mercoledì, marzo 31, 2010

particelle regionali

Avrei voluto scrivere una sintesi, ma il90% del lavoro lo ha già fatto Simone. Si possono aggiungere soltanto due cose: la prima è che bisognerà capire quanto la Lega sia ancora un partito di destra, prima di subappaltarle definitivamente il Nord Italia, con o senza Lombardia. LA seconda è che il PD non riesce a vincere, neppure quando ha ottimi candidati e quando il PdL fa di tutto per fare harakiri. A sinistra pagando caro, ma non stanno ancora pagando tutto.

lunedì, marzo 29, 2010

L'integralismo cattolico gareggia con quello musulmano

Non c'è solo l'integralismo islamico: per reazione, ecco l'integralismo cattolico ...

Molti militanti laici, giustamente, sorvegliano da vicino l'integralismo islamico. Ma non bisogna dimenticare, con il pretesto che è meno visibile, l'integralismo cattolico che rischia di porre dei problemi maggiori tra qualche anno, già per il fatto che potrebbe bene allearsi con l'islam radicale.



Molto attivo in Francia, l'integralismo cattolico si sta espandendo a tal punto che la televisione svedese, paese dove i cattolici sono meno del 5%, si allarma di un processo di conversione all'integralismo cattolico dei giovani svedesi cresciuti in ambienti atei. I cattolici integralisti sono circa 120.000 in Francia, ma la loro proporzione tra i cattolici praticanti è stata moltiplicata per 20 in quarantanni passando da 0,5 a 10%



Gli integralisti cattolici hanno calcato i loro metodi su quelli dei musulmani e si assiste ad un processo di « alienazione » inverso a quello delle comunità immigrate. Mentre la prima generazione di integralisti cattolici (1970) era talmente integrata nella società che reclutava essenzialmente nella grande borghesia, la terza generazione ha più punti in comune con gli ambienti islamisti rispetto al resto della popolazione francese che è giusto chiedersi se ne fa ancora parte!


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La propaganda obamiana sul 24 Ore

Forse è vero che La minaccia ad Obama parte dal Texas, ma di certo la sua elencazione dei padri nobili delle "due americhe" in guerra è profondamente errata e di parte.
Così Claudio Gatti, del Sole 24 Ore:

Tra l'Atlantico e il Pacifico, oggi più che mai esistono due Americhe. C'è l'America di Barack Obama e di Nancy Pelosi, rispettivamente figlio di un keniota e nipote di un abruzzese, che è quella che ha riformato il sistema di assicurazione sanitaria e ha come modelli Thomas Jefferson, Franklin Delano Roosevelt, i Kennedy (da John a Ted) e Martin Luther King Jr.
E c'è quella che ama presentarsi come la "real America" fatta di gente dai cognomi più tradizionali e che nella riforma vede un ennesimo passo nel processo di socializzazione dell'economia nazionale imposto da una classe politica corrotta e senza più alcun vincolo, né genetico né culturale, con i padri fondatori del paese.È l'America platealmente cristiana, che ha come miti politici il leader dell'esercito confederato Thomas " Stonewall" Jackson, Ronald Reagan e Newt Gingrich, e si sente rappresentata dalla Moral Majority e dalla National Rifle Association, la lobby delle armi da fuoco.
[...]Via anche Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori del paese che nel 1801, da presidente, introdusse il concetto della separazione tra Stato e Chiesa con la sua interpretazione del primo emendamento della Costituzione

