Quella che in Italia passa per "politica industriale" ricorda un film di Romero: gli zombie divorano i vivi, distruggendo la civiltà. La differenza è che, nel mondo reale, i morti non devono andare a caccia delle proprie vittime, che vengono invece raccolte e mandate al macello da solerti funzionari governativi. Ovviamente, tutto questo viene fatto, ci vien detto, per il nostro bene.
La scorsa settimana ci ha portato due notizie concomitanti: da un lato, il governo ha annunciato una manovra di stimolo da due miliardi di euro, equamente ripartiti fra una serie di settori industriali politicamente sensibili, grazie al numero di occupati ed alla elevata influenza sindacale e confindustriale. Quasi contemporaneamente, Fiat ed Indesit hanno continuato a spostare produzione verso la Polonia, lasciando a casa od in cassa integrazione centinaia di lavoratori. Sporchi capitalisti, pronti ad abbandonare l'Italia anche dopo aver ricevuto una ricca messe di aiuti statali? Gentaglia cui imporre per legge di produrre in Italia ad ogni costo, sino a quando non saranno terminati i soldi degli aiuti?
PREMESSA - Tecnicamente parlando, le misure di stimolo dovrebbero essere continentali, coordinate e mirate ai consumi, non alla produzione: si cerca di coordinare i sussidi a livello europeo e lasciare produzione e vendite libere di spostarsi: il consumatore europeo, con il suo sussidio al consumo, può decidere se comprare italiano, polacco o francese, limitando in teoria le distorsioni al mercato unico. L'alternativa sarebbe molto, molto peggiore: si rischierebbe una corsa agli armamenti di tipo economico, dove ogni nazione tenta di fregare il vicino promettendo sussidi a chiunque mantenga od espanda la produzione nel proprio territorio. E' accaduto negli anni '20 e '30 e non ci ha portato fortuna: il commercio internazionale è crollato del 90 percento, la recessione è divenuta la Grande Depressione e le dispute commerciali sono state risolte a colpi di bombardamenti a tappeto. Ne vediamo una piccola dimostrazione nella polemica attuale sui sussidi francesi al settore automobilistico, concessi in cambio della promessa di licenziare soltanto all'estero, colendo così duramente i nuovi membri dell'Est europeo e facendo pensare a qualcuno che, per Parigi, la UE sia una serie di colonie ch esistono per serivre l'Esagono. In tempi normali e fra governanti sani di mente, la competizione avviene tramite strumenti che tendono a portare vantaggi generali: offerta di infrastrutture efficienti, tassazione equa o semplice, manodopera a basso costo da impiegare in un lavoro produttivo. In presenza di una crisi come quella attuale, la Vecchia Europa socialista si trova in guai seri: sclerotica, incapace di riforme, senza neppure la possibilità di ricorrere alla droga inflazionistica. Se non fosse per la UE, i governi della vecchia Europa sarebbero già intervenuti come al solito, offrendo mazzette, pardon, aiuti per cassa agli amici e mettendo le guardie alle frontiere, trasformando ogni governo in un carceriere economico. In questo scenario, Fiat ed Indesit dovrebbero produrre in Italia, ma soltanto per il mercato italiano e non per gli altri mercati europei. una magra soddisfazione.
MERCATISTI, TZE' - Questo, ovviamente, non è una scusante per certe solenni fregature, ma per favore non tiriamo in ballo il capitalismo selvaggio: per essere capitalisti bisogna avere capitali, idee e coraggio. Nel caso di molti "imprenditori" italiani, queste caratteristiche sono ormai drammaticamente assenti, sostituite dalla faccia tosta e dalle connessioni alla mangiatoia pubblica. Anche per chi si è dovuto "fare da sé", è stato sin troppo facile trasformarsi in concessionari di monopoli graziosamente concessi dallo stato e protetti dalla legge in cambio di favori politici e protezioni ai favoriti del sindacato. Questo si chiama feudalesimo o mercantilismo, non capitalismo. In ogni caso, bontà vostra, lorsignori sono razionali, nello stesso modo in cui è pienamente razionale il gentiluomo che si porta via una pila di soldi lasciata appoggiata sul tavolino di un bar. Siamo noi, elettori e cittadini tartassati, a non esserlo, a credere alle favole, come quella nella quale la classe politica con la sua appendice sindacal-confindustriale sarebbero interessati al "bene comune" , o che esista una cosa chiamata "politica industriale" che possa pianificare la strada verso lo sviluppo, a patto che sia lastricata con l'oro del contribuente. Si tratta, purtroppo, di una tragedia annunciata. La cosiddetta "politica industriale" è di norma uno dei modi peggiori per spendere il denaro del contribuente, ma è anche uno dei più graditi dalla classe politica, perché aumenta le possibilità di aumento del proprio potere in quasi ogni direzione: giustifica un aumento del prelievo fiscale e della spesa, aumentando così la parte di PIL su cui politici e burocrati possono mettere becco e mani; nobilita la concessione di sussidi ai propri favoriti, mascherati da "campioni nazionali"; permette di soddisfare gli amici industriali, rende felici i sindacati con assunzioni e prebende; illude gli elettori che si possano creare dal nulla posti di lavoro. Il caso della grande industria italiana, mirabilmente illustrato da Pietro, è quasi un caso da manuale. Purtroppo, non soltanto è superflua , ma è dannosa e perniciosa alla prosperità economica e al progresso tecnologico nel lungo periodo.
