mercoledì, aprile 28, 2010

Salvataggio greco, autolesionismo europeo

Un salvataggio senza una ristrutturazione del debito che scarichi parte del costo sui creditori di Atene sarebbe il peggior segnale possibile per l'Europa.

Il pacchetto di  salvataggio greco dovrebbe, se possibile, imitare il procedimento di mercato per gestire un fallimento, senza però rischiare gli effetti collaterali che potrebbero estendere il contagio ad altre nazioni. Le dichiarazioni provenienti da Bruxelles volte a calmare i mercati contengono invece segnali preoccupanti, che segnalano l'imitazione dello sciagurato meccanismo di "bailout" bancario.Se pare ormai indispensabile un intervento europeo per scongiurare una crisi sistemica, è anche vero che a subire buona parte del costo dovrebbero esser egli investitori che, incautamente, hanno acquistato obbligaizioni greche. Se questo non avvenisse, verrebbe inceppato uno dei principali meccanismi di mercato, ossia  la penalizzazione di coloro che prendono scelte sbagliate; verrebbe anche perversameente confermata la teoria per cui  conviene comprare titoli di Stato di pessima qualità, perché se va tutto bene si guadagna una cedola maggiore che su invesitmenti di migliore qualità;  nel caso poi e cose si mettano male, esiste la garanzia implicita che le nazioni più forti interverranno e salveranno  l'investimento. E' quanto è accaduto nel caso del settore finanziario: i pacchetti di aiuti non hanno soltanto salvato le banche, ma anche premiato la speculazione, ponendo le basi per un'ulteriore bolla.. In questo modo,  il tasso d'interesse a cui si finanziano governi poco disciplinati converge verso quello dei paesi più virtuosi, impedendo ai mercati di svolgere il proprio tradizionale ruolo di "vigilantes" nei confronti dei governi. Questo è tanto più vero quanto più  sono enti statali e parastatali ad approfittare di questa situazione, come è avvnuto per la Grecia: ricordiamo che fra i maggiori detenotri di titoli greci vi sono le banche statali tedesche.

Un salvataggio senza ristrutturazione significherebbe quindi un inutile dispendio di denaro del contribuente ed una dimostraizone del predominio degli interessi della classe politica. Lungi dal correggere una presunta inefficienza del mercato, contribuisce a perpetuarne una, di origine statale.

martedì, aprile 27, 2010

S&P taglia il merito di credito della Grecia a BB+

La Grecia è ufficialmente un junk bond: Standard & Poor's ha declassato Atene a BB+ , allo steso livello di nazioni "emergenti" come la Turchia. L'accesso alla liquidità Banca Centrale per le banche greche rischia di essere compromesso, dato che non si possono dare in garanzia titoli di questo tipo.

Asta Bot , la paura greca arriva in Italia?

Brutte notizie dall'ultima Asta Bot, appena coperta . Mentre di norma la domanda supera notevolmente l'offerta, questa volta è stata a malapena superiore all'ammontare a disposizione.
E' arrivato il momento di preoccuparsi per un contagio greco? Non esattamente. La paura per gli eventi in Grecia riduce la domanda estera per strumenti di debito delle nazioni meno solide in Europa, ma l'Italia è , in un certo senso, la migliore delle nazioni peggiori; questo non implica scetticismo sui conti italiani, ma una più generica avversione al rischio nei momenti più acuti di una crisi. Il segnale è negativo, ma non tragico né imprevisto.
D'altro canto, i rendimenti quasi a zero non invogliano certo ad investimenti massicci in reddito fisso: il problema ha colpito persino la Germania, dove l'ultima asta bund è andata male a causa dei miseri rendimenti assoluti.

La condanna dei maestrini importati

Chiunque è libero di cambiare idea, ma molti di coloro che sono passati da destra a sinistra hanno hanno cambiato bandiera senza cambiare mentalità: hanno portato con loro, più o meno consciamente, i difetti congeniti nella cultura collettivista nella quale sono cresciuti. Ziggurat li definisce giustamente maestrini dalla ex penna rossa in un post tutto da leggere; sono la condanna della nostra parte politica nel medio e lungo periodo: non hanno alcun incentivo a lasciare rifiorire la cultura liberale e conservatrice, ma a trapiantare a destra la malapianta socialista.

Province inutili? Anzi, facciamo una nuova regione : la Romagna

Mentre si discetta di province da abolire, la Lega ed uno spezzone di PdL alzano il tiro e propongono addirittura la creazione di una nuova Regione: la Romagna. Ci sia consentito il sospetto che l'eventuale secessione non sarebbe a costo zero.

Gino, sono ancora partigiani?

I Talebani attaccano una scuola , a colpi di gas asfissiante. Ci piacerebbe sapere cosa ne pensa Gino Strada, ma soprattutto cosa ne pensano i partigiani italiani nella Seconda Guerra mondiale, visto che Strada ne abusa il nome per difendere barbari di questo genere.

lunedì, aprile 26, 2010

Se Putin è liberale, Fini è Cavour

Il termine liberale, si sa, è merce rara che ha sempre attirato numerosi scippatori: in America è stato ormai sequestrato e pervertito dai socialdemocratici, che hanno il vezzo di definirsi "liberal"; analoga sorte rischia di fare nel Regno Unito, dove il girotondino Clegg sta facendogli fare la stessa fine. In Italia, pare, ci stiamo adeguando.
Gianfranco Fini non è mai stato un liberale DOC, ma ci chiediamo che razza di liberale stia diventando Silvio Berlusconi, se si rallegra di avere Vladimir Putin come docente dell'Università del pensiero liberale. Un liberale come l'antisemita e protezionista Zhirinovsky, probabilmente: di nome, ma non certo di fatto.

Hat tip: Phastidio, La Sentinella

La cattiva lezione del salvataggio greco: solo i peggiori verranno aiutati

La Grecia riceverà decine di miliardi, dopo aver falsificato i conti e promesso una manovra che probabilmente non attuerà, prendendo a pretesto la rivolta di piazza dei sindacati. L'Irlanda ha già tagliato  le retribuzioni dei dipendenti statali e ridotto drasticamente la spesa pubblica e si ritroverà oltretutto a dover contribuire al salvataggio greco. Alla prossima difficoltà, perché Dublino (oltre a Lisbona o Madrid) non dovrebbe fare marcia indietro ed affidarsi alle stesse tattiche della Grecia, visto che essere virtuosi non paga?

Numerosi opinionisti, competenti o meno di economia, si stanno affrettando a declamare la necessità di un salvataggio della Grecia, colpita dalla "speculazione". Si tratta dell'errore più recente in una catena di decisioni politiche nelle quali i comportamenti più irresponsabili sono stati sempre ignorati o addirittura premiati, scoraggiando così comportamenti virtuosi, rendendo più probabile proprio la crisi che si vorrebbe evitare.