Gatti prende una delle frange più lunatiche della destra americana e la eleva a paragone per l'intero movimento, arrivando a contraddirsi, oppure a dimostrare una discreta ignoranza di ciò che sta a destra dei socialdemocratici che si spacciano per "liberal" . Thomas Jefferson è un'icona dei libertari e dei conservatori americani, a causa della sua strenua opposizione allo stato centralista ed all'invadenza governativa nella sfera personale; Jefferson è stato un eroe sia per Ronald Reagan sia per Newt Gingrich, deifniti da Gatti stesso i "miti politici" di quelli che lui nomina come i "portavoce" dell'America profonda, impiegandoli per descrivere metà dell'America come una banda di bifolchi creazionisti. La realtà è che, per quanto religiosi siano, pochissimi americani contestano la posizione di Jefferson sulla separazione fra Stato e Chiesa, una posizione che non è fra l'altro per nulla eccezionale fra i Padri Fondatori. Ci dispiace per Claudio Gatti, ma evidentemente ha letto troppo a lungo il New York Times , versione americana di Repubblica, invece di svolgere il proprio mestiere d'inviato. Il fatto che si permetta di paragonare Ted Kennedy a Roosevelt o a Jefferson getta molta più luce sui suoi pregiudizi, che su quelli dei repubblicani che vorrebbe infangare. Speriamo di non dover socprire che l'articolo è l'ennesimo copia e incolla dell'ennesiomo articolo di propaganda tipico dle New York Times nei suoi momenti peggiori.

venerdì, marzo 26, 2010

Regionali: La Lega riesce ad essere più statalista del PD

Su Chicago Blog, una bella disamina delle promesse elettorali regionali, dal punto di vista del mercato. La miglior definizione dei programmi leghisti viene parlando di quello di Zaia: roba da Carta di Verona, il manifesto economico della Repubblica di Salò, vetrina del fascismo di sinistra, che coniugava collettivismo e manganello.
I programmi dei candidati, quando presenti, danno insomma ragione a Bossi quando parla di Lega "del popolo" . Nel senso di partito degno del Fronte Popolare: la Lega è ormai più statalista ed assistenzialista del PD e le sue politiche di spesa implicano una spirale del debito oppure una ripetuta rapina fiscale ai danni dei ceti produttivi. Se la cosa va bene a Maroni e Bossi, ex-sinistri, stupisce che qualcuno ancora s'illuda che il partito padano sia antitasse ed antistatalista. Quando li sentite urlare "basta tasse ", non significa che ne pagherete di meno: significa che le pagherete alla Casta Lumbard, dalla Trota Renzo Bossi in giù, invece che a Montecitorio. Non ci pare un gran cambiamento.

Grecia, il salvataggio: poco bastone, molta carota, probabile insuccesso

Il piano di salvataggio per la Grecia offre ricorda quello di Fannie Mae e Freddie Mac, finito in lacrime amare per i salvatori e con larghi sorrisi per molti, tropi fra i salvati. Al momento, infatti, nell'accordo raggiunto all'Eurogruppo la carota è evidente, ma il bastone è quasi assente.

Da un lato, i paesi membri dell'Unione Europea si sono accordati su di un piano per garantire una rete di sicurezza nel caso Atene non riuscisse più ad accedere al mercato dei capitali. Al contrario di quanto riportano alcuni media tradizionali non sono previsti prestiti immediati, politicamente impossibili per la Germania sino a Maggio. I governi europei si sono invece impegnati in una garanzia: presteranno denaro tramite prestiti bilaterali, insieme al FMI, qualora il mercato dei capitali non sottoscrivesse più i bond greci. Quello che nessuno ha voluto chiarire sono i dettagli vitali del piano, a partire dalle condizioni per le quali scatterebbe la garanzia e le concessioni che Atene dovrebbe fare per essere salvata.

Secondo le dichiarazioni tedesche, non vi sarà necessità di prestiti fino a quando i mercati continueranno a prestare denaro ad Atene: non importa quanto onerose le condizioni e le cedole che la Repubblica Ellenica dovrà pagare, la garanzia è, secondo Berlino, da impiegare soltanto in casi disperati. Si vedrà fra poche settimane se la disciplina tedesca funzionerà oppure se farà la fine dei criteri di Maastricht, spesso disattesi nel silenzio generale.

Ricordiamo che non sarebbe difficile, per il governo greco, far scattare le garanzia. Il ministro delel finanze da qualche giorno ha già smesso di parlare di sopravvivenza ed è passato invece a lamentarsi dei tassi d'interesse che la Grecia deve pagare, a suo dire troppo onerosi. Se il ministero del Tesoro si rifiutasse di pagare i rendimenti richiesti dagli investitori internazionali per compensare il rischio greco, le aste dei titoli di stato elelnici andrebbero deserte ed Atene potrebbe invocare l'esecuzione del piano di garanzia.

