giovedì, giugno 15, 2006

Nessun diritto di rubare, nessun privilegio feudale.

Kagliostro ha ragione ad imbufalirsi per certe sparate di chi, in tema di peer-to-peer , fa retorica pauperistica e nega il principio per il quale chi produce un'opera d'ingegno abbia il diritto di rivendicarne la proprieta'. Sono d'accordo, a patto che i produttori di tali opere d'ingegno applichino un po' di tale ingegno a trovare un modo per farsi pagare, invece di limitarsi ad urlare al ladro.

Personalmente, credo che il tentativo degli autori di contenuti di marcare in maniera univoca il proprio lavoro e successivamente di cercare di ricavarne denaro sia uno sviluppo positivo; come gia' faceva notare K. , in caso contrario verrebbe in parte a mancare l'incentivo economico per la produzione di opere digitali, non (sol)tanto artistiche, ma anche e soprattutto di natura tecnica. L'evoluzione tecnologica ha posto in crisi i precedenti meccanismi statali di tutela della proprieta', inadatit alla Rete, che si e' sviluppata in condizioni particolari; ha ridotto il valore posto dalla generalita' degli individui su alcuni beni e ne ha aumentati altri; mi sembra naturale che sia la stessa tecnologia a fornire soluzioni a tale problema, concettualmente simile a quelli che si aprono in qualsiasi frontiera.

Quello che trovo sgradevole e' che questo attualmente avvenga troppo spesso in maniera poco trasparente e che limita la fruibilita' dei contenuti stessi da parte dell'acquirente, anche dove questo non sia stato esplicitamente concordato fra le parti. Il caso del DRM Sony e' eclatante, ma non isolato.
Quello che poi trovo francamente poco accettabile e' che, invece di cercare soluzioni individuali e di mercato al problema, troppi (non certo tutti) produttori di contenuti si limitino a pretendere di avere una sorta di diritto divino ad invocare l'intervento della forza pubblica perche' non sono in grado di rendere profittevole il proprio modello di business per assenza di capacita' di riscuotere pagamenti, con l'effetto di ritardare la costruzione di un modello di pagamenti e di diritti di proprieta' davvero adatto alla Rete.

Riguardo al presunto "diritto" alla liberta' di copiare contenuti digitali, credo si debbano chiarire alcuni malintesi.
Penso che La Rete non sia mai sata anarchica, nel senso comune (ed errato) di una assenza di leggi: e' stata invece parzialmente anarchica nella definizione puntuale del termine, ossia al suo interno priva di un'autorita' dotata del monopolio nell'uso e nell'abuso della forza. Non esisteva polizia, insomma, ne' Parlamenti, ma sono sempre esistite norme legali emerse da processi di organizzazione - Hayek, non Hobbes. Ha sicuramente dovuto interagire con altre forze esterne, alcune delle
quali di origine statale, altre dotate di monopoli protetti dallo Stato
(ma su questo tornero' in seguito), ma questi sono rimasti al disotto e al di fuori dell'organizzazione "sociale" della Rete.

Io ricordo ancora l'era dei modem a 1200/2400bps in Italia, quando Internet non c'era ancora, almeno in Italia: ci si connetteva direttamente alle BBS ed ogni stratagemma per risparmiare sui costi telecom era il benvenuto.
Credo si possa ascrivere a quel periodo, o meglio al periodo in cui gli USA si trovavano allo stesso stadio, l'origine della particolare attitudine alla proprieta' intellettuale che troviamo in Rete: anche i piu' granitici sostenitori della proprieta' privata (me compreso) si sono scontrati con la dura realta' di fornitori di servizi che prezzavano gli scarsi servizi offerti in maniera assolutamente irrazionale, dietro la protezione di monopoli sanzionati dallo Stato.
Di conseguenza, era invalsa la giustificazione per la quale scroccare telefonate non era un furto, ma una rivolta contro una sopraffazione statale che permetteva ai monopoli delle TLC di far pagare prezzi totalemente avulsi da ogni possiible definizione di valore dei propri servizi, certi che nessuno avrebbe potuto competere con loro.
La mia impressione e' che i sostenitori della "libera copia" abbiano cercato di estendere per analogia lo stesso argomento ai contenuti audiovisivi apparsi in rete, senza voler riconoscere le differenze fra le due situazioni. Le politiche di prezzo di molti fornitori di tali contenuti, che non si sono adeguati alla sfida della Rete, hanno fornito una sorta di giustificazione.

Non sto cercando di giustificare nessuno, ma di porre in prospettiva il problema: per molto, troppo tempo la Rete ha sofferto del paradosso di essere un mondo ipercompetittivo circondato o meglio limitato da aree prive di concorrenza, monopoli sanzionati dall'attivita' di Stato. Una sorta di citta' libera medievale, circondata da feudatari. Di conseguenza, ogni tentativo i far pagare qualcosa che tecnicamente fosse liberamente fruibile e' stato visto come un sopruso, in quanto le esperienze precedenti erano di questo tipo. Non si tratta di un ragionamento corretto, ma di una generalizzazione eccessiva; tuttavia ha preso piede.

Volendo sintetizzare: per fare in modo che la gente paghi, va benissimo costruire sistemi che richiedano strumenti di controllo. Ma l'onere di non violare la privacy degli acquirenti e di sottostare alle regole dello scambio sta in capo al venditore.





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