Il caso dell'Irlanda, comparato con quello greco, è un paragone interessante. Di fronte alla crisi, il governo di Dublino ha impugnato l'ascia: le retribuzioni dei dipendenti pubblici sono state tagliate del 7 percento a Febbraio 2009 e di nuovo  ad ottobre. Non un euro è stato chiesto agli altri paesi membri e la piccola nazione sta facendo di tutto per rientrare verso i parametri del patto di stabilità.

Atene, al contrario,ha sprecato il dividendo dell'accesso all'euro per gonfiare la propria spesa pubblica a livelli insostenibili, coccolare ogni categoria ipersindacalizzata e mantenere viva e vegeta quella cultura sindacal-corporativa che ha devastato il Regno Unito prima della signora Thatcher e che ha  deistrutto il miracolo eocnomico italiano, trascinandoci nel medio periodo nella melma di Tangentopoli e delle crisi valutarie.  Inoltre, ha sistematicamente falsificato i propri conti, ingannando gli investitori. Le istituzioni europee hanno di fatto chiuso un occhio sulle ripetute violazioni del patto di stabilità, soprattutto grazie alle pressioni di Francia e Germania, che per vantaggi di breve periodo hanno minato alla base l'euro ed il trattato di Maastricht

Si agggiunga che la crescita del PIL irlandese non è stata sostenuta soltanto dall'esplosione della spesa pubblica e della speculazione immobiliare, come in Grecia. Dublino ha riformato drasticamente la propria legislazione e il proprio sistema fiscale e pensionistico a partire dagli anni '80, innalzando drasticamente la produttività in numerosi settori chiave; è ragionevole pensare che prezzi e redditi siano stati gonfiati da una bolla a partire all'incirca dal 2004, ma questo non nega gli enormi progressi compiuti nei 15 anni precedenti. L'economia greca, al contrario, è ancora ingessata ed in preda ad uno stato rapace, assistito da sindacati pervasivi e da un assetto legislativo e regolamentare che premia le aziende che eccellono nell'aggiudicarsi favori e non nella competizione sul mercato.

Di fronte a questa disparità,  l'Unione Europea ha sempre dichiarato a parole di volere rispettare le sagge linee guida del Trattato di Maastricht, che vorrebbero imporre penalizzazioni agli stati meno virtuosi; e che cvietano, per questo motivo, di garantire il debito di un altro stato; nei fatti, invece, si è corsi in aiuto della Grecia,  nazione cicale e traditrice dello spirito e della lettera dei trattati; si è lasciata sola invece la virtuosa Irlanda; per aggiungere il danno alla beffa, ora si chiede a Dublino di contribuire al salvataggio di Atene.  La lezione, per qualsiasi politico di una nazione in difficoltà, è identica a quella tratta da ogni banchiere dopo un salvataggio a spese del contribuente: perché doversi affannare per rimettere in sesto i conti, quando basta minacciare l'insolvenza per essere aiutati dal Pantalone di turno?

Perché il governo portgohese o irlandese dovrebbe sforzarsi di risolvere i propri guai varando impopolari misure di austerità, quando è sufficiente dichiarasi area disastrata e pretendere che sia l'Unione Europea, in barba alel clausole di Maastricht, a levar loro le castagne dal fuoco? La risposta è semplice:  non accadrà. A meno di una miracolosa ripresa economica, il salvataggio greco sarà soltanto il primo di una serie, esattamente come se nulla si fosse fatto, a questo stadio. La differenza è che tutti noi pagheremo il conto, invece di lasciarlo pagare agli acquirenti di debito greco. La natura di tali investitori è, d'altronde, una delel chiavi per comprendere il comportamento apparentemente contraddittorio  dei politici tedeschi.

L'accusa rivolta agli "speculatori" è infatti patetica: il maggiore danno lo hanno fatto le politiche monetarie delle banche centrali, enti statali , e gli investimenti di enti parastatali  tedeschi e francesi. I mercati hanno reagito come era prevedibile: scoppiata la bolla finanziaria, i titoli greci hanno cominciato a declinare e la Grecia ha dovuto pagare tassi sempre più alti. Alla scoperta delle manipolazioni di bilancio e con  i nuovi dati che dientificavano una situazione finanziaria insostenibie,  il problema è letteralmente esploso, ma qualunque investore sapeva che la Grecia era comunque un investimento rischioso e per questo tanto remunerativo, rispetto ai titoli tedeschi  o persino italiani.  Nulla di strano, quindi , che chi abbia preso il rischio senza saperlo valutare adesso si trovi costretto a soffrire: nel mercato finanziario, come in ogni mercato, chi sbaglia dovrebbe pagare, e solo i concorrenti più avveduti sopravvivono e prosperano.  Purtroppo, i "mercati finanziari" sono invece uno dei mercati meno liberi che si possano immaginare, vista la preponderanza dell'intervento statale, nascosto dietro la politica monetaria delle banche centrali e le barriere all'entrata imposte dalle autorità di vigilanza.

Non è un caso che i maggiori detentori di titoli greci siano maniera sproporzionata da banche di proprietà statale in Germania e da assicurazioni francesi: due tipologie di investitori di fatto riparati dalla disciplina di mercato, grazie ai propri appigli politici. E, non per caso, la reazione alla crisi greca e la maggiore retorica "solidaristica" viene proprio dai governi tedesco e francese, terrorizzati all'idea di dover versare miliardi di euro per aiutare direttamente istituzioni finanziarie domestiche, di quelle che "non parlano inglese" e che non possono  essere accusate di capitalismo rapace, essendo legate a filo doppio agli stessi politici. La soluzione scelta, ossia far pagare il contribuente europeo, non ha nulla di inevitabile, se non per i politici che hanno contribuito a crearla e che voglino a tutti i costi evitare di pagarne le conseguenze.

Un altro antisemita alla corte di Obama

Aggiungiamo James Jones, consigliere per la sicurezza nazionale, all'elenco di membri o aspiranti membri dell'enoturage di Obama con un punto di vista  molto chiaro sugli ebrei: una manica di avidi commercianti. Perlomeno Jones non nega l'Olocausto, sostiene la necessità di eliminare Israele dalla cartina geografica o lo compara al Sudafrica dell'apartheid, ma si limita a cominciare un discorso sul Medio Oriente con una barzelletta a tinte antisemite. E' un miglioramento, dalle parti della corte di Barack, dove certe razze e certe religioni sembrano essere molto, molto più uguali di altre: ricordiamoci le reazioni inferocite della Casa Bianca per episodi molto meno gravi di questo.
Forse lo stato dell'Arizona avrebbe dovuto sostenere che la sua nuova legge sugli immigrati era diretta agli ebrei e non agli ispanici, se la sarebbe probabilmente cavata senza problemi.

venerdì, aprile 23, 2010

Umberto Bossi minaccia un nuovo ribaltone

L'intervista di Umberto Bossi non brilla per chiarezza, salvo che per gli insulti a Fini e l'annuncio dello sganciamento dal PdL. Basta poco per rinverdire i fasti del ribaltone e ringraziare della desistenza di fatto al Nord.

