martedì, settembre 27, 2011

downgrade bancari: l''ultimo dei problemi

Standard &Poor’s ha declassato tre delle maggiori banche italiane e cambiato l’outlook per altre 15; quasi contemporaneamente Moody’s ha ridotto il rating di tre delle maggiori banche USA, CItigroup, Wells Fargo e BAnk of America, che insieme raccolgono un quarto di tutti i depositi negli Stati Uniti. Le Borse di tutto il mondo sono crollate, nonostante la Fed avesse annunciato nelle stesse ore nuove misure straordinarie per sostenere i mercati.
La reazione istintiva è stata, per molti, quella di ricorrere alla teoria del complotto: le agenzie di rating hanno inferto, per oscuri scopi, una improvvisa pugnalata alle spalle alle banche. La vera tragedia è invece che le decisioni delle agenzie di rating sono solo l’ultimo dei problemi per i sistemi bancari di entrambe la nazioni, .

Dal punto di vista meramente tecnico, l’azione di declassamento delle banche italiane era soltanto questione di tempo. I rating di una banca non possono essere superiori, in linea generale, al rating della nazione nella quale ha sede; una volta declassato il merito di credito dell’Italia, il processo di revisione al ribasso si è messo in moto e non poteva avere conclusioni molto differenti. Intesa, Mediobanca e BNL non sono peggiori delle altre, ma al contrario erano fra le poche banche rimaste ad avere un merito di credito così alto da essere sensibili al “tetto” costituito dal rating della Repubblica Italiana. Le altre avevano già rating inferiori e quindi non sono state toccate.
Il declassamento delle tre grandi banche americane è fondamentalmente avvenuto per lo stesso motivo: Moody’s aveva inizialmente risparmiato loro un taglio di rating profondo quanto quello di altri giganti bancari come Goldman Sachs o JPMorgan, ritenendo che avessero unlivello di supporto governativo implicito superiore quello di queste ultime. Visti i recenti sviluppi politici, invece, l’agenzia ritiene ora che non vi siano più particolari differenze.

Perché questa importanza sul supporto statale per un settore economico particolare all’interno di un’economia di mercato che si proclama essere ormai libera, anzi troppo libera? Perché tale libertà dai diktat politici nella realtà non esiste, persino in Occidente, per ampi settori della vita economica. Le banche non sono aziende come la altre, ma vivono all’interno di un “patto col diavolo” che sospende almeno parzialmente il funzionamento del sistema di mercato: per cui da un lato sono sottoposte ad una vigilanza che decide aspetti essenziali della gestione; dall’altro, godono di una forte limitazione della concorrenza, di un accesso privilegiato alla BCE e della presunzione che, in caso di problemi seri, il governo interverrà salvando non soltanto i depositanti, ma tutti i creditori e forse anche gli azionisti. Le agenzie di rating tengono conto di tale situazione, come lo fa l’intero mercato, anche se raramente viene esplicitata chiaramente; laddove il credito del potere politico cala, così deve seguire quello dei propri protetti e si è semplicemente certificato ciò che era già reso evidente dal crollo delle quotazioni. Il problema, semmai, è il rilievo dato ad istituzioni che non sono più in grado di fornire nuove informazini od analisi pregnanti, anticipando i mercati. Le agenzie di rating si sono trasformate da istituti di ricerca a meri certificatori dell’ovvio, burocrazie operative con tempistiche talmente lunghe da arrivare regolarmente in ritardo, esattamente ad immagine delle burocrazie ministeriali che le hanno plasmate, trasformandole nel tempo in monopoli garantiti per legge e sottraendole alla disciplina della concorrenza. Fato comune, d’altronde, alle banche che dovrebbero analizzare.

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