ACCORR'UOMO - In primo luogo, i politici sono dei pessimi selezionatori sia di aziende che di settori vincenti vincenti: abbiamo abbondanti esempi per cui basta consultare un libro di storia. Per ogni intervento di successo almeno nel breve termine, esistono numerosi fallimenti colossali; l'intervento pubblico funziona nei settori dove esiste già un vantaggio competitivo, laddove di norma fallisce quando tale vantaggio non era presente. E' quindi superflua nel migliore dei casi e dannosa negli altri. La scelta da parte di un decisore centrale si scontra inoltre con la ben nota incapacità dei sistemi centralizzati di prevedere le condizioni future: i politici ed i burocrati investono solitamente in settori che sono state storie di successo in altre nazioni oppure nel passato, mentre la storia industriale è piena di settori che hanno sperimentato grandi espansioni completamente impreviste. Un esempio tipico sono gli anni del boom economico in Italia, che i governi "sociali" hanno speso a sussidiare settori industriali pesanti o tradizionali che si sono rivelati giganteschi buchi neri, mentre il resto dell'economia sperimentava un boom economico trainato da settori quali gli elettrodomestici. Si potrebbe obbiettare che l'espansione economica sarebbe avvenuta comunque, anche in presenza di sussidi ad altri settori, ma tale approccio trascura il fatto che i sussidi hanno un costo e che tali costi vengono pagati dai cittadini, sottraendo così risorse per investimenti e consumi in settori che si stanno sviluppando autonomamente. Per chi desiderasse una disamina analitica, può consultare il recentissimo "La valutazione degli aiuti alle imprese" e godersi lo spettacolo.
MORTI VIVENTI - In secondo luogo, le aziende perdenti e sussidiate si trasformano in quello che gli anglosassoni chiamano aziende "zombie", entità societarie in crisi ricorrente, ma che continuano ad esistere grazie alla mano pubblica. Il danno avviene attraverso una distorsione multipla dei meccanismi di mercato. Da un lato, le aziende sussidiate continuano a vendere e a mantenere quote di mercato, esercitando una concorrenza sleale nei confronti delle aziende sane, impedendo loro di acquisire quote di mercato, crescere ed assumere, producendo ricchezza per tutti; elimina inoltre ogni incentivo alle aziende malate di ristrutturarsi, anche in maniera dolorosa, attraverso una catartica amministrazione controllata. Dall'altro, le risorse che vengono profuse per salvare aziende in crisi vengono anche dalle tasse imposte alle aziende. Il governo non fornisce denaro a nessuno: si limita a prendere da Tizio per donare a Caio e quindi le aziende floride, prudenti ed in utile sussidiano di fatto quelle obsolete, inefficienti o spericolate nell'assunzione di eccessivi debiti. Infine, i sussidi e la protezione statale sono generalmente rivolte ad aziende tradizionali: proteggendole,si rende ancora più difficile alle aziende innovative di conquistare nuovi mercati, a causa dei sussidi e delle regolamentazioni difensive per le vecchie produzioni "tradizionali" e "tipiche".
CONCLUDENDO - Sotto questa luce, due miliardi pacchetto di stimolo sono due miliardi di troppo, due miliardi dati da sprecare agli amici degli amici ed alla Trimurti sindacale; per una volta converrebbe ringraziare Tremonti per essere riuscit
POst lungo (crossposted su Giornalettismo)o a mettere un freno allo "stimolo", che stimola soprattutto il desiderio di visitare una toilette. Quello che sarebbe necessario è un aiuto agli individui, alle famiglie, alle aziende sane e competitive, in grado di generare profitti per gli azionisti e occupazione per tutti. Se proprio vogliamo aumentare il deficit di due miliardi, questo si può ottenere senza incentivare il socialismo e l'aumento dell'intermediazione politica delle risorse, attraverso una riduzione della tassazione: le aziende sane avrebbero più ossigeno per investire, innovare ed assumere, i cittadini avrebbero più risorse per sostenere il proprio tenore di vita e migliorare le proprie prospettive nella maniera che desiderano e non in quella che gli indica un qualsiasi burocrate.