Le parole di Bossi al Corriere, una volta ripulite dalla propaganda pseudofederalista, sono inequivocabili: caro Silvio, grazie di averci lasciato campo libero al Nord e di avere azzerato l'opposizione interna. Adesso che non ci servi più e che non sei più una minacci aletale, siamo pronti a sostituirti con il PD, in modo da poterlo cannibalizzare, come abbbiamo cannibalizzato anche il PdL, ormai troppo debole per smascherare agli elettori la nostra sbandata a sinistra:

Saremo soli - conclude il leader leghista - senza Berlusconi. Berlusconi quindi diventerà il vero e unico baluardo anticomunista del Paese e prevedo che raccoglierà molti consensi.
E , nel caso qualcuno se ne accorgesse, ecco che il Senatùr riparte con il secessionismo:


"Finita la stagione del federalismo, un concetto abbandonato, dobbiamo iniziare una nuova stagione, un nuovo cammino del popolo padano. Purtroppo oggi non ha più senso parlare di federalismo alla nostra gente che potrebbe sentirsi tradita da ciò che non siamo riusciti a fare. Una nuova strada ci aspetta e sarà una strada stretta, faticosa, difficile ma che potrebbe regalarci enormi soddisfazioni"

La "nuova strada" è ultimamente simile a quella vecchia, del 1994-1995, con l'aggiunta del totale abbandono della rivolta fiscale e della riduzione del peso dello Stato. A noi pare evidente il rischio di un incrocio fra Udeur mastelliana e craxismo in forma istituzionalizzata, la costituzione di un feudo politico dove il controllo degli enti locali permette ad una Lega finalmente ritornata al socialismo il controllo assistenziale del territorio e la pacifica spartizione delle spoglie fra i favoriti, in cambio dell'appoggio a questo o a quel partito nazionale.
Ai cittadini, il solo ruolo da sudditi, in balìa di una classe politica che si sente "unta dal popolo" come una volta era "unta dal signore".

I nostri complimenti a Silvio Berlusconi , protagonista della resurrezione leghista, e a Gianfranco Fini, attore non-protagonista,  per l'ennesimo, meraviglioso regalo al socialismo reale in salsa tricolore.

Ottima analisi dello stato dell'arte del PdL in un'ottica di medio periodo su Ventinove Settembre.
La chiosa è la parte che qui si preferisce, ma consigliamo la lettura integrale


è facile fare intellettualmente meglio della nostra classe dirigente, essendo dei matusalemme senza né idee né principi. Il difficile è fare in modo che queste idee vengano poi realizzate, cosa che purtroppo richiede o l'eliminazione del potere, quando impedisce la realizzazione di queste idee, o il suo utilizzo per realizzarle, cosa che è possibile solo se l'elite di potere pensa che quelle idee siano nel suo interesse. L'Italia si sta avvicinando al punto in cui le cose si faranno così gravi che le elite avranno interesse a fare qualcosa di intelligente - contro le loro naturali attitudini - pure di conservare il sistema che ne garantisce la sopravvivenza. Questo non è liberalismo (la soluzione, anche solo parziale, del problema del potere), ma è reaganismo/thatcherismo: che in un paese in via d'estinzione è sempre meglio di niente.

Il popolo lo serve tua sorella

Vorremmo tanto conoscere il background dello sciagurato ghostwriter pidiellino che ha inserito la frase "servire il popolo" nel documento Pdl di ieri, uno slogan prontamente ripreso dal Corriere della Sera. Ci piacerebbe poter dire che lo slogan più celebre del genocidio maoista sia stato ripreso con perfidia dai titolisti del Corriere per tirare una frecciatina ad un partito in teoria di destra, ma profondamente infettato dai peggiori cascami della sinistra, ma temiamo che sia semplicemente passato inosservato.
Rimane il fatto che, con destrorsi così ( o così, o così), l'egemonia culturale della sinistra non ha purtroppo nulla da temere: a destra si continuano a barattare pochi anni di sottogoverno in cambio della lobotomizzazione d'intere generazioni.

Amnesia della memoria storica

Si può definire correttamente Gianfranco Fini in molti modi, spesso poco lusinghieri, ma Umberto Bossi riesce a trovare l'unico inesatto , quando lo chiama "gattopardo democristiano". Con tutti i suoi difetti, Fini non è mai stato democristiano o di sinistra. Al contrario di Bossi e Maroni, ex-comunisti che , dopo vent'anni di "basta tasse", appena arrivati vicino alla cassaforte hanno scoperto le gioie dell'assistenzialismo e della "redistribuzione" dei soldi altrui a scopo di potere.

Update: Qui un'opinione meno ironica dell'intervista di Bossi.

giovedì, aprile 22, 2010

Belle speranze

Obama: «Ci sarà una nuova crisi senza la riforma finanziaria» . Avrebbe potuto anche dire ch e"ci sarà un altro uragano senza una riforma delle assicurazioni danni", avrebbe avuto lo stesso senso logico.

Il punto dolente è che la riforma sponsorizzata dal presidente non riduce il rischio di una crisi finanziaria: si limita a rendere il sistema americano simile a quello europeo, nel quale ai grandi banchieri viene garantito l'aiuto statale in caso di difficoltà, in cambio dell'acquiescenza ai voleri della classe politica. Come bonus, di solito, vengono concessi nel tempo il diritto alla rapina del risparmiatore e, soprattutto, la garanzia implicita delle rendite di posizione acquisite.
Non c'e' male, come change

Liquefazione greca

Finale di partita per la Grecia? I tassi a due anni toccano il 9.75% , il nuovo bond a 5 anni greco rende ormai sopra al 9% sulle notizie delle ultime rivelazioni sul baratro fiscale greco. Si avvicina il momento in cui i governi europei dovranno decidere: gettare altro denaro nella fornace ellenica, o accettare finalmente che la manipolazione delle regole di Maastricht e dei mercati non può più nascondere la realtà dell'insolvenza greca, diretta conseguenza di scelte politiche.




