venerdì, gennaio 13, 2012

Evasione e Cortina: giusto pagare, ma non giochiamo agli apprendisti stregoni dell'oppressione


Una premessa: trovo sgradevoli i furbi che giocano ai finti poveri, soprattutto quando sono tanto stupidi da andarsene a spendere il bottino in località di lusso. Un’operazione come quella avvenuta a Cortina ha almeno il merito di coadiuvare la selezione naturale, migliorando forse il buon gusto dei superstiti. Trovo tuttavia che non sia da "liberali alle vongole" avere dubbi, proprio in quanto liberali, sul carattere quasi sacrale assunto dalla lotta all'evasione. Il caso di Cortina ha già suscitato considerazioni giustamente allarmate per la manipolazione mediatica e la rischiosa ’istigazione all'invidia sociale;più in generale, i metodi impiegati rischiano nel lungo periodo di essere peggiori del male, soprattuto nella prospettiva di chi desidera una società libera. Un liberale deve adattarsi talvolta a difendere l'indifendibile, per tutelare la libertà tramite il principio che i mezzi non giustificano i fini, soprattutto quando i fini sono tutt'altro che limpidi.Si sostiene ad esempio che la lotta all'evasione sia necessaria per ridurre in seguito la pressione fiscale e l'invadenza burocratica; il nobile fine giustificherebbe mezzi talvolta discutibili. Lo slogan in voga diventa "pagare tutti per pagare meno". Quest'argomentazione suona dubbia. Immaginiamo, come esperimento mentale, che l'evasione venga istantaneamente debellata, senza effetti secondari. Si alzi chi crede davvero che la nostra classe politica ridurrebbe le aliquote fiscali, invece che aumentare la spesa con il consueto mix di sussidi, protezioni e spese assistenziali alle aziende ed alle categorie sociali con maggiore influenza elettorale. Si tratta, in fondo, della triste storia avvenuta ad ogni aumento delle entrate fiscali in Occidente. Il problema di fondo è l’inerente conflitto d’interessi fra la classe politica ed i contribuenti in una democrazia assistenziale, quando si tratta di equilibrio dei conti. Per il contribuente la priorità è la riduzione del disavanzo fra entrate ed spese, minimizzando se possibile entrambe le grandezze, in modo da ridurre l’interferenza statale nelle scelte individuali. Per chi gestisce la macchina statale, l'aumento delle risorse intermediate è al contrario un bene di per sé, almeno per due motivi. Innanzitutto all'aumentare delle entrate aumenta il denaro di cui politici e burocrati decidono la destinazione, aumentando quindi il proprio potere sui privati cittadini. Una riduzione delle spese, al contrario, non porta ad alcuna utilità. In un sistema come quello italiano quasi tutti sono sia contribuenti che sussidiati; persino se un particolare individuo ricevesse esattamente quanto ha versato e non vi fossero costi per la gestione della redistribuzione, la gestione del suo reddito sarebbe grandemente in balia di scelte altrui, sebbene ne paghi comunque personalmente il prezzo. E’ per questo che la riduzione contemporanea di tasse e spese non è quindi interessante per la classe politica o burocratica: il calo della quota di PIL che passa fra le maglie della redistribuzione costituisce per essa un danno diretto ed immediato. Le conseguenze possono essere devastanti: dove lo Stato intermedia una quota sufficientemente grande del reddito nazionale, non la produzione e l'innovazione, ma la spartizione del bottino fiscale e la riduzione di quanto da pagare diventano le cause principali di prosperità individuale, con effetti devastanti sulla crescita che tanto desideriamo a parole. In secondo luogo, un aumento dei programmi di spesa e dei sussidi mirati rende giustificabile agli occhi dell'elettorato un aumento delle dimensioni della burocrazia necessaria a gestire tale intermediazione e quindi un aumento dei posti di lavoro a disposizione per i propri simpatizzanti e clienti. Il prestigio sociale dei burocrati come dei politici aumenta all'aumentare del denaro a disposizione; di nuovo, i migliori non produrranno, ma cercheranno rendite e posti garantiti, in modo da non essere fra le pecore, ma fra i lupi. Aumentano così la sclerosi della società e il regresso ad un mondo premoderno.