Due chicche che aggiungono la beffa al danno irlandese.
La prima è la provenienza di parte del denaro che il governo di Dublino dovrà contribuire al pacchetto di salvataggio delle proprie banche: il fondo pensione nazionale. Per garantire i conti correnti, agli irlandesi viene sottratta la pensione. L'ironia sarebbe abbastanza amara, anche senza considerare che in realtà non sono i conti correnti irlandesi a correre rischi, ma il patrimonio delle lottizzatissime banche regionali tedesche.
La seconda: la Grecia ha ottenuto una estensione delle scadenze per il rimborso del proprio pacchetto di salvataggio, che adesso combaciano con quelle irlandesi. Per quale motivo? La crisi greca non dovrebbe essere legata a quella irlandese, in nessun modo, come d'altronde ribadito dagli stessi euro-gerarchi; sorge il sospetto che si tratti di un pretesto per facilitare ancora il compito ad Atene, che nessuno crede sia in grado di ripagare i propri debiti.
Proprio quello che ci voleva per aumentare la stima del mercato nei confronti degli
euroburocrati: ricordare al mondo quanto poco riuscito sia stato l'ultimo "salvataggio"
L'Irlanda non è la Grecia, ovvio: per non diventarlo, e tornare invece di nuovo sul sentiero inaugurato dalla fase della "tigre celtica", dovrebbe liberarsi del peso morto all'interno del proprio sistema bancario e non lasciare che il resto dell'isola affondi per evitare ai politici continentali l'imbarazzo della malagestione delle proprie banche.