martedì, marzo 13, 2012

Chi la fa l'aspetti: le regioni spagnole si ribellano al patto di stabilità?

Nei giorni scorsi il governo spagnolo ha annunciato che non rispetterà  alla lettera i termini dell'accordo intergovernativo sui piani di rientro dal debito. La scelta di prendere in considerazione il deficit strutturale invece di quello congiunturale ha i suoi meriti, anche se la questione forse evade il nocciolo del problema. 
Un'altra conseguenza, non del tutto inattesa, è che le regioni spagnole potrebbero pretendere di non rispettare  il patto di stabilità interno, adducendo le medesime ragioni del governo centrale nei confronti dell'Europa.  
La questione è tutt'altro che secondaria,  dato che gli enti locali sono già un buco nero di debiti inespressi o malamente occultati oltre che una fonte estremamente rilevante di spesa fiscale. I rischi di un conflitto fra centro e periferia sono oltretutto tutt'altro che remoti: valga per tutti l'esempio della Catalogna, la regione più industrializzata e sviluppata in Spagna, che a Febbraio ha ammesso di avere un deficit pari al 3.29%,  sforando  non soltanto il limite dell.'1.6% del rapporto fra deficit e PIL, ma anche le proprie stesse previsioni al 2.66% . Con queste premesse, non è difficile immaginare le potenzialità di avvitamento della situazione. 
E' vero che la situazione macroeconomica potrebbe consigliare cautela nei piani di austerità; d'altro canto, la mancanza di un accordo vincolante e credibile lascia mano libera a politici che ancora coltivano l'illusione che la normalità sia quella del 2007; nei PIGS (dove la I sta per Irlanda)  si trattava invece di una bolla nella quale la domanda era artificiosamente gonfiata dal ricorso eccessivo al debito, che finiva a  finanziare consumi correnti.  In questo contesto, i  provvedimenti di sostegno alla domanda non possono e non devono puntare a riportare la domanda a quei livelli, senza prima aver profondamente riformato il  sistema produttivo, altrimenti il risultato sarebbe quello di perpetuare la bolla, stavolta con denaro del contribuente invece che di creditori poco accorti. 
Finché dura l'illusione che basti solo un altro po' di "stimolo",  l'appello alla "crescita" e l'opposizione al rigore rischiano di essere interpretate da chi controlla i cordoni della borsa  come una giustificazione permanente alla spesa in deficit, senza preoccuparsi delle conseguenze, che il biennio 2008-2010 ci ha mostrato con terrificante chiarezza. 



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