In tutto questo, ci preme ricordare che nelle scorse settimane gli speculatori e i malefici trader di CDS non hanno scommesso su una crisi, ma al contrario hanno chiuso le posizioni corte, rivelando una volta di più la futilità delle teorie del complotto tanto amate dai socialisti di destra e di sinistra. Il grafico sottostante indica l'ammontare di posizioni corte chiuse fra il 5 ed il 9 di aprile:


In realtà , non ci sarebbe neppure stato bisogno di monitorare i dati di DTCC. Uno studio del BaFin, l'autorità di vigilanza tedesca, aveva già evidenziato come sia i volumi che le posizioni aperte sui CDS fossero una percentuale trascurabile, rispetto a ai movimenti sul tradizionale mercato dei titoli di Stato.
Allora come oggi, il crollo attuale è tutto attribuibile a chi ha titoli greci in portafoglio e deisdera disfarsene. Speriamo che nessun eurocrate francese si faccia venire in mente di vietare di vendere quello che si è comprato da un governo: oltre al danno, anche la beffa no, per favore.

Qui si è convinti che non si prenderanno iniziative chiare: se dovessimo scommettere, lo faremmo su di un piano di salvataggio che metta una toppa  temporanea ai problemi di liquidità di Atene, rimandando alle calende greche ogni soluzione politicamente fastidiosa. Il calendario elettorale tedesco potrebbe creare complicazioni, ma Francia e Germania non vogliono assumersi la responsabilità di scoperchiare il verminaio delle propprie responsabilità passate.  L'attuale innalzamento dei tassi sta paradossalmente facendo il gioco di Atene, che può sostenere la favoletta di una crisi di cui sarebbe vittima e chiedere l'aiuto europeo, che in teoria potrebbe scattare soltanto di fronte all'impossibilità greca di finanziarsi sul mercato. Et voilà.

mercoledì, aprile 21, 2010

Ma quale rIforma finanziaria USA


"Le società farmaceutiche hanno usato i Repubblicani per eliminare la "Public option" prima di usare i Democratici per sovvenzionare l'acquisto di farmaci e obbligare ad assicurarsi; adesso le grandi banche stanno manipolando i Repubblicani per sconfiggere una tassa sulle banche, mentre usano i democratici per proteggere le proprie rendite di posizione, rendere obbligatori i salvataggi bancari e ricostruire la fiducia in Wall Street; il tutto, ovviamente, a spese del contribuente."



Montezemolo scalda i motori?

IN attesa di sapere se lo spin off di FIAT sarà un'ardita mossa di creazione di valore o l'ennesimo pacco rifilato a banche e risparmiatori, una cosa è certa: Montezemolo ha le mani più libere per alzare il proprio profilo politico.  Speriamo trovi un bravo Marchionne anche in quest'ultimo campo, perché  la sua storia da manager è simile a quella di Lapo Elkan senza i trans.

lunedì, aprile 19, 2010

Libertiamo, Fini e la deriva leghista

Su Libertiamo, alcune precisazioni sul supporto del gruppo a Gianfranco Fini, su cui qui si concorda ampiamente. Avrei solo una nota aggiuntiva: il problema con la Lega non è che ha "completamente derubricato dalla sua agenda la questione meridionale", visto che non l'ha mai avuta in agenda. E' che un partito liberale può collaborare strettamente con chi è nato "con l’obiettivo di liberare il Nord dall’eccesso di statalismo ed assistenzialismo", visto che è un obbiettivo comune. Diventa molto più difficile farlo con un partito che si è completamente dimenticato le proprie origini e rischia una visione etnoassistenzialista, nociva per sé, per il territorio dove è egemone e per il resto d'Italia.
Per concludere, è da sottoscrivere in pieno il suggerimento di Antonluca: per chiarire quale sia la radice del problema per l'intero PdL, al di là di Fini, basterebbe rileggersi il programma del 1994 e provare a rtenerlo a mente, nel futuro prossimo.

Cameron, un Fini di successo?

Lo so, è ingiusto sia per Fini che per Cameron, ma è la prima reazione che mi viene alla domanda di Freedomland. Con un'aggravante: Fini, con tutti i suoi gravissimi errori tattici e strategici, ha perlomeno cercato di modernizzare la destra italiana, sbandando paurosamente nel tentativo. David Cameron, che partiva da un'eredità almeno ideale molto più solida come quella thatcheriana, rischia di trasformare i Conservatori nella parodia del Labour, lo stesso errore di cui è accusato il presidente della Camera.

Copy & Paste giacaloniano

Letto sottoscritto e copiaincollato:

Come è possibile, allora, che un sistema così vuoto non crolli? Regge, finché regge, perché l’Italia è ricca. E perché Berlusconi è stato capace di dare un’interpretazione originale dei tempi e della situazione, offrendo a tutti, e principalmente agli avversari, una ragione per continuare a esistere. Credo noi si abbia ancora molte forze, da mettere in gioco, ma ce le giochiamo, se non si esce da questo stagnare di furibonda inconcludenza.
Gianfranco Fini ha delle ragioni, dalla sua parte. Anche nei sistemi presidenziali, anche in quelli spiccatamente leaderistici, la politica è il frutto del sommarsi d’idee e sensibilità diverse. La ricerca culturalmente libera, come anche l’iniziativa politica indipendente (ma coerente), devono essere viste come un bene, non come un fastidio. Una forza politica non può non avere sedi di collegialità e discussione. Ma ha accumulato anche torti non indifferenti. Non puoi passare mesi a far solo il controcanto, non puoi pensare di differenziarti su tutto, non puoi concentrarti nella gara a una successione che non c’è e non ci sarà, non puoi pensare di spingere il trasformismo al punto di smentire te stesso su quasi tutto, indossando i panni dell’opposto. Essersi accorto che Mussolini non era il più grande statista del secolo e che le leggi razziali furono un’infamia vergognosa è cosa buona e giusta, ma continuare a cercare di scandalizzare i radicali per eccesso di disinvoltura libertaria rischia di buttare tutto in farsa.
Lo scontro fra Berlusconi e Fini terrà banco ancora per un po’, ma è meno interessante e rilevante di quel che appare. Il tema vero è: porre fine all’agonia e restituire effettività ai ruoli e poteri istituzionali. Non sembra vi sia la consapevolezza di questa necessità, e il cielo non voglia che, in queste condizioni, i morsi della crisi rivelino a troppi che la nostra ricchezza non è un diritto acquisito nascendo nella parte giusta del mondo, ma un risultato conquistato con il rischio, il lavoro e il buon governo.

