Sorpresa: le classi politiche dell'europa orientale perdono interesse a riforme liberali, una volta che sono riuscite a portare la propria nazione all'interno del "club. Come ha notato l'Economist, il meccnaismo di ammissione all'Unione Europea garantisce ottimi risultati iniziali, perché i potenziali entranti hano incentivi tangibili, ma successivamente avrebbe poco mordente.
Neppure gli evidenti benefici delle riforme sembrano aiutare a mantenere un comportamento virtuoso; eppure non credo che dovrebbe essere per nulla una sorpresa: abbiamo a che fare, ad est come a ovest, con politici di sano stampo europeo, ossia normalmente socialisteggianti e quindi inclini a metodi di ragionamento più simili a quelli della criminalità organizzata che a quelli di una società civile.
Molte nazioni dell'Unione Europea si comportano peggio di quanto imponga ai potenziali membri, facendo sembrare le riforme un semplice esame da passare imparando "a pappagallo" qualche frasetta sulla libertà, ben sapendo che tanto, una volta dentro, si potrà tornare alle buone vecchie ricette socialistoidi, depredando i cittadini quando serve denaro e sperando che i pochi pezzi di società libera sopravvivano nonostante tutto, per continuare a mantenere la massa assistita o l'altra minoranza, quella rapinatrice "per il bene comune".
"It is often said that the EU s enlargement policy has been the most potent tool yet devised to entice its neighbours along the road to free-market democracy—far more effective than anything the United States has found to wield over its southern neighbours. But the corollary is a loss of influence after a country actually joins. The pattern of intensive reform to qualify, followed by a let-up in the process once membership is achieved, is too common to be mere happenstance.
Olli Rehn, the enlargement commissioner, concedes sadly that “after a country has a seat round the table, it is much harder to apply pressure to it.”"
Hat tip:Economist.com