Il percorso rischia di essere simile a quello avvenuto per Fannie Mae e Freddie Mac: una serie di garanzie statali che nessuno si aspetta di dover pagare, ma che ala fine hanno obbligato il governo americano ad assumere il controllo delle due agenzie, al costo di centinaia di miliardi di dollari: esattamente il risultato che si voleva evitare.Se la Grecia fosse un'azienda, un simile comportamento porterebbe all'amministrazione controllata, alla ristrutturazione del debito ed al licenziamento dei suoi dirigenti.

Essendo uno Stato sovrano, il commissariamento sarebbe improbabile, lasciando quindi Francia e Germania con un conto salato da pagare e quasi nessun modo per imporre alla Grecia un percorso di risanamento: la retorica nazionalista è già elevata, con il vice primo ministro greco che un mese fa dava dei "nazisti" ai tedeschi, colpevoli di voler imporre condizioni prima di ripagare i debiti contratti da Atene.

Il calendario elettorale tedesco condanna la Grecia?

Il debito greco è appeso al calendario delle elezioni regionali tedesche? Il governo di Berlino non può permettersi di mostrarsi debole prima delle elezioni del 9 maggio. Ad Atene, tuttavia, servono decine di miliardi a partire dal 20 di Aprile.

In quel giorno, infatti, scadono €8.2 miliardi di titoli di stato della repubblica ellenica; il 13, 16 e 23 di Aprile vi sono aste per 1, 1.3 1.6 miliardi di titoli a breve termine, l'equivalente dei nostri BoT, aste che servono a rifinanziare debito analogo in scadenza negli stessi giorni; altri 10miliardi di titoli scadono a fine Maggio e vanno rifinanziati. Urge una soluzione che calmi i mercati prima di quella data, oppure è molto probabile che il governo greco dovrà scegliere fra tassi d'interesse a due cifre o il fallimento delle aste , con conseguente crisi fiscale. Il governo tedesco è la chiave di volta dei negoziati: Parigi esige un compromesso, ma non vuole saperne di mettere soldi sul tavolo per prima; senza Berlino, che quando si parla di Europa deve pagare la maggior parte del conto, ogni soluzione è semplicemente irrealistica.

Il governo tedesco si è dimostrato sinora ambiguo, anche nella retorica, ma non si tratta semplicemente dell'amore tedesco per il rigore. Il Cancelliere Angela Merkel deve vedersela fra due opposte necessità politiche: da un lato, evitare ulteriori perdite le banche statali tedesche, lottizzate anche dal proprio partito; dal'altro, una popolazione fortemente ostile all'idea di un salvataggio della Grecia. Purtroppo per lei, il governo greco avrà bisogno di emettere decine di miliardi di euro tre settimane prima.

Il salvataggio del governo di Atene è profondamente impopolare con l'elettorato tedesco, abituato a tirare la cinghia per mantenere finanze pubbliche in equilibrio e che ha sinora impedito persino di salvare il governo locale di Berlino dalla propria imperizia fiscale. Questo potrebbe essere un problema relativo, se non fosse che le elezioni regionali si terranno il 9 di Maggio ed il partito della cancelliera rischia grosso. Ricordiamo come i Land, le regioni tedesche, abbiano poteri rilevanti nell'assetto federale teutonico e che nominano i componenti dell'equivalente del Senato. La tornata elettorale è quindi d'importanza sostanziale per la governabilità a livello nazionale e non soltanto per gli equilibri politici interni. La popolarità della CDU è in calo e probabilmente questa volta non ci sarà l''ottimo risultato degli alleati liberali a salvare la faccia: la FDP si è dimostrata troppo accomodante e non è riuscita né ad imporre un taglio delle tasse accompagnato da una maggior disciplina fiscale, annacquando inoltre il proprio messaggio d'intransigente difesa della libertà economica oltre che civile; rischia quindi un calo consistente alle urne.

