Si fa notare oltreoceano come gli investimenti, statali come privati, sono vicini al minimo storico.
Là situazione italiana è se possibile ancora peggiore.
Là situazione italiana è se possibile ancora peggiore.
Chi scrive è scettico sulle virtù taumaturgiche dell'interferenza governativa sulle scelte di investimento, soprattutto perché in condizioni normali è difficile che un governo spenda i denaro del contribuente meglio di coloro a cui li estorce.
Dato che tuttavia siamo in democrazia e che la maggioranza ha già deciso di non ridurre l'esproprio, diviene essenziale cercare di ridurre al minimo i danni.
Da questo punto di vista, il danno maggiore deriva dall'impiego delle risorse fiscali per sostenere la spesa pubblica corrente sugli attuali, insostenibili livelli. In massima parte siamo di fronte a spese non soltanto inutili, ma dannose.
Nel caso che la spesa pubblica forse diretta verso investimenti, avremmo un risultato meno negativo. Le economie occidentali soffrono di un difetto conclamato di investimenti in infrastrutture; il settore privato non può investirvi, perché limitato nelle risorse dall'eccesso di tassazione e nelle prorttive di profitto da leggi restrittive e dalla concorrenza sleale derivata da monopoli statali o concessi ad affaristi amici. Finché permane questa triste situazione, solo il settore statale può investire in infrastrutture.
La soluzione ideale sarebbe quella di liberare risorse con una riduzione del peso della tassazione e della regolamentazione e di rendere finalmente concorrenziale il mercato delle infrastrutture. In attesa di qualcosa che potrebbe non accadere mai, è ora di dire perlomeno basta ai sussidi al consumo. Se si vogliono buttare i soldi del contribuente, conviene almeno farlo tramite investimenti che al settore privato non sono consentiti e che avranno quindi almeno un qualche ritorno positivo.