È ingenuo pensare quindi che la classe politica scelga spontaneamente la strada della riduzione del prelievi o della semplificazione, che tanto ridurrebbe il proprio ruolo e la propria influenza. E’ necessaria una costante vigilanza dei contribuenti elettori. Di conseguenza, per un liberale la lotta all'evasione fiscale dovrebbe essere giudicata come ogni normale operazione di polizia e non come una santa crociata, prioritaria a ogni altra iniziativa; è persino possibile che tale crociata diventi una distrazione dall’obbiettivo di mantenere efficiente la spesa e minimizzare la pressione fiscale e che apra la porta ad abusi di potere. Oltre ad essere problematica dal punto di vista dei fini, l'appoggio a questa modalità di caccia all'evasore è dubbia anche da quello dei mezzi. Trovo curioso che chi condona la resistenza a leggi che violano la libertà individuale in tema religioso, sessuale o medico, ritenendo in errore permanente le autorità, ritenga che tale libertà possa essere violata facilmente in altri contesti perché in questi casi l'autorità divenga magicamente benevola. È naturale per ogni governo cercare di risolvere ogni problema richiedendo un aumento di prerogative, spesso con le migliori intenzioni, adducendo esigenze d'emergenza. Chi si dice liberale conosce l'obiezione a tali argomenti. Le misure temporanee diventano permanenti, quelle limitate vengono estese e diventano generali, poteri discrezionali dati a un governo rispettoso dell’individuo per nobili fini diventano armi liberticide nelle mani del sucessivo governo. Il controllo assoluto delle transazioni finanziarie permette una violazione della privacy quasi totale e si presta ad abusi immani; molti liberali hanno giustamente criticato le norme lesive della privacy contenute nelle leggi antiterrorismo, ma qualcuno vuole accettare provvedimenti identici per contrastare l'evasione fiscale, che non minaccia certo la vita e la libertà quanto i responsabili delle stragi delle Torri Gemelle o di Atocha.Mi si permetta di dubitare che in Italia avremo sempre governi, burocrati o pubblici ministeri che si asterranno dall'impiegare spurie accuse di evasione come pretesto per acquisire tutte le transazioni finanziarie di avversari ideologici e quindi ottenere informazioni utili per ricatti, calunnie o intimidazioni; mi si permetta di dubitare che non s'impiegherà la gogna mediatica a fini di esproprio o di lotta politica. Non comincio neppure a discutere degli abusi che verrebbero commessi da parte di funzionari infedeli, venali o corrotti in possesso di tali informazioni.Non è difficile immaginare quante informazioni sulla nostra vita privata un governo reazionario potrebbe inferire analizzando i nostri estratti conto, fra poco omnicomprensivi. Immaginate cosa potrebbe fare un governo interessato ad imporre una propria variante di Stato etico, sia esso di sinistra o di destra, con una tale base dati a disposizione: quali libri vi ostinate a comprare, quali brutte abitudini mantenete, in quali locali sospetti vi avventurate; quella parcella ad un medico in odore di aborti, quell'anestesista sospettato di aiutare a porre fine alle sofferenze dei propri cari, quelle donazioni a cause sospette diverrebbero immediatamente segnali per un governo, o peggio per una macchina burocratica intenta a mantenervi sulla retta via. Certo, potreste fare tutte queste cose all'estero, se vi fosse ancora pemesso esportare il denaro con cui pagarle, ma probabilmente vi saranno già norme per speculatori e disfattisti facilmente applicabili a qualunque indesiderabile.Ricordiamoci che uno dei cavalli di battaglia di Mussolini fu la lotta ai "pescecani", ai profittatori di guerra, oltre che ai facinorosi che minacciavano la quiete delle strade e la proprietà privata. Ad oggi si sentono echi della medesima retorica, aggiornata ai nostri tempi sociali. La proprietà minacciata non è più quella borghese, ormai ridotta a mero usufrutto a discrezione della volontà collettiva dalla nostra Costituzione; è quella quota dei due terzi della nostra vita che lo Stato pretende quale proprio diritto divino. La classe dirigente nominalmente liberale che governava l'Italia si illuse che il fine giustificasse i mezzi, salvo assistere inorridita all'uso sempre più perverso e indiscriminato di provvedimenti che aveva creduto limitati e temporanei. Potremmo essere ancora in tempo per non ripetere lo stesso errore.

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