Vigilanza bancaria: i pompieri con il napalm

Krugman sostiene che la Fed sarebbe come i vigili del fuoco, ma nessun vigile ha mai regalato del napalm a un piromane e poi ha chiesto poteri eccezionali per domarne l'incendio.
(continua)

venerdì, aprile 16, 2010

Vianello e i doppi standard della sinistra

Per anni la sinistra ha glorificato artisti ed intellettuali di area, nonostante la loro adesione alle peggiori nefandezze dei regimi comunisti ed il loro supporto attivo alle campagne propagandistiche di partito. Adesso, tuttavia, si vorrebbe infangare la memoria di
Raimondo Vianello per alcune dichiarazioni di supporto a Silvio Berlusconi e di comprensione (non di appoggio) per i ragazzi arruolatisi a Salò.
Guttuso non può essere criticato per aver fatto da pittore servo delle campagne elettorali del PCI in epoca staliniana, quando erano ben noti i crimini sovietici; Sartre andrebbe idolatrato senza pensare al proprio lavoro al soldo del PCF; intere legioni di artisti ed artistoidi di sinistra vanno giudicati cancellando ogni riferimento adorante al maoismo, o alle contraddizioni dell'appoggio alla causa gay ed insieme a Cuba, uno dei regimi più omofobi del pianeta; i firmatari di infamie come l'appello-istigazione al linciaggio di Calabresi e le loro cheerleader di Lotta Continua vanno rispettati indipendentemente dalle loro colpe e mai deve essere ricordato il loro "erroruccio" di quegli anni.
Una delle leggende dell'intrattenimento italiano, che ha condotto una vita irreprensibile per decenni, deve essere invece bruciato in effige per aver detto che avrebbe votato Forza Italia, oppure per avere sostenuto che fra i ragazzini volontari a Salò molti avevano intenzioni oneste, anche se sbagliarono nello scegliere quella parte politica - errore che fecero, ad esempio, Scalfari, Bocca e Dario Fo in varie fasi delle propria esistenza. Sono l'unico a sospettar el'impiego di due pesi e due misure?

Gilioli è un ipocrita, oppure uno smemorato ignorante della storia e della cronaca della consorteria alla quale aderisce. Scelga lui.


Hat tip Il Fazioso

Tasse, gli USA somigliano sempre più all'italietta

Il 15 aprile era la data ultima per la presentazione dell'equivalente statunitense del nostro 730 e le cose stanno andando di male in peggio. Anche senza considerare il livello assoluto della tassazione, la pura complessità del codice tributario rivaleggia con quello italiano: secondo The Economist, è passato da 400 pagine nel 1913 alle 70mila attuali. L'ottanta per cento della popolazione è costretto a ricorrere ad un aiuto professionale, includendo il capo dell'IRS, l'agenzia federale delle entrate. Il Presidente Obama, che ha promesso di semplificare il codice fiscale, ha appena creato un'intera nuova sezione da compilarem come corollario alla controversa riforma sanitaria.
Mal comune, in questo caso, non è mezzo gaudio, ma solo l'ennesimo segnale del rischio che gli USA si incamminino sulal strada italiota.

Fini giusti, strategia e tattica miserrimi

Qui si è sempre stimato e difeso Gianfranco Fini, senza mancare di criticarlo per alcune sue sbandate. La sbandata di ieri, tuttavia, sembra fuori misura, sempre che le indiscrezioni siano corrette. Non tanto per la sua durezza, ma per i suoi motivi: il governo Berlusconi ha sinora tradito la promessa di una riforma liberale del ruolo dello stato, ma Fini sembra avere eletto a cavallo di battaglia soprattutto tematiche care alla sinistra e di importanza relativamente minore, quali quelle cosiddette "etiche", oltre ad aver lanciato quella che sembra essere una pura guerra personale. Bene sintetizza Il fazioso, quando sostiene che sono la strategia (e la tattica, agigungerei io) ad essere sbagliate, non le critiche di Fini di per sé:

"Immaginiamo Fini aprire crepe puntando su riduzione tasse, liberalizzazioni, privatizzazioni, meno burocrazia, via le caste, riduzione dei costi della politica con l’abolizione delle province ecc Si sarebbe preso metà dell’elettorato del Pdl in poco tempo e sarebbe popolarissimo…. Un errore incredibile di avvicinamento alla rottura."
Il rapporto parassitario della Lega nei confronti del PdL va sicuramente messo in luce, ma l'elettorato lo avrebbe capito di più se fosse stato inquadrato in un'ottica linerale di destra: puntando ossia il dito sullo slittamento a sinistra della Lega, sulla sua fame di poltrone, il suo neoconsociativismo ed il tradimento del suo elettorato in tema di tasse e liberalizzazioni adesso che può godere dei frutti del potere. La semplice acredine antibossiana svilisce invece l'intero dibattito ed impedisce ai cittadini di comprendere il nocciolo del problema, ammesso e non concesso che il nocciolo sia questo: ricordiamoci il ruolo di freno sul fronte liberale che ebbero AN e l'UDC nel precedente governo Berlusconi.

PS: si ricorda che, per il momento, si discute sulla base di indiscrezioni e "fonti" interne alla maggioranza e non di posizioni ufficiali. Un brutto segno, in ogni caso.

giovedì, aprile 15, 2010

La vera lezione del decreto salvaliste

La totale disattenzione alla tecnica della politica si è ritorta clamorosamente contro il premier: il decreto salvaliste, su cui Berlusconi si era speso personalmente non è passato alla Camera.
Il risultato, più che di uno sgambetto, sembra dovuto ad un'evidente incompetenza da parte dei capigruppo: basterebbe fare i conti e imporre maggiore disciplina, ma evidentemente qualcuno, a Montecitorio, tratta la carica di capogruppo come una sinecura senza alcuna reale funzione. E' inaccettabile che Fabrizio Cicchitto si ricordi dei suoi doveri di capogruppo parlamentare con due anni e mezzo di ritardo e che si ricordi soltanto adesso di dovere imporre disciplina. Suona anche meschino che si cerchi di addossare tutta la colpa su Bocchino, supplente in assenza di Cicchitto: è implausibile che i parlamentari ragionino come un branco di studentelli, che fa chiasso quando c'è il supplente e non il professore di ruolo. Nel caso lo facessero, ci si dovrebbe chiedere perché pensano di poterlo fare impunemente: forse perché sono abituati a farlo, visto l'andazzo corrente, dettato dallo stesso capogruppo che adesso fa la voce grossa?

Ben vengano la gogna pubblica e l'esclusione dalle liste dei parlamentari assenteisti, ma siamo due anni in ritardo: il governo è finito in minoranza troppe volte, per illudersi che si tratti di un caso isolato. Insieme all'immondo pasticcio sulle candidature, sembra più la dimostrazione di una colpevole di attenzione alla qualità dei quadri dirigenti del partito. Ci sono ancora due anni e mezzo per dimostrare che ci sbagliamo, ma non vorremmo aspettare tanto a lungo.

mercoledì, aprile 14, 2010

Zaia il ciociaro: Al 24ore Riottizzato saltano anche geografia e cronaca






al Sole 24Ore , i tagli e il riallineamento ideologico del compagno Gianni si cominciano a sentire. Prima abbiamo avuto edizioni domenicali degne dell'inserto culturale del Manifesto, poi difese a spada tratta di Gino Strada spacciate per reportage. Adesso, ci godiamo un trafiletto nel quale Luca Zaia diventa governatore del Lazio.
Lapsus freudiano o semplice, crassa ignoranza? In fondo si sa che, per lorsignori, chiunque non sia compagno è fascio per definizione.

