Gentilmente copiaincollato dall'ottimo Camelot .
Il punto fondamentale è di Severgnini: "se non firmate il referendum tenetevi la casta e non parlatene più"
I quesiti in pillole:
QUESITI 1 E 2 (CAMERA & SENATO)
Se vincono i Sì, scompariranno le coalizioni di partiti e si eviterà che questi si uniscano il giorno delle elezioni e si dividano subito dopo imponendo veti, mediazioni e verifiche continue a maggioranza e governo. Si realizzerà anche in Italia il bipartitismo, così come negli Usa, in Inghilterra, in Francia e in Spagna. Senza coalizioni, la soglia di accesso a Camera (4%) e Senato (8%) diventerà uguale per tutti e il premio di maggioranza non potrà più andare alla coalizione ma solo alla lista che avrà ottenuto più voti”.
QUESITO 3 (CANDIDATURE MULTIPLE)
Se vincono i Sì, sarà vietato candidarsi in più di un collegio e scomparirà la pratica abusata di presentare ovunque candidati “acchiappa-voti” (normalmente i leader di partito). In questo modo sarà colpita la nomina dei parlamentari da parte delle segreterie di partito, che decidono chi deve andare al Parlamento sia prima delle elzioni, sia (mediante questa pratica abusata) all’indomani del voto.
Le bugie sul Referendum:
- Il referendum è pericoloso: aiuta Berlusconi.
Qualunque sia la posizione politica che si ha, questa è comunque una grandissima balla. Dicono che se passa il referendum Berlusconi e il suo PdL, con il 40% dei voti, prende il 55% dei seggi in parlamento. Attenzione, può avvenire già oggi con l’attuale legge-porcellum. Per fare questo Berlusconi non ha alcun bisogno del referendum che su questo punto non cambia niente (i cambiamenti sono altri). Tutto questo è un effetto della legge elettorale oggi in vigore, la quale già prevede che alla lista più votata venga - (possa venire, nota di camelot) - attribuita anche la maggioranza assoluta dei seggi in palio.
- E’ antidemocratico che un partito del 40% abbia il 55% dei seggi.
No, questo non è vero. Nei paesi anglosassoni, la culla della democrazia, ciò accade spesso. Thatcher e Blair hanno sempre governato con queste percentuali, e nel 2005 Tony Blair, con il 35,3% dei voti, ha preso il 55 % dei seggi ed ha eletto 360 deputati contro i 260 di tutte le opposizioni. Il maggioritario è questo: chi vince governa, chi perde controlla.
- Ma addirittura con il 20% dei voti si può prendere la maggioranza assoluta dei seggi.
Ancora una volta occorre ricordare che questo può accadere anche oggi, proprio con la legge che combattiamo, e non sarebbe un effetto del referendum. Se una coalizione prende il 20%, la seconda il 19%, la terza il 18% e le altre ancora meno, la prima ha la maggioranza assoluta in Parlamento. In realtà però si tratta di un’ipotesi teorica, sostanzialmente impossibile a realizzarsi. Già oggi i due principali partiti hanno più del 20%! E poi il desiderio di vincere spinge a fare aggregazioni vaste, per battere l’avversario. Nel 2006 questo ha portato ad aggregazioni enormi, 16 partiti da una parte e 17 dall’altra. Se passa il referendum chi vuole aggregarsi per vincere dovrà fare una lista unica, con grande vantaggio per la stabilità e la chiarezza.
- Il referendum rafforza soltanto chi ha la maggioranza.
Non è vero. Aiuta anche l’opposizione, anzi forse ancora di più. Quando ci sono le elezioni la maggioranza va al governo ed è unita dall’esigenza di non perdere il governo, mentre l’opposizione tende a sfasciarsi, a litigare, e ciascun partito va per conto suo. Lo vediamo già oggi con la rissa continua tra PD e Italia dei valori. Litigano perché vogliono rubarsi reciprocamente i voti per essere più forti quando si tratterà di contrattare la formazione della coalizione elettorale. Se ci fosse il bipartitismo il partito di opposizione rimarrebbe unito e dovrebbe pensare soltanto a fare delle proposte serie che gli consentano di vincere le elezioni la volta successiva.
