martedì, maggio 01, 2007

Europa e Turchia: allo specchio?

L’Europa, di fronte alla crisi in Turchia, deve decidere. Sulla linea da tenere con Ankara, indubbiamente, ma anche su quello che Istanbul può insegnare, o perlomeno segnalare, al Vecchio Continente.
A differenza di Cantor, ritengo che vi siano fondate ragioni di speranza: i partiti islamici hanno ottenuto soltanto un terzo dei voti, mentre i due terzi sono andati a partiti più o meno laici. Lo spazio per evitare la trasformazione della Turchia in uno stato clericale quindi esiste, rimane ampio e deve essere sfruttato, in primo luogo con con una onesta politica di incoraggiamento all'entrata in Europa: condizioni rigorose, certo, ma questa volta coerenti con la situazione della Turchia, a fronte di scadenze precise e di un impegno solido a mantenere, da parte europea, le promesse fatte. Ricordiamoci come il successo islamico sia in parte una reazione all'ambiguità ed ai balletti indecorosi allestiti da Francia e Germania riguardo ai negoziati d'ammissione della Turchia nell'Unione, per motivi che sanno di razzismo e discriminazione religiosa.
Mi si permetta una battuta, ma mi sembra più europea una nazione con l'esercito ed un milione di persone in piazza a difesa del principio di laicità, piuttosto che certi "nuovi membri" ammessi a furor di croci ed incensi.

Chissà che anche certi dispregiatori del "laicismo" nostrano non capiscano quanto bello sia avere un governo indifferente, quando non estraneo, ai dettami delle autorità religiose; perché fra trent'anni, i cattolici potrebbero davvero essere una minoranza - e non la maggioranza piagnucolosa di oggi - e potrebbe capitare agli atei devoti ed ai cristiani liberali di dovere riscoprire Locke e persino Voltaire, per una manifestazione simile a quella di Istanbul. Perché senza libertà, il resto è un mero gioco formale.



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