la pace

Un'immagine vale più di mille parole.
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Yasser Arafat, Nobel Peace Prize prize winner

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Utili aziendali: le attese col trucco.

Anche l'ultima "earning season" americana ha riportato un trionfo di risultati nettamente superiori alle attese. LA situazione sembra meno rosea quando si considera quali fossero i livelli delle attese.
I grafici seguenti tracciano l'andamento delle stime sugli utili nel tempo. Si osservi che il livelli di utili operativi sull'indice S&P è risultato dle 30% persino alle attese di Marzo, dopo quindi le pubblicazioni dei risultati aziendali del primo trimestre. Il "successo" avviene soltanto grazie al drastico abbassamento dell'asticella. Lo stesso processo si può ammirare nel grafico più a destra: le attese per il terzo trimestre continuano ad essere riviste al ribasso.
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 THE EARNINGS SHELL GAME
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