L'ammirato socio espone lucidamente alcune perplessità sul Fiscal Compact, ossia il patto di stabilità a livello europeo e si chiedendosi, a titolo d'esempio, perché dovrebbe essere la Spagna a pagare per i danni causati dalla recessione e non da proprie scelte. La triste risposta è che nessun altro pagherà per loro, tranne un ricco zio teutonico che, consapevole dei propri precedenti errori, adesso pretende austeri pentimenti. Possiamo discutere della lungimiranza del suddetto zio, ma visti i precedenti della Germania orientale e del Mezzogiorno italiano, non saprei se augurar loro buona fortuna. In ogni caso, siamo nel reame della politica e non in quello dell'economia, dove possiamo lamentarci a volontà delle colpe tedesche, che sono numerose anche se non sono quelle comunemente additate. Rimane il punto che se si vuole che il governo tedesco paghi il conto, si deve purtroppo accettare che detti il menu. Se si preferisce scegliere, e sarebbe preferibile, si deve pagare di tasca propria o rifiutarsi di farlo, chiamando il bluff tedesco e probabilmente accettando ancora più dure ristrutturazioni nel breve periodo.
E' probabile che io ricada, spiritualmente se non geograficamente, nel novero degli austriaci ai quali sarebbe concesso d'astenersi dal commentare la bontà del principio di valutare il deficit strutturale, depurato dagli effetti della recessione, invece che il puro rapporto fra deficit e PIL, perché la nostra risposta sarebbe già scontata.
Eppure, tale principio potrebbe invece avere una sua validità, se il patto fosse approvato da contraenti con bilanci in equilibrio e livelli di debito ridotti e omogenei. In questo caso, l'impatto fiscale di una recessione potrebbe essere attutito da un bilancio nazionale in grado di sopportare l'accresciuto debito senza allarmare i creditori.
Questo, purtroppo, non è il nostro caso: ci si trova di fronte a governi che hanno perseguito politiche fiscali ed economiche eccessivamente accomodanti nei periodi sbagliati del ciclo, oppure che si sono rifiutati di accettare la necessaria implicazione di un'unione monetaria, ossia un'economia flessibile ed innovativa, meno soffocata da lacci e lacciuoli governativi.
In assenza delel necessarie riforme, l'aggiustamento avverrebbe tramite un'ondata di ristrutturazioni aziendali (e bancarie) che riporti equilibrio nei livelli di debito e rigeneri drasticamente la gestione nelle aziende gestite meno prudentemente.
Tale soluzione è il meno peggio dal punto di vista economico, ma è inaccettabile da quello politico: nel caso concreto, sia in Spagna che in Germania la radice del problema creditizio sono le banche di proprietà statale o di enti locali, i cui dirigenti sono inesorabilmente legati a filo doppio con la classe politica. I banchieri tedeschi hanno operato scelte poco felici, prestando a debitori nella periferia indegni di credito, quali molte Cajas spagnole, il governo greco e numerosi enti locali iberici ed italioti. Il necessario fallimento di questi debitori sarebbe insopportabile dal punto di vista politico e di conseguenza si è ricorso a "salvataggi" a vantaggio di creditori che meriterebbero d'essere falcidiati e dirigenti che meriterebbero il licenziamento, a spese di contribuenti e cittadini che ne pagano le conseguenze.
L'unico modo per uscirne sarebbe affrontare la realtà, esercizio troppo difficile per la nostra classe politica. Meglio pretendere che la colpa sia delle banche cattive e che i buoni politici stiano cercando solo di rimediare al danno, invece che ammettere che cercano di nascondere sotto il tappeto una fiaccola accesa, sperando che qualcuno prima o poi rovesci dell'acqua.