A small reply

Un modesto commento al post di Oscar Giannino, che parte con le migliori intenzioni, ma mi sembra arrivi semplicemente a sanzionare la solita, trita linea sulla crisi: intanto salviamoli, poi vi promettiamo che da oggi cambierà tutto. Sappiamo quanto cambia, ossia nulla.

Il problema tedesco è che si sono comportati come dei levantini, ossia nel modo approvato da questo articolo.

Ragionando soprattutto come nell'ultimo paragrafo, non sarà mai tempo di lasciare chi sbaglia al proprio destino; per colpa di questa stessa mentalità si è lasciato che il Trattato di Maastricht fosse reso lettera morta dalle violazioni di tutti i paesi membri, ponendo le basi per la speculazione sulla Grecia. La speculazione al rialzo, intendo, in atto da 15 anni, non quella al ribasso, di cui si parla soltanto perché impedisce alla classe politica di avere la botte piena e la moglie ubriaca.


Potrà sembrare un paradosso, ma coloro che hanno scommesso contro la Grecia non sono gli speculatori: sono gli unici che hanno espresso una posizione basandosi sui fondamentali economici. I veri speculatori sono coloro che hanno scommesso sulla retorica politica. Per dieci anni, infatti, nessuno si è mai preoccupato della speculazione di coloro che hanno acquistato debito greco ad ogni prezzo, scommettendo sulla dimostrata codardia dei politici, incapaci di prendere decisioni dolorose sino a quando non è troppo tardi.
E' stato questo ragionamento che ha creato la bolla sui titoli di stato della periferia europea, se di bolla si può parlare. Dal punto di vista degli acquirenti, è perfettamente razionale: infatti, il Pantalone tedesco adesso è costretto a pagare per i propri errori ed il lassismo nell'imporre disciplina di bilancio. Salvare la Grecia non aiuterà nessuno: permetterà soltanto di continuare a fingere che tutto vada per il meglio, sino all'ennesima crisi.

Esiste un unico modo per far fare al mercato il proprio lavoro: lasciarglielo fare, da subito. Altrimenti, torneremo sempre in situazioni simili a quella che stiamo vivendo adesso.

lunedì, aprile 12, 2010

Il salvataggio greco è una condanna per l'Europa

Il piano di salvataggio greco, nella sua ultima incarnazione è una sciagura per l'Unione Europea, sia che abbia successo sia che fallisca. La bozza di accordo mina il principio alla base del patto di stabilità, permettendone la violazione negli anni a venire, in cambio di una partecipazione al salvataggio greco. Per un piatto di lenticchie si gettano a mare le basi dell'euro e uno dei pochi motivi per cui la moneta comune aveva una utilità economica e sociale.

Non si vuole discutere qui delle obiezioni di principio o giuridiche al salvataggio greco. Lasciamo da parte i dubbi sull'esplicito divieto da parte della BCE di salvare un governo inadempiente; non discutiamo dell'equità di un accordo che imporrà ai tedeschi, che vanno in pensione a 67 anni e reduci da un decennio di moderazione salariale, di salvare i dipendenti pubblici greci, felici pensionati a 61 e responsabili di una esplosione della spesa pubblica ed assistenziale degna di una cleptocrazia del Terzo Mondo.

Potremmo anche dimenticarci del pessimo segnale inviato alle nazioni in difficoltà: invece di tagliare le spese, indebitatevi pure, perché qualcun altro pagherà per tutti. Il problema è che, stavolta, questo segnale è quasi diventato politica ufficiale della UE: Olli Rehn, il commissario europeo all'Economia, ha infatti suggerito che il costo del pacchetto d'aiuti verrà distribuito proporzionalmente fra gli stati membri, ma che ai più deboli verrà riconosciuto un "credito" quando si tratterà di valutare i rispettivi deficit. Come nel Medioevo era sufficiente versare un obolo e venivano rimessi i peccati, così pare che ora sia sufficiente contribuire al salvataggio di un'altra nazione per poter delinquere impunemente.
Immaginiamo la lezione che ne trarranno Irlanda e Spagna: gli irlandesi hanno applicato rigorose politiche di risparmio e taglio dei costi, gli spagnoli al momento stanno sperperando decenni di prudenza fiscale. Se la ricompensa per la rettitudine di bilancio è quella di ritrovarsi a pagare per gli altri e se basta fingere di contribuire al salvataggio di un altra nazione in difficoltà per potersi comprare l'immunità da ogni sanzione, perché sforzarsi? Perché non trasformarsi tutti in piccole Atene, aspettando che Berlino alla fine, paghi il conto?

La disciplina di bilancio di Maastricht è probabilmente uno dei pochi risultati inequivocabilmente dell'intera costruzione europea: ha costretto sino ad ora delle classi politiche incapaci di disciplina a limitare ruberie e l'acquisto di voti senza rovinare in maniera irreparabile i propri sudditi, pardon contribuenti, in maniera suicida. Da questo momento in poi, è chiaro che abbiamo scherzato, con buona pace degli sforzi italiani per non sbracare e di quelli tedeschi per mantenere un minimo d'ordine. Non che questo faccia particolare differenza per la Grecia: lo spreco in spesa pubblica, e assistenzialismo anziché in infrastrutture e riforme, delle condizioni uniche generate dall'euro degli ultimi dieci anni rende quasi inevitabile una ristrutturazione del debito, o un crollo delle condizioni di vita. Il dubbio è soltanto sulle modalità in cui questo avverrà e quanta parte di tali costi verranno fatti sopportare ai contribuenti di altre nazioni, invece che ai greci che si sono goduti la festa.

Da notare, per inciso, come ai nostri media cosiddetti "economici" sia del tutto sfuggito questo particolare. Capita, quando si difende il diritto al sussidio più della libertà d'impresa, ma si ha il coraggio di chiamarlo "capitalismo".

Fannie Mae e Freddie Mac, l'eredità di Clinton avvelena Obama

Le cattive politicihe di Bill Clinton nascevano forse dalle migliori intenzioni, ma questo non ha evitato una politica di favoritismi che ha posto degli incompetenti al cuore della bolla immobiliare americana, con conseguenze che rischiano di impedire all'amministrazione Obama ogni seria riforma di due dei pilastri finanziari dell'industria immobiliare americana.