- Il referendum porterebbe ad un bipartitismo forzato.
E’ vero, il referendum spingerebbe al bipartitismo. Questo è il suo valore politico, questo è l’obiettivo che ci prefiggiamo. Ed è un obiettivo importantissimo e positivo. Tutte le grandi democrazie si fondano su due grandi partiti. Negli USA i democratici e i repubblicani, in Gran Bretagna i laburisti e i conservatori, in Spagna e in Germania i popolari i socialisti, in Francia o socialisti e il partito di Sarkozy. Questo non significa che non vi siano altri partiti più piccoli, ma che ciascuno dei due poli ruota attorno a un grande partito. Ma questa è la garanzia di stabilità e di efficienza di quelle democrazie: e questo è ciò che il referendum ci darebbe anche in Italia. E poi non ci sarebbe nessuna forzatura. Gli italiani che hanno votato per i due principali partiti sono più del 70 %. Più di quanto abbiano ottenuto insieme i due principali partiti in Inghilterra nel 2005 (67,6%).
- Ci sarebbe meno pluralismo.
Non è vero. I partiti che superano il 4 % sarebbero comunque rappresentati. E poi la frammentazione estrema non porta pluralismo: porta a inefficienza, paralisi, e anzi immobilismo. Il vero pluralismo ha bisogno dell’ alternanza, del ricambio. Solo questo mette al riparo dalla cosa più soffocante che ci sia, il consociativismo. Noi non vogliamo colpire il sano pluralismo. Vogliamo colpire il potere di ricatto dei partiti dentro le coalizioni. Vogliamo eliminare l’idea della coalizione. Che è una contraddizione in termini: si sta insieme, ma ci si combatte anche per rosicchiarsi reciprocamente voti. Un assurdo. E il tempo si spreca nei negoziati tra i partiti, anziché pensare al bene del paese.
Noi ci ispiriamo ai modelli anglosassoni. Ti pare che in quei paesi non ci sia pluralismo?.
L’intervista che ho fatto (nel 2007) a Mario Segni, uno dei due promotori del Referendum:
Onorevole Segni, lei è tra i promotori del Referendum che ha per oggetto l’abrogazione di alcune parti dell’attuale legge elettorale. Quali sono, in concreto, gli obbiettivi del Referendum?
“Il referendum colpisce al cuore uno dei fenomeni peggiori del degrado italiano: la frammentazione dei partiti, che sta portando ingovernabilità, rissosità, esplosione dei costi della politica. Se vince il referendum si entra in Parlamento solo se si supera il 4% dei voti nazionali (e per il Senato l’8% regionale), e per vincere le elezioni bisogna fare una lista unica, con un solo simbolo, programma, nome, e non un’accozzaglia di liste come sono le coalizioni di oggi. Insomma è lo strumento ideale per chi non vuole più l’Italia dei 74 partiti“.
In che modo il Referendum influenzerà l’assetto partitico dei due schieramenti? Riuscirà a favorire la riduzione dei partiti, favorendo processi aggregativi tra gli stessi?
“Tutto il sistema dei partiti, e quindi il sistema politico, ne sarà modificato radicalmente. L’effetto sarà uguale a quello del referendum del ‘93“.
Di recente, l’uscita del libro di Rizzo e Stella, ha riportato in auge il tema dell’esosità dei costi della politica. Esiste, a suo avviso, un nesso tra numero (elevato) dei partiti e costi (eccessivi) della politica?
“Il libro di Stella descrive la drammatica situazione del costo della politica, con tutto il carico di corruzione e inefficienza che ne è legato. Nella frammentazione e nel potere di ricatto dei piccoli e piccolissimi partiti questo costo ha una delle sue cause, anche se non l’unica. Quindi i due problemi sono strettamente legati“.
Il Referendum che lei ha promosso, quindi, può essere definito come un Referendum contro la “Casta”?
“Beh in un certo senso è proprio così. Tanto è vero che Severgnini, in un bell’articolo sul Corriere di quindici giorni fa, ha scritto: se non firmate il referendum tenetevi la casta e non parlatene più“.