I numeri possono parlare chiaro, ma un solo numero può dare un'immagine limitata e potenzialmente distorta: in questo caso, se è vero che l'aliquota fiscale nominale è calata, è anche vero che l'aliquota effettiva, ossia la percentuale realmente versata all'erario imprese, non si è mofdificata, se non in casi sporadici.
I governi europei, infatti, hanno ridotto le aliquote nominali massime; nello stesso momento, tuttavia, hanno eliminato esenzioni ed incentivi che permettevano alle imprese di ridurre il carico fiscale effettivo. L'effetto netto è stato di conseguenza limitato.
A livello aggregato, una semplificazione del sistema fiscale sarebbe comunque un obiettivo desiderabile: la ridotta complessità riduce i costi relativi alle incombenze burocratiche, ma soprattutto le parcelle versate a commercialisti ed avvocati esperti nel navigare un codice tributario complesso, spesso vera barriera all'entrata per piccole e medie imprese di nuova formazione.
Purtroppo, il caso inglese dimostra che l'attitudine alla discriminazione fiscale continua a persistere e anzi potrebbe aggravarsi. Gordon Brown, Cancelliere dello Scacchiere, ha infatti ridotto l'aliquota nominale sulle imprese. Ha tuttavia finanziato l'operazione tramite una riduzione della deducibilità degli ammortamenti di stabilimenti industriali. In questo modo, si è introdotta una discriminazione a favore delle aziende con minori immobili e strutture fisiche e quindi maggiormente a rischio di delocalizzazione: le aziende industriali tradizionali stanno di fatto sussidiando la finanza, per fare un esempio. Può trattarsi di un favoritismo sensato, nell'era della globalizzazione, ma di certo si tratta anche di un comportamento discriminatorio e dal vago sapore dirigista, con tutti i rischi di inefficienza (chi decide il settore su cui puntare?) e distorsione sulle scelte degli individui che questo comporta.
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