La farsa europea continua: siamo arrivati al paradosso per cui L'Unione Europea obbligherà l'Irlanda ad accettare un pacchetto di aiuti che il governo dell'isola non ha chiesto e non desidera. I miliardi europei non sono indispensabili per la salvezza di Dublino, ma saranno utili ad evitare problemi ad alcune banche europee ed imbarazzi alla classe politica continentale.
A pagare, inutilmente, sarà come sempre il contribuente.
Non nascondiamoci, per favore, dietro ad alti discorsi sulla stabilità del sistema e sui doveri fraterni verso l'Irlanda. La crisi celtica è ben diversa da quella greca: il governo si è sempre comportato prudentemente, al contrario di Atene. Il motivo scatenante della crisi sono i debiti bancari agli speculatori edilizi, ora in massiccia sofferenza.
Il governo irlandese, di fronte alla prospettiva di un'ondata di fallimenti, ha imprudentemente garantito tutte le passività del settore, anche se per un periodo di tempo limitato, al momento sino al 30 giugno 2011. Nel frattempo, si sta cominciando a separare i depositi dal resto delle strutture bancarie, spianando la strada per una ristrutturazione che non punisca il correntista, ma che potrebbe invece costar cara agli investitori obbligazionari.
La soluzione razionale sarebbe infatti quella di far pagare i responsabili: i dirigenti delle banche imprudenti e gli investitori nelle stesse banche, azionisti ed obbligazionsiti, nel caso fosse necessaria una ristrutturazione delle stesse per eccessive perdite, tramite procedure come il concordato preventivo italiano o il Chapter11 statunitense, per le aziende industriali. Purtroppo, il settore bancario ha caratteristiche particolari e sinora sono mancati strumenti legali adeguati, a causa del rifiuto delle autorità di regolamentazione di lasciar funzionare correttamente il meccanismo di mercato: le leggi che rendono il settore bancario un caso a parte hanno anche distorto l'evoluzione del diritto fallimentare bancario, lasciandolo arretrato rispetto a quello industriale.
Dopo anni di ostruzionismo politico, ci si sta finalmente avvicinando alla costruzione di un impianto legislativo adeguato alla realtà del sistema finanziario: il comitato di Basilea sta studiando proposte che permetterebbero di limitare l'impunità delle banche e di costruire una procedura in grado di bilanciare protezione del sistema e assunzione di responsabilità (e predite) per gli attori coinvolti, riducendo lo spreco di denaro pubblico e l'interferenza governativa.
La strada presa dall'Unione Europea è una parodia perversa dei salvataggi del passato. Come per la Grecia, il motivo di tanta sollecitudine e del desiderio di violare lo spirito dei trattai europei risiede nell'incompetenza e nella miopia della classe politica europea. Le banche regionali tedesche e le assicurazioni francesi sono fra i maggiori detentori di bond irlandesi, così come lo sono di bond greci. Una loro crisi non soltanto costringerebbe i rispettivi governi ad intervenire, ma imbarazzerebbe l'intera classe politica, data la provenienza dei dirigenti di queste istituzioni. Le Landesbank tedesche sono infatti istituzioni a proprietà e conduzione statale, per la cui inefficienza i politici sono direttamente responsabili, dato che ne nominano i vertici, scegliendoli spesso fra le proprie stesse file. Il settore finanziario ed assicurativo francese è formalmente privato, ma l'osmosi fra classe politica e grande dirigenza è totale, a partire dalle scuole frequentate, alla vita sociale ed alle frequentazioni, quando non nella stessa persona: molti dirigenti bancari sono ex politici od attivisti, laddove numerosi politici hanno avuto più di un contatto con il mondo della grande impresa, che in Francia si coordina strettamente con l'élite politica.
E' questo modello che ha prodotto banchieri ed investitori convinti di poter guadagnare senza rischi, di poter speculare senza mettere da parte riserve, di poter sempre scaricare le perdite sul contribuente e bearsi dei propri successi. Non esistono pasti gratis, se non nella mentalità di chi può permettersi, sotto la cortina fumogena del "bene comune" e di un collettivismo più o meno soft, di appropriarsi dei profitti altrui. Solo collettivisti di questo tipo potevano illudersi di stare investendo in strumenti privi di rischio, quando le cedole che venivano loro corrisposte erano nettamente superiori a quelle fornite dai titoli di Stato tedeschi o francesi. Per evitare di riconoscere il fallimento di un simile modello e ripartire con un vero mercato ed un sistema finalmente capitalistico, la nostra élite sociale, equa e solidale vuole salvare gli incompetenti banchieri irlandesi ed i loro investitori, evitando così di dover salvare, di nuovo, i propri protetti a livello domestico. La vera sorpresa è che i politici irlandesi, stavolta, rifiutino di fare la parte del capro espiatorio.