Sulla brutta copia del New York Times (inquietante già di suo) Giannini ha un ruolo preciso : leggiuchciare l'Economist e trarne le conclusioni sbagliate, soprattutto parlando d'Italia.
Sproloquiando su Tremonti, dice:
"Giulio Tremonti ama ripetere un leitmotiv: 'L'economia la fa l'economia, non la fanno i governi'. Ha ragione solo in parte."La parte in cui ha ragione è proprio l'opposto di quella che vorrebbe Giannini: lui vorrebbe che il ministro Tremonti intervenisse di più e su temi cari alla sinistra; personalmente, gradirei che invece Giulio Tremonti razzolasse come predica e che di conseguenza lasciasse fare alla "economia", liberando spazi per l'azione degli individui e ritraendo la pesante mano del governo.
Invece il ministro dell'Economia ricicla le peggiori idee di Blair, razzolando male dopo aver ben predicato.
La tassa straordinaria sui profitti delle aziende petrolifere e sulle banche è infatti diretta discendente della windfall tax, presente nel Labour Manifesto del 1997 e volta a tassare gli "eccessivi" guadagni derivanti dalla privatizzazione delle aziende di Stato britanniche. Eccessivi a posteriori, oviamente: almomento della privatizzazione il governo Thatcher aveva dovuto ricorrere ad ogni sorta di incentivi per convincere gliinglesi a comprarsi quelli che venivnao visti come dei carrozzoni.
I suoi effetti sono perlomeno discutibili: a fronte di un introito di circa 5 miliardi di sterline, ha rischiato di scardinare la reputazione della Gran Bretagna come nazione dove impera la certezza del diritto. Il problema maggiore, allora come oggi, non è tuttavia questo, né che a pagarla, alla fine, non saranno certo le "corporation", semplici finzioni giuridiche, o i manager, ma gli azionisti ed i consumatori.
Il punto è lo stesso che si riscontra nelle giursidizioni a rischio di nazionalizazione o di altre predazioni governative: si genera una riduzione degli investimenti e quindi della ricchezza futura. Se esiste il rischio che i frutti di tali investimenti vengano depredati, allora ci si limiterà a sfruttare all'osso l'esistente, intascare i profitti e fare le valige; l'effetto opposto, insomma, a quello in teoria ricercato da ogni buon ministro socialista, pardon colbertista.
Si tratta di un esempio di conseguenze inattese di politiche in apparenza utili a fini sociali, un classico "fallimento del socialismo", corrispettivo molto più frequente dei "fallimenti del mercato" : un provvedimento dalle ottime intenzioni che produce pessimi risultati, in pieno contrasto con i propri stessi obbiettivi.
Come nel caso della proposta di rinegoziazione quasi-volontaria dei mutui, si tratta di un lodevole tentativo di risolvere un problema, una novità rispetto alle tattiche dilatorie e vessatorie del precedente governo. Purtroppo, rischia di essere un tentativo controproducente, a causa dell'impiego degli strumenti sbagliati. In nazioni come l'Italia, si crede sempre che sia necessario fare "qualcosa", qualsiasi cosa, che il governo debba agire ed intervenire, anche quando rischia di fare maggior danno di quanto non se ne stia già verificando. Comincio a temere che la capacità di resistere e non cadere in certe trappole sia come il coraggio per Don Abbondio : “[...] se uno non ce l’ha, non se lo può dare”.
update: questo post e' un fratello quasi gemello del mio pezzo su giornalettismo