D'altro canto, il supporto tedesco alla Grecia non è, tuttavia, un puro atto di altruismo. Le Landesbank, ossia le banche regionali tedesche di proprietà dei governi locali, sono pesantemente lottizzate dai due maggiori partiti politici. Esaurita la loro ragion d'essere decenni fa, sono sopravvissute prendendo in prestito a tassi ridotti, grazie alle garanzie statali ed investendo in titoli rischiosi. Non a caso, sono state fra le maggiori acquirenti mondiali di titoli subprime, con buona pace dei sermoni della Cancelliera sugli speculatori; in precedenza, alcune di esse avevano già perso miliardi in speculazioni immobiliari ed in avventure nel mondo del private equity e della pura speculazione in derivati esotici. In pochi sono rimasti sorpresi, quindi, quando si è scoperto che i maggiori detentori di debito greco sono proprio le banche regionali tedesche, insieme ad alcune banche francesi. Volendo essere cinici, si comprendono meglio le tirate dei ministri di Parigi e Berlino a favore della Grecia: una ristrutturazione del debito esporrebbe a pesanti perdite istituti di credito immediatamente riconducibili alle élites politiche nazionali, quegli istituti dove "non si parla inglese" che anche il nostro Ministro del Tesoro vede come i pilastri del nuovo ordine finanziario mondiale, un ordine che sembrerebbe nascere con tutti i difetti del vecchio e senza alcuna garanzia di godere dei suoi pregi.

Se l'Unione Europea vuole evitare a tutti i costi il fallimento greco, non può aspettare fino a Maggio: deve accettare l'idea che questa volta qualcun altro dovrà pagare, anche prima che lo faccia Berlino. Un accordo politico nel quale non si vedano i tedeschi pagare e i francesi limitarsi a comandare ed incassare sarebbe una svolta veramente epocale, anche più del fallimento di un paese membro.

lunedì, marzo 22, 2010

Obamacare, Bush e la lezione per la politica italiana

La riforma sanitaria americana e' passata, nonostante la razionalità economica, i numeri e la maggioranza degli elettori fossero contrari allo sgorbio partorito da Obama e dai democratici. La responsabilità di questo disastro ricade in buona parte sulle spalle dei repubblicani, incapaci d'offrire un'alternativa credibile dopo otto anni di governo statalista e pseudo-democristiano di Bush jr oltre e di una maggioranza parlamentare incapace di varare una sola riforma veramente liberale in quegli stessi otto anni. E' una lezione su cui il centrodestra italiano dovrebbe meditare, invece di complimentarsi con Obama per questo ulteriore passo nella direzione sbagliata, Berlusconi dovrebbe chiedersi le ragioni del fallimento epocale di un conservatore che si è dato alla spesa assistenziale, finendo per rafforzare i suoi avversari screditando l'idea che non si possa risolvere alcun problema senza un aumento dell'interferenza governativa.
Il nostro centrosinistra, infine, dovrebbe pensarci bene, prima di esultare per una vittoria ottenuta con i più bassi espedienti di voto di scambio e a colpi di decretini d'emergenza - gli stessi metodi che ritengono abominevoli quando impiegati dal PdL.

Nessuno ha contestato la necessità di una riforma sanitaria negli USA: il sistema è distorto, malfunzionante e troppo costoso. Il problema maggiore è che le riforme che stanno divenendo legge sono quelle sbagliate: non porteranno immediatamente allo sfascio italico, ma non risolvono gran parte dei problemi fondamentali del sistema americano; curano invece alcuni dei sintomi più evidenti tramite sussidi costosi, tasse controproducenti ed oneri impropri sulle società assicurative, che provvederanno prontamente a scaricarle sugli utenti o a nasconderle nel conto che presenteranno al governo. Da liberali, dobbiamo notare come questo provvedimento costituisce l'ennesimo passo, pieno di ottime intenzioni, verso un'economia centralizzata: la storia ci mostra elevatissime probabilità di tramutarsi in un costoso disastro, o , peggio , nel pretesto per unlteriori interventi "umanitari" ancora più perniciosi per la libertà individuale.