Due delle vittime più illustri, ma in un certo senso più prevedibili , della crisi finanziaria sono state Fannie Mae e Freddie Mac, i due giganti parastatali dei mutui, affondati sotto il peso delle perdite accumulate; la garanzia governativa implicita ha permesso per anni alle due agenzie di finanziarsi a tassi simili a quelli governativi ed impiegare questi fondi per acquistare mutui, distorcendo in maniera rilevante il mercato e fornendo un sussidio implicito che ha giocato un ruolo rilevante nella bolla immobiliare.

Su Pajamas Media è uscito oggi un pezzo interessante sulle modalità con cui l'amministrazione Clinton utilizzò il consiglio d'amministrazione di Fannie Mae e Freddie Mac come parcheggio per amici e sostenitori. Il problema è che alcuni di questi sono attualmente alle dipendenze di Barack Obama, a partire da Rahm Emanuel, capo di gabinetto del Presidente. Il risultato è che ogni driforma delle due GSE incontra un muro di gomma.

Per fare un breve elenco:

- Rahm Emanuel, capo di gabinetto di Obama, ex responsabile della raccolta fondi della campagna elettorale di Clinton, poi suo senior adviser. Fu fra i principali sostenitori del progetot di riforma sanitaria che quasi affondò la prima presidenza Clinton. Ha ricevuto 320mila dollari per essere stato consigliere d'amministrazione di Fannie Mae per 14 mesi.

– Dennis DeConcini, ex senatore degli Stati Uniti, accusato di corruzione in relazione allo scandalo bancario delle Savings and Loans nel 1989; il comitato etico del Senato stabilì ch esi era comportaot in maniera impropria ed avevano abusato della propria posizione per interferire nelle operazioni della Federal Home Loan Bank Board, l'autorità di vigilanza; non venne mai tuttavia deferito al tirbunale ordinario. Bill Clinton lo ricompensò per il suo appoggio nominandolo consigliere d'amministrazione di Freddie Mac.

– Jamie Gorelick, amica intima di Hillary Clinton. Gorelick, avvocatoo venne nominata nel consiglio di Fannie Mae, e si licenziò nel 2003 , per essere assunta lo steso giorno da WilmerHale, lo studio legale che rappresentava la società.

– Harold Ickes, definito “l'uomo della spazzatura di Bill Clinton” perisno dalle pagine del progressista New York Times. Vicecapo di gabinetto, implicato nello scandalo in cui Clinton venne accusato di avere illegalmento accettato denaro da stranieri e di aver venduto l'accesso alla Casa Bianca al miglior offerente. Ickes si assunse tutta la responsabilità.

– Jack Quinn , il capo di gabinetto di Al Gore.

- Neil Hartigan, ex proocuratore generale dell'Illinois.

– Maynard Jackson, il sindaco democratico di Atlanta.

– Jose Villarreal, vicedirettore della campagna presidenziale del 1992 di Bill Clinton e "sneior adviser" di Hillary Clinton nella sua campagna per l anomination presidenziale del 2008.

– Garry Mauro, il fedelissimo dei Clinton in Texas , nominato dopo aver perso le elezioni a governatore dello Stato contor George W. Bush.

– William Daley, fratello del chiaccherato sindaco di Chicago Richard Daley Jr. e figlio del famigerato Richard Daley Senior; presidente della campagna presidenziale di Al Gore , segretario al commercio di Clinton , consigliere del team di transizione del President eObama.

Nessuno di loro ha alcuna competenza specifica in materia finanziaria. Nessuno di loro ha mai avuto alcun sentoore del marcio che si annidava nelle GSE, ma tutti hanno compreso i vantaggi, elettorali ed assistenziali , del programma.

Non si vuole qui negare la responsabilità enorme del partito repubblicano: per otto anni, Bush ed il leader parlamentari hanno permesso che le proposte di riforma rimanessero lettera morta e , soprattutto, non hanno mai toccato il feudo deocratico che le GSE erano diventate. Le centinaia di milioni di dollari che Fannie Mae e Freddie Mac hanno generosamente versato nelle casse della classe politica sono andate quasi completamente al partito democratico, ma sospettiamo che qualche rivolo abbia trovato la via dei repubblicani che hanno insabbiato i ripetuti tentativi di cambiare lo statu quo prima che fosse troppo tardi.

venerdì, aprile 09, 2010

La Grecia arriva alla crisi bancaria?

La crisi greca sta passando dal settore pubblico, dove il rischio d'insolvenza rimane presente, a quello privato. Il sistema bancario deve affrontare adesso lo spettro di una crisi di liquidità. Sperando non si tratti invece di insolvenza.
I dati sull'evoluzione dei depositi bancari in Grecia sono preoccupanti: sono in calo e il calo sta accelerando, in una "corsa agli sportelli" silenziosa. Sino ad ora, il buco derivante dalla differenza fra i depositi e i prestiti erogati dalle banche è stato colmato dalle operazioni con cui la BCE ha pompato liquidità in tutto il sistema bancario europeo, tamponando il problema. Tuttavia, le banche nel resto dell'Eurozona hanno incrementato la quota dei depositi sul totale delle fonti di copertura, riducendo il ricorso al mercato dei capitali; le banche greche, invece, stanno perdendo depositi ed insieme non riescono ad emettere obbligazioni. La BCE (tramite la Bank of Greece, la Banca Centrale Nazionale) è di fatto la loro unica fonte di liquidità, come si evince anche dal grafico qui sotto:




Il calo dei depositi è in parte stagionale, ma l'andamento degli ultimi mesi è decisamente anomalo - e preoccupante. Il piano di austerità deciso dal governo rischia di aver contribuito alla fuga dei capitali all'estero, dato che si è concentrato più sull'aumento delle imposte che sui tagli ad una spesa pubblica cresciuta in maniera eccessiva negli ultimi anni.

Sui mercati, il panico è diventato palpabile, con i tassi d'interesse sui titoli greci tornati ai livelli precedenti all'euro; la Grecia non ha di fatto le risorse per rifinanziarsi a questi tassi, rendendo inevitabile una ristrutturazione o un'uscita dall'euro. In maniera perversa, questo gioca a favore del governo greco: per ottenere il pacchetto di prestiti a tassi politici promesso dai partner UE e dal FMI, Atene deve dimostrare di non poter più prendere a prestito sui mercati e giornate come quella di ieri potrebbero far apparire un intervento inevitabile anche agli occhi dell'opinione pubblica tedesca, ancora graniticamente contraria.


