Secondo l'ultimo annuncio la Casa Bianca si attende un deficit di bilancio di 1650 miliardi di dollari, il 10.9% del PIL. Numeri da brivido, per ogni nazione. Ogni commento parrebbe superfluo, se non temessimo le difese d'ufficio degli obamiani nostrani.
La presidenza Obama non è la responsabile della situazione ereditata, ma lo è della sua gestione ideologica. E' vero che G.W. Bush ha sprecato otto anni prima dell'arrivo di Obama in un programma statalista anche se conservatore, ma aveva almeno all'inizio l'attenuante di un'emergenza geopolitica; è vero che gli unici compromessi politicamente possibili con i repubblicani sono quelli relativi al taglio delle imposte, ma tale realtà politica deriva soltanto dalle necessità elettorali e dall'ideologia collettivista dei democratici, che rende loro impensabile accettare tagli ai programmi assistenziali che stanno affondando gli USA anche dopo la batosta subita grazie.
Rimane il fatto che il presidente non ha quasi fornito alcuna ricetta per risolvere i problemi fondamentali che affliggono la società americana, se si esclude un timido tentativo di riforma scolastica rimasto sinora lettera morta a causa dell'opposizione dei sindacati, grandi finanziatori e lobbisti dell'Amministrazione. Si aggiunga inoltre l'inquietante sospetto che l'entourage del Presidente, di estrazione radicalmente sinistrorsa, si sia rallegrato della crisi per poter infliggere alla nazione un'agenda di riforme stataliste apporifttando dell'emergenza e giocando sul panico, come accadde durante il New Deal. Il famigerato commento di Rahm Emanuel, per cui "non si può sprecare una crisi" per poter plasmare una società, volente o nolente, non è di certo servito a fugare i sospetti sulla duplicità delle ricette economiche di un Presidente già molto più a sinistra del suo elettorato.
Rimane il fatto che il presidente non ha quasi fornito alcuna ricetta per risolvere i problemi fondamentali che affliggono la società americana, se si esclude un timido tentativo di riforma scolastica rimasto sinora lettera morta a causa dell'opposizione dei sindacati, grandi finanziatori e lobbisti dell'Amministrazione. Si aggiunga inoltre l'inquietante sospetto che l'entourage del Presidente, di estrazione radicalmente sinistrorsa, si sia rallegrato della crisi per poter infliggere alla nazione un'agenda di riforme stataliste apporifttando dell'emergenza e giocando sul panico, come accadde durante il New Deal. Il famigerato commento di Rahm Emanuel, per cui "non si può sprecare una crisi" per poter plasmare una società, volente o nolente, non è di certo servito a fugare i sospetti sulla duplicità delle ricette economiche di un Presidente già molto più a sinistra del suo elettorato.
Tutta benzina sul fuoco dei TEA Party, da qui al 2012. Se il tasso di disoccupazione non scende, fosse anche a colpi di sussidi, Barack Obama comincerà a sembrare più Jimmy Carter che F.D. Roosevelt.
Con una differenza: Carter , perlomeno, ha lasciato che un uomo come Alfred Kahn inventasse la deregulation. Barack Obama, rischia di essere ricordato per aver importato i modi e metodi dell'IRI negli USA.
Hat tip: WSJ.com