I due problemi principali dell'assetto sanitario americano sono noti: il numero di non assicurati è ancora elevato e l'aumento dei costi sanitario è molto più elevato dell'inflazione o della crescita dei salari. Entrambi i problemi sono causati, almeno in larga parte, dalle distorsioni al mercato sanitario introdotte da decenni di interferenze governative, non da un qualche fallimento intrinseco al meccanismo mercato.

I democratici hanno ricercato una soluzione ideologica, estendendo il principio per cui è una burocrazia assistenziale a decidere come debba essere gestito il settore sanitario. Invece di eliminare le distorsioni fiscali e legali per il funzionamento del mercato, si pone un ulteriore strato normativo che, con lo scopo di difendere i pazienti, rischia di crear eulteriori distorsioni. Assicurazioni, società farmaceutiche e dottori sono stati "comprati" con la promessa che i sussidi saranno rilevanti e che avranno a disposizione una nuova platea di persone obbligate ad assicurarsi; i cittadini si sono sentiti dire che non pagheranno nuove tasse e che la qualità delle cure fornite non peggiorerà, anche quando verranno imposti premi assicurativi più bassi; a tutti, che le tasse non aumenteranno, perché vi saranno risparmi rilevanti .grazie all'intervento governativo. Fra qualche anno, tutti gli attori in gioco scopriranno quanto sia saggio fidarsi della promessa di un politico.

Le proposte presentate dai repubblicani cercavano di risolvere entrambi i problemi tramite l'eliminazione delle distorsioni fiscali, un ampliamento della concorrenza fra assicuratori ed ospedali, una serie di incentivi ad aprire nuove strutture e a migliorare il controllo degli individui sulle spese dei propri medici. Purtroppo per il partito e per la nazione, i progetti di riforma sono rimasti a languire nei meandri del Congresso per ben otto anni. Per aggiungere il danno alla beffa, il partito di Ronald Reagan votò insieme ai democratici la proposta di legge di Bush Jr. che ampliava ulteriormente i sussidi sanitari ad anziani e poveri, insieme ad una lunga serie di provveidmenti statalisti e assisenzialisti che distrussero la reputazione del GOP quale partito della disciplina fiscale e dell'opposizione allo Stato pesante. Il risultato non è tardato ad arrivare: gli americani si sentirono privi di un'alternativa fra statalisti e liberali e, costretti a scegliere fra corporativisti di destra e socialdemocratici di sinistra, scelsero l'originale rispetto all'imitazione pseudo-conservatrice, esattamente come accade in Europa da decenni.

La lezione per il centrodestra nostrano è chiara: se vogliamo davvero la "rivoluzione liberale" e riforme ch eci liberino dal peso oppressivo dello stato, queste vanno fatte il prima possibile; altrimenti, il peso degli interessi costituiti trasformeranno ogni partito liberale in una macchina assistenzialista. Questo processo è purtroppo in corso nel PdL, che parte già contaminato da un elevato numero di ex-sinistri che, al primo momento di cirsi, hanno abbandonato la livrea liberale per mostrare i propri autentici colori. Silvio Berlusconi , invece di correre a congratularsi, dovrebbe meditare sulla parabola del predecessore di Obama: il PdL rischia di fare la stessa fine del Partito Repubblicano, se abbandona ciò che lo distingue maggiormente dai propri avversari di sinistra. E' vero che i Repubblicani hanno abbandonato nei fatti l'antistatalismo, diventando un partito assistenzialista e sono sopravvissuti per un'intera legislatura a colpi di favori corporativi, ma il successivo crollo è stato devastante ed improvviso, non appena i democratici hanno trovato un volto pubblico credibile: il GOP non aveva più nulla da offrire che non fosse disponibile anche a sinistra, salvo una sottile velatura retorica pro-mercato.

