Uno degli editoriali della rivista Barron's identifica la domanda di cui vorremmo avere tutti la risposta: Anche se il mercato evita una crisi di liquidità (ossia fiducia) nell'immediato, la fine del credito facile condurrà ad una riduzione dell'attività economica tale da portare ad un crollo dei profitti aziendali?
Significherebbe la rimozione del maggior fattore rimasto a sostenere i mercati in questo momento, ossia la convinzione che, per quanto le decisioni di credito siano state eccessivamente ottimistiche, le prospettive di crescita economica reale siano ancora relativamente robuste e quindi, in fondo, gli investimenti finanziati con tale debito siano in fondo sani.
Una grossa, grossa domanda. Sino a poche settimane fa, la risposta avrebbe potuto essere positiva, almeno al di fuori degli USA, dove la crisi dei subprime potrebbe essere letta come un un sintomo delle difficoltà del mercato immobiliare in generale e non la causa del problema. Negli ultimi giorni, invece, sta forse emergendo un elemento da prendere in maggiore considerazione di quanto sia stato fatto sinora: la scoperta delle dimensioni delle scommesse effettuate con debito a brevissimo termine da consociate bancarie sta creando problemi maggiori del previsto.
Non dobbiamo temere gli hedge fund, ma le solite, vecchie, tradizionali banche commerciali?
Secondo l'opinione prevalente, l'improvvisa carenza di liquidità avrebbe dovuto portare soltanto a perdite nel mondo hedge fund, disperdendo così il danno su numerosi attori del mercato, ma contenendo i danni all'economia reale che non si sarebbe ritrovata con un sistema dei pagamenti e di finanziamento dell'attività commerciale danneggiato.
In realtà, moltissime banche tradizionali, soprattutto tedesche, hanno impiegato delle strutture fuori bilancio, poco visibili in tempi di calma, per finanziare investimenti rischiosi, altamente speculativi e a lungo termine con denaro preso a prestito a brevissimo termine sul mercato della cosiddetta commercial paper, impiegata anche dalle grandi aziende per finanziare il proprio capitale circolante.
La conseguenza inattesa delle perdite sui subprime è stata quindi quello di gettare nel panico uno degli angoli più tranquilli del mercato, chiudendolo sia ai veicoli dell'ingegneria finanziaria che alle tradizionali aziende industriali e commerciali. Tali aziende si stanno rivolgendo ora alle proprie banche per ottenere tali finanziamenti a breve, aggravando ulteriormente il problema della scarsa liquidità a disposizione del sistema bancario, che deve ora sostenere i propri clienti e finanziare da solo investimenti che non avrebbe dovuto neppure avere in bilancio; oppure stanno riducendo l'attività economica, colpendo l'economia reale.
Il danno potrebbe essere soltanto temporaneo, ovviamente: una uscita ordinata e rapida dei debitori speculativi dal mercato riporterebbero la calma anche in quest'angolo del mercato; eppure si tratta di un ulteriore canale di trasmissione di crisi che rischia di essere regolarmente trascurato, creando danni maggiori del previsto.
Ironia della sorte: se, paradossalmente, il processo di disintermediazione bancaria fosse davvero arrivato al punto temuto dalla BIS o dalla Fed, le preoccupazioni a medio termine degli eccessi sul mercato del credito sarebbero state molto minori.
Le istituzioni finanziarie preposte a regolare i marcati hanno passato anni a preoccuparsi del fatto che l'innovazione finanziaria non portasse soltanto ad una utile diversificazione, riducendo il rischio sul sistema bancario in senso stretto, ma che il rischio finanziario divenisse anche troppo disperso, finendo in mani poco esperte.
Un ulteriore danno all'economia reale, forse quello decisivo, potrebbe invece arrivare non dai selvaggi speculatori degli hedge fund, ma proprio da quei banchieri tradizionali che hanno voluto giocare, al riparo da occhi indiscreti, con quei rischi che avrebbero dovuto capire meglio degli altri.
Significherebbe la rimozione del maggior fattore rimasto a sostenere i mercati in questo momento, ossia la convinzione che, per quanto le decisioni di credito siano state eccessivamente ottimistiche, le prospettive di crescita economica reale siano ancora relativamente robuste e quindi, in fondo, gli investimenti finanziati con tale debito siano in fondo sani.
Una grossa, grossa domanda. Sino a poche settimane fa, la risposta avrebbe potuto essere positiva, almeno al di fuori degli USA, dove la crisi dei subprime potrebbe essere letta come un un sintomo delle difficoltà del mercato immobiliare in generale e non la causa del problema. Negli ultimi giorni, invece, sta forse emergendo un elemento da prendere in maggiore considerazione di quanto sia stato fatto sinora: la scoperta delle dimensioni delle scommesse effettuate con debito a brevissimo termine da consociate bancarie sta creando problemi maggiori del previsto.
Non dobbiamo temere gli hedge fund, ma le solite, vecchie, tradizionali banche commerciali?
Secondo l'opinione prevalente, l'improvvisa carenza di liquidità avrebbe dovuto portare soltanto a perdite nel mondo hedge fund, disperdendo così il danno su numerosi attori del mercato, ma contenendo i danni all'economia reale che non si sarebbe ritrovata con un sistema dei pagamenti e di finanziamento dell'attività commerciale danneggiato.
In realtà, moltissime banche tradizionali, soprattutto tedesche, hanno impiegato delle strutture fuori bilancio, poco visibili in tempi di calma, per finanziare investimenti rischiosi, altamente speculativi e a lungo termine con denaro preso a prestito a brevissimo termine sul mercato della cosiddetta commercial paper, impiegata anche dalle grandi aziende per finanziare il proprio capitale circolante.
La conseguenza inattesa delle perdite sui subprime è stata quindi quello di gettare nel panico uno degli angoli più tranquilli del mercato, chiudendolo sia ai veicoli dell'ingegneria finanziaria che alle tradizionali aziende industriali e commerciali. Tali aziende si stanno rivolgendo ora alle proprie banche per ottenere tali finanziamenti a breve, aggravando ulteriormente il problema della scarsa liquidità a disposizione del sistema bancario, che deve ora sostenere i propri clienti e finanziare da solo investimenti che non avrebbe dovuto neppure avere in bilancio; oppure stanno riducendo l'attività economica, colpendo l'economia reale.
Il danno potrebbe essere soltanto temporaneo, ovviamente: una uscita ordinata e rapida dei debitori speculativi dal mercato riporterebbero la calma anche in quest'angolo del mercato; eppure si tratta di un ulteriore canale di trasmissione di crisi che rischia di essere regolarmente trascurato, creando danni maggiori del previsto.
Ironia della sorte: se, paradossalmente, il processo di disintermediazione bancaria fosse davvero arrivato al punto temuto dalla BIS o dalla Fed, le preoccupazioni a medio termine degli eccessi sul mercato del credito sarebbero state molto minori.
Le istituzioni finanziarie preposte a regolare i marcati hanno passato anni a preoccuparsi del fatto che l'innovazione finanziaria non portasse soltanto ad una utile diversificazione, riducendo il rischio sul sistema bancario in senso stretto, ma che il rischio finanziario divenisse anche troppo disperso, finendo in mani poco esperte.
Un ulteriore danno all'economia reale, forse quello decisivo, potrebbe invece arrivare non dai selvaggi speculatori degli hedge fund, ma proprio da quei banchieri tradizionali che hanno voluto giocare, al riparo da occhi indiscreti, con quei rischi che avrebbero dovuto capire meglio degli altri.
HT: The Big Picture,wsj (su Sachsen LB)