Il Rumore Dei miei Venti si è chiesto se sia finita la Seconda Repubblica. A me, personalmente, sarebbe bastato poter dire addio almeno alla Prima, il cui fantasma mi pare infesti ancora l'Italia.
L'immagine idealizzata di un grande Centro è in Italia un parto della nostalgia e della retorica: la Democrazia Cristiana, per gran parte della propria storia non è stato un partito di centro che guardava a sinistra, ma un partito-stato dove gli elettori, con tutta probabilità in maggioranza di centrodestra, si sono ritrovati ostaggi di una leadership di socialisti bianchi che abbracciava lo statalismo quale mezzo di governo clientelare. La Guerra Fredda e la retorica dell'arco costituzionale impedivano la costituzione di una seria alternativa da destra, se non per brevi momenti (il 7% del PLI opposto al Centrosinistra ne è stato un esempio) .
Crollato il Muro, è crollata anche la diga che manteneva artificialmente in vita la DC, riportando buona parte della base elettorale democristiana sulla sponda naturale: quella destra.
Il problema, anzi, il dramma della classe politica italiana è quello di essere incapace di accettare proprio la natura transitoria del codominio PCI-DC e di comprendere come l'emersione di un centrodestra esplicitamente liberale o conservatore sia un ritorno alla normalità occidentale per l'evoluzione politica italiana, un percorso evolutivo interrotto dal fascismo e dalla minaccia comunista. Servirebbe ammettere quanto l'avventura democristiana sia stata artificiosa e limitata nel tempo, quanto quella del PCI: entrambi creature di una fase storica ormai conclusasi persino in Italia, sebbene con esiti anomali rispetto alla gran parte d'Europa: da noi hanno vinto i "rossi", in versione postmoderna.
Parlo di classe politica in generale e non soltanto di ex-dc ed ex-pci, perché questa forma mentis è condivisa, almeno istintivamente, anche da buona parte di coloro che sono le vittime designate.
In questo senso la Prima Repubblica non è mai morta, ma continua a vivere: nonostante le modifiche del sistema elettorale, la disintegrazione del Pentapartito e la metastasi comunista-diessina, esiste qualcosa che lega i vincitori "progressisti" agli sconfitti "moderati": l'illusione che si possa ricostruire, in una qualche forma il compromesso storico o, per lo meno, una qualche diga che ricostituisca diarchia democomunista, questa volta in chiave d'alternanza e non di democrazia bloccata. Relegando, di nuovo, al di fuori o ai margini della competizione le tradizioni politiche e culturali estranee alla comune radice collettivista. Sino a quando resiste la convinzione che questo sia lo stato naturale del corpo politico italiano e non, invece, una aberrazione, una camicia di forza in cui fu costretto per troppo tempo, la Prima Repubblica sarà viva e vegeta.
L'immagine idealizzata di un grande Centro è in Italia un parto della nostalgia e della retorica: la Democrazia Cristiana, per gran parte della propria storia non è stato un partito di centro che guardava a sinistra, ma un partito-stato dove gli elettori, con tutta probabilità in maggioranza di centrodestra, si sono ritrovati ostaggi di una leadership di socialisti bianchi che abbracciava lo statalismo quale mezzo di governo clientelare. La Guerra Fredda e la retorica dell'arco costituzionale impedivano la costituzione di una seria alternativa da destra, se non per brevi momenti (il 7% del PLI opposto al Centrosinistra ne è stato un esempio) .
Crollato il Muro, è crollata anche la diga che manteneva artificialmente in vita la DC, riportando buona parte della base elettorale democristiana sulla sponda naturale: quella destra.
Il problema, anzi, il dramma della classe politica italiana è quello di essere incapace di accettare proprio la natura transitoria del codominio PCI-DC e di comprendere come l'emersione di un centrodestra esplicitamente liberale o conservatore sia un ritorno alla normalità occidentale per l'evoluzione politica italiana, un percorso evolutivo interrotto dal fascismo e dalla minaccia comunista. Servirebbe ammettere quanto l'avventura democristiana sia stata artificiosa e limitata nel tempo, quanto quella del PCI: entrambi creature di una fase storica ormai conclusasi persino in Italia, sebbene con esiti anomali rispetto alla gran parte d'Europa: da noi hanno vinto i "rossi", in versione postmoderna.
Parlo di classe politica in generale e non soltanto di ex-dc ed ex-pci, perché questa forma mentis è condivisa, almeno istintivamente, anche da buona parte di coloro che sono le vittime designate.
In questo senso la Prima Repubblica non è mai morta, ma continua a vivere: nonostante le modifiche del sistema elettorale, la disintegrazione del Pentapartito e la metastasi comunista-diessina, esiste qualcosa che lega i vincitori "progressisti" agli sconfitti "moderati": l'illusione che si possa ricostruire, in una qualche forma il compromesso storico o, per lo meno, una qualche diga