lunedì, agosto 21, 2006

Stato e "corporazioni", una relazione simbiotica

Alberto Mingardi espone una delle ragioni dello strapotere delle corporazioni in Italia:

Le corporazioni tengono botta egregiamente, ma non sono la “società civile”. Esse – esattamente alla stregua dei sindacati – esistono in quanto contrappunti e referenti della politica. Perché i farmacisti sono potenti? Perché il servizio sanitario nazionale in Italia è fatto com’è fatto, i prezzi sono stringentemente regolati, la maggioranza delle medicine le paga lo Stato. In un sistema siffatto, per forza i rivenditori di pastiglie guardano negli occhi il governo. I tassisti operano su concessione. Essi non protestano in quanto liberi fornitori di un servizio: ma come beneficiari di una pubblica licenza. Non è la società ad essere conservatrice: è lo Stato che distribuisce privilegi e rendite, e facendolo dà la stura, ovviamente, ad organizzazioni il cui mestiere è tenersi cari tali benefici. E’ inutile biasimare l’egoismo della società civile, o la corruzione della politica. Il problema è l’interventismo statale che legittima l’uno e nutre l’altra. Se lo Stato trattenesse la propria bulimia regolatoria, la società civile non sarebbe una costellazione di corporazioni. Guardiamo la luna, non il dito.
Mingardi ha sicuramente ragione nell'operare una distinzione fra societa' civile e "corporazioni", intese come organizzazioni tese a guadagnarsi un monopolio in deteminate aree della vita economica di un territorio. Tuttavia, e' utile ricordare come corporazioni e Stato abbiano un rapporto simbiotico, ma possano esistere e fare danno anche in maniera indipendente le une dall'altro. Guardiamo la luna e non il dito, ma anche il dito va tenuto sotto controllo.

Una libera societa' civile e le strutture statali, con cui i suoi membri interagiscono, hanno interessi a lungo andare divergenti, qualora il governo non si attenga ad una politica di intervento minimo; la relazione fre "corporazioni" e Stato, al contrario e' invece di fatto simbiotica e prosegue in entrambe le direzioni: da un lato, e' indubbio che l'interventismo statale rafforzi le corporazioni; d'altro canto, le corporazioni stesse forniscono appoggio e legittimazione all'invadenza del governo nella sfera economica, a tutela del proprio monopolio e dei propri privilegi.

Tuttavia, proprio a causa della naturale affinita' , le corporazioni non si esauriscono in blocchi di pressione sullo Stato: qualora una "corporazione" abbia successo, diviene ceto, casta, in un certo senso un altro potere coercitivo, affine quindi a quello statale. Eliminare lo Stato lascerebbe indebolite, ma non dome, forme di aggregazione il cui carattere coercitivo porterebbe inevitabilmente ad una ripetizione dei problemi che l'individuo sperimenta contro lo Stato.
E' bene ricordare come le "corporazioni", nel Medioevo, non furono soltanto le levatrici della liberta' e della prosperita' nel Comune medievale, ma anche i suoi becchini: per difendere il privilegio, non esitarono ad appoggiare la tirannide. Sarebbe sorprendente lottare per la ritirata del potere statale dalle vite dei cittadini, per subire nuovamente lo stesso genere d'ingerenze da parte di piccoli poteri locali o settoriali.


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