mercoledì, aprile 07, 2010

Forza Volpe

La sinistrorsa CNN viene superata dalla repubblicana Fox News, almeno per quanto riguarda gli ascolti degli show di punta.
"Questi i dati ,nudi e crudi: -40% di audience nel primo trimestre 2010 per CNN con un picco di -42% per lo show dell’anchorman con le bretelle.Contestualmente il pirotecnico Beck incrementa del 50% gli ascolti della sua striscia quotidiana mentre Hannity sfonda quota 2 milioni di telespettatori."
Aspiranti Glenn Beck italiani, fatevi avanti - e speriamo che Piersilvio e Rupert comincino a fare quello che Murdoch, anni addietro, ha già portato avanti negli USA: un canale TV liberale e conservatore. Allora ci fu chi disse che non solo non esistevano gli acoltatori, ma neppure i contenuti e le personalità necessarie per un simile canale; abbiamo visto come è finita. Sappiamo che in Italia esiste l'audience, siamo certi che si potrebbero trovare i professionisti giusti. Sempre che il padrone ne avesse voglia, invece di affidarsi sempre e comunque alle stesse cordate di ex-sessantottini. Ci piacerebbe vedere un editore che finalmente facesse sentire la propria voce, invece di comportarsi da neodemocristiano e barattare un supporto ottuso e formale con la licenza a perpetuare i miti e le menzogne collettiviste che minano, nel lungo periodo, tutto ciò che un politico anticomunista dovrebbe temere. Le accuse di censura e partigianeria arriverebbero comunque, tanto vale meritarsele, non credete?

Vi ricordate l'Islanda?

Ricordate la crisi islandese? Non è finita, è stata soltanto eclissata da ben altri problemi, come previsto.
Mentre attenzione della stampa è concentrata sulla Grecia e nel mercato si pondera nervosamente il fato delle nazioni iberiche, l'agenzia di rating Moody's ha declassato di nuovo la piccola nazione scandinava. La crisi continua, anche quando i riflettori si muovono altrove ed il risultato è tutt'altro che assicurato. Per il momento il governo di Rejkyavik si sta rifiutando di assumere il debito delle consociate estere delle proprie banche, dove è collocata la maggior parte del debito e paradossalmente, la legge potrebbe essere dalla parte degli islandesi. Le banche islandesi hanno infatti raccolto depositi e acquistato attività soprattutto all'estero, comportanti di fatto come degli hedge fund; un cavillo nella normativa di vigilanza europea ha permesso loro di evitare buona parte dei controlli normali per le banche domestiche sia in Islanda che nelle nazioni in cui hanno operato. Non esiste un particolare incentivo per le autorità islandesi per salvare i creditori esteri e soprattutto per salvare la faccia alle autorità di vigilanza inglese e olandese, che hanno trascurato di supervisionare i rischi presi dalle banche islandesi nelle proprie nazioni.

venerdì, aprile 02, 2010

Master of Muppets

SE vi piacciono i Muppets e i Metallica, questo è imperdibile

giovedì, aprile 01, 2010

Lega: libertaria ieri, balena verde oggi, laburista domani?

Il partito di Bossi è stato la grande speranza di chi voleva allentare la morsa delle burocrazie statali sulla libertà individuale. Mostra purtroppo segni di trasformazione in una versione regionale della DC ed in prospettiva rischia di finire come quel partito, sbarcando armi e bagagli a sinistra, degenerato nel socialismo campanilista più netto.

La Lega, negli anni '90, cercava di pescare in due serbatoi elettorali su cui era tagliata a pennello l'allora Forza Italia, almeno al Nord: il popolo delle partite IVA e la cosiddetta borghesia produttiva. La propaganda leghista illustrava la secessione come una soluzione ai problemi derivanti dal peso eccessivo della tassazione e della regolamentazione burocratica, che limitavano la libera scelta individuale e il rinnovamento del tessuto produttivo. Il tema più generale della libertà individuale veniva ignorato, ma le conseguenze delle politiche leghiste potevano ampliarla. La Democrazia cristiana ed il pentapartito in generale avevano invece convogliato i voti di tali ceti verso politiche collettiviste, sfruttando la minaccia comunista e millantando l'assenza di possibili alternative ad una deriva socialista.

Buona parte della base leghista, dopo quindici anni, potrebbe ancora avere a cuore tali temi, come vorrebbe l'amico Mondopiccolo. La sua dirigenza, tuttavia, sembra averli abbandonati, esattamente come fece la Democrazia Cristiana: una volta scoperto quanto semplice sia comprarsi i voti con un apparato clientelare e con un'apparato propagandistico adeguato, è facile sbandare a sinistra; ai produttori non rimane che la scelta fra il male minore,ossia una Lega - ed un PdL, purtroppo - che almeno non paiono programmaticamente ostili.

Il programma di Zaia e la sua definizione di "partito Laburista" data della Lega, sono per ora ambigui, ma si ricollegano alle note simpatie di sinistra di esponenti leghisti quali Maroni. La prudenza fiscale, presupposto di una riduzione delle imposte e dell'intrusione statale, è in contraddizione con un programma economico composto di sussidi per tutti i gruppi sociali favoriti, a spese del contribuente che si ritrova a pagare il conto, oltre che le spese per l'intermediazione politica di tali trasferimenti . Il tema della sicurezza serve per sviare l'attenzione generale, mentre quello federalista appare sempre più uno strumento per diminuire la fetta di estorsione fiscale spartita con il governo centrale, non un mezzo per ridurre tale estorsione. Anche se a parole i leghisti sono rivoluzionari, la Lega rischia di diventare una Balena Verde, dove l'attenzione forse involontariamente liberale all'individuo viene sostituita dall'irreggimentazione burocratica, devastante nel lungo periodo anche quando efficiente nel breve termine.

Viene aiutata, in questo, dall'insipienza di un PdL che non può o non vuole, a livello dirigenziale, mostrare che il re è nudo, ossia che la Lega rischia di danneggiare il proprio elettorato storico pur di sfondare a sinistra. L'unico modo per mantenere entrambi i partiti fedeli alle proprie promesse liberali e conservatrici sarebbe quello di una sana competizione per la parte centrale del proprio elettorato; al contrario, l'impressione è quella di un patto scellerato, dove entrambi i maggiori partiti di destra si dedicano all'elettorato del'altra sponda, privando di rappresentanza i ceti che li hanno portati alla ribalta.

Per colpa delle proprie mancanze e, forse, per inseguire le nostalgie di troppi suoi dirigenti ex-socialisti, il PdL si sta lasciando cannibalizzare dalla Lega, più abile anche in questo esercizio di schizofrenia politica. Il rischio è che quando le partite IVA comprenderanno l'errore di continuare a credere alla retorica leghista, che ormai cerca di conciliare elementi opposti, il PdL sarà screditato quanto il partito di Umberto Bossi, che nel frattempo sarà tuttavia riuscito a trasformarsi principale partito "di sinistra" nel Nord Italia. Lasciando, di nuovo, una delle parti migliori del paese priva di rappresentanza politica adeguata; lasciando, di nuovo, l'intera nazione priva delle riforme liberali tanto disperatamente necessarie per riprendere il sentiero dello sviluppo.

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