I vertici della sinistra italiana, invece, stanno festeggiando la vittoria collettivista, in nome del "fine che giustifica i mezzi", come ai bei tempi del PCUS e del sangue nelle strade. iI passaggio della riforma sta avvenendo con stratagemmi al cui confronto i berluscones fanno la figura die dilettanti, ma ovviamente ai nostri democratici interessano soltanto le scorrettezze degli avversari. Ricordiamo che, ad esmepio, per ottenere il voto del senatore del Nebraska la legge garantisce con un codicillo ad hoc l'esenzione dia costi per la riforma per i residenti in quello stato. PEr ottenre iil voto della sinistra, si lascia aperta la possibilità che la mutua paghi l'aborto; per palcare gli antiabortisti, il presidente ha promesso che firmerà un executive order., ossia una circolare amministrativa, che ordinerà ai funzionari pubblici di non rimborsare gli aborti. La procedura con cui si sta cercando di passare la legge è poi di costituzionalità dubbia: il testo del Senato non era accettabile per tutti i democratici alla Camera, ma è necessario evitare la necesità di un secondo voto al Senato, non più blindato per i democratici; il progetto di legge è stato quindi dotato di un "sidecar", un'aggiunta nella quale si concentrano emendamenti e modifiche decise alla Camera, e rimandato in Senato; si spera ch eora siano necessari soltanto 51 voti e non i 60 normalmente richiesti in Senato. Rimarrà celebre il fuori onda di un deputato democratico "Regole? Le regole si fanno man mano che si procede ". I pidiellini sono dilettanti, a confronto di questi contorsionismi costituzionali (sui quali la Corte Suprema si dovrà probablilmente pronunciare). Qualcuno avvisi Bersani, Travaglio e Di Pietro: la loro sensibilità liberale alla santità delle procedure costituzionali potrebbe venire gravemente offesa dal loro idolo. Probabilmente lo sanno già, ma sanno anche che non si può fare la rivoluzione senza spaccare qualche testa, con buona pace degli ingenui che li seguono. L'aggettivo "liberal" appare sempre più una triste ironia, impiegata per definire qualcuno che di liberale non ha più nulla, se non quando gli è comodo per criticare un avversario.

domenica, marzo 21, 2010

L'abbiamo fatto capire. Ora dobbiamo capirlo noi stessi

La manifestazione ha mandato un messagio chiaro ai cacicchi della sinistra:Noi ci siamo, e siamo tanti (HT: DAW). Perché , con tutti i difetti che si possa imputare alla destra italiana, ci manca quello di avere perennemente torto e di arrogarci il diritto di riscrivere la storia per nasconderlo dietro un velo di menzogne ed ipocrisie.

Adesso dobbiamo però trovare il modo di inviarne uno a destra: siamo tanti, vedete di fare qualcosa di quello che ci avete promesso, invece di comportarvi come la copia incompetente del pentapartito. Perché noi ci siamo, a destra. Voi, ogni tanto, siete rimasti fra nani e ballerine: ai piedi di quel predellino, ci si riempe la bocca di verbi come "fare"anche per nascondere il fatto che non si sa quasi neppure che cosa dire. Invece di fare casino, fatevi da parte e mettete il guinzaglio corto alle burocrazie che teoricamente controllate.

lunedì, marzo 01, 2010

A Taiwan nessuno vuole farsi annettere dalla Cina comunista. Come piacerebbe ad Obama.

La presidenza dell'isola può anche essere tornata al rappresentante del partito nazionalista, ma questo non vuol dire che gli elettori di Taiwan vogliano sottomettersi al regime di Pechino ed abbandonare il proprio regime - che non sarà eccessivamente liberale, ma li ha serviti infinitamente meglio della dittatura comunista. La vittoria del Kuomintang nel 2008 aveva illuso la dirigenza del partito di avere un mandato per negoziare legami sempre più stretti con la "madrepatria", mentre il risultato era probabilmente dovuto ai difetti dell'avversario: il partito indipendentista è stato travolto da un'ondata di scandali e corruzione ed aveva già visto indebolirsi il proprio consenso a causa di politiche troppo socialdemocratiche per un elettorato che preferisce il libero mercato. Una conferma della miopia dei nuovi vertici taiwanesi è giunta dalle urne, dove i nazionalisti hanno appena incassato una bruciante sconfitta. Un monito per chi è stato eletto perché il meno peggio ed ha creduto di poter vendere l'isola ai cinesi; un monito anche all'amministraizone Obama, che troppo spesso sembra orientata ad abbandonare Taiwan al proprio destino per compiacere Pechino.

Hat tip: Pajamas Media

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