La Grecia riceverà decine di miliardi, dopo aver falsificato i conti e promesso una manovra che probabilmente non attuerà, prendendo a pretesto la rivolta di piazza dei sindacati. L'Irlanda ha già tagliato le retribuzioni dei dipendenti statali e ridotto drasticamente la spesa pubblica e si ritroverà oltretutto a dover contribuire al salvataggio greco. Alla prossima difficoltà, perché Dublino (oltre a Lisbona o Madrid) non dovrebbe fare marcia indietro ed affidarsi alle stesse tattiche della Grecia, visto che essere virtuosi non paga?
Numerosi opinionisti, competenti o meno di economia, si stanno affrettando a declamare la necessità di un salvataggio della Grecia, colpita dalla "speculazione". Si tratta dell'errore più recente in una catena di decisioni politiche nelle quali i comportamenti più irresponsabili sono stati sempre ignorati o addirittura premiati, scoraggiando così comportamenti virtuosi, rendendo più probabile proprio la crisi che si vorrebbe evitare.
Il caso dell'Irlanda, comparato con quello greco, è un paragone interessante. Di fronte alla crisi, il governo di Dublino ha impugnato l'ascia: le retribuzioni dei dipendenti pubblici sono state tagliate del 7 percento a Febbraio 2009 e di nuovo ad ottobre. Non un euro è stato chiesto agli altri paesi membri e la piccola nazione sta facendo di tutto per rientrare verso i parametri del patto di stabilità.
Atene, al contrario,ha sprecato il dividendo dell'accesso all'euro per gonfiare la propria spesa pubblica a livelli insostenibili, coccolare ogni categoria ipersindacalizzata e mantenere viva e vegeta quella cultura sindacal-corporativa che ha devastato il Regno Unito prima della signora Thatcher e che ha deistrutto il miracolo eocnomico italiano, trascinandoci nel medio periodo nella melma di Tangentopoli e delle crisi valutarie. Inoltre, ha sistematicamente falsificato i propri conti, ingannando gli investitori. Le istituzioni europee hanno di fatto chiuso un occhio sulle ripetute violazioni del patto di stabilità, soprattutto grazie alle pressioni di Francia e Germania, che per vantaggi di breve periodo hanno minato alla base l'euro ed il trattato di Maastricht
Si agggiunga che la crescita del PIL irlandese non è stata sostenuta soltanto dall'esplosione della spesa pubblica e della speculazione immobiliare, come in Grecia. Dublino ha riformato drasticamente la propria legislazione e il proprio sistema fiscale e pensionistico a partire dagli anni '80, innalzando drasticamente la produttività in numerosi settori chiave; è ragionevole pensare che prezzi e redditi siano stati gonfiati da una bolla a partire all'incirca dal 2004, ma questo non nega gli enormi progressi compiuti nei 15 anni precedenti. L'economia greca, al contrario, è ancora ingessata ed in preda ad uno stato rapace, assistito da sindacati pervasivi e da un assetto legislativo e regolamentare che premia le aziende che eccellono nell'aggiudicarsi favori e non nella competizione sul mercato.
Di fronte a questa disparità, l'Unione Europea ha sempre dichiarato a parole di volere rispettare le sagge linee guida del Trattato di Maastricht, che vorrebbero imporre penalizzazioni agli stati meno virtuosi; e che cvietano, per questo motivo, di garantire il debito di un altro stato; nei fatti, invece, si è corsi in aiuto della Grecia, nazione cicale e traditrice dello spirito e della lettera dei trattati; si è lasciata sola invece la virtuosa Irlanda; per aggiungere il danno alla beffa, ora si chiede a Dublino di contribuire al salvataggio di Atene. La lezione, per qualsiasi politico di una nazione in difficoltà, è identica a quella tratta da ogni banchiere dopo un salvataggio a spese del contribuente: perché doversi affannare per rimettere in sesto i conti, quando basta minacciare l'insolvenza per essere aiutati dal Pantalone di turno?
Perché il governo portgohese o irlandese dovrebbe sforzarsi di risolvere i propri guai varando impopolari misure di austerità, quando è sufficiente dichiarasi area disastrata e pretendere che sia l'Unione Europea, in barba alel clausole di Maastricht, a levar loro le castagne dal fuoco? La risposta è semplice: non accadrà. A meno di una miracolosa ripresa economica, il salvataggio greco sarà soltanto il primo di una serie, esattamente come se nulla si fosse fatto, a questo stadio. La differenza è che tutti noi pagheremo il conto, invece di lasciarlo pagare agli acquirenti di debito greco. La natura di tali investitori è, d'altronde, una delel chiavi per comprendere il comportamento apparentemente contraddittorio dei politici tedeschi.
L'accusa rivolta agli "speculatori" è infatti patetica: il maggiore danno lo hanno fatto le politiche monetarie delle banche centrali, enti statali , e gli investimenti di enti parastatali tedeschi e francesi. I mercati hanno reagito come era prevedibile: scoppiata la bolla finanziaria, i titoli greci hanno cominciato a declinare e la Grecia ha dovuto pagare tassi sempre più alti. Alla scoperta delle manipolazioni di bilancio e con i nuovi dati che dientificavano una situazione finanziaria insostenibie, il problema è letteralmente esploso, ma qualunque investore sapeva che la Grecia era comunque un investimento rischioso e per questo tanto remunerativo, rispetto ai titoli tedeschi o persino italiani. Nulla di strano, quindi , che chi abbia preso il rischio senza saperlo valutare adesso si trovi costretto a soffrire: nel mercato finanziario, come in ogni mercato, chi sbaglia dovrebbe pagare, e solo i concorrenti più avveduti sopravvivono e prosperano. Purtroppo, i "mercati finanziari" sono invece uno dei mercati meno liberi che si possano immaginare, vista la preponderanza dell'intervento statale, nascosto dietro la politica monetaria delle banche centrali e le barriere all'entrata imposte dalle autorità di vigilanza.
Non è un caso che i maggiori detentori di titoli greci siano maniera sproporzionata da banche di proprietà statale in Germania e da assicurazioni francesi: due tipologie di investitori di fatto riparati dalla disciplina di mercato, grazie ai propri appigli politici. E, non per caso, la reazione alla crisi greca e la maggiore retorica "solidaristica" viene proprio dai governi tedesco e francese, terrorizzati all'idea di dover versare miliardi di euro per aiutare direttamente istituzioni finanziarie domestiche, di quelle che "non parlano inglese" e che non possono essere accusate di capitalismo rapace, essendo legate a filo doppio agli stessi politici. La soluzione scelta, ossia far pagare il contribuente europeo, non ha nulla di inevitabile, se non per i politici che hanno contribuito a crearla e che voglino a tutti i costi evitare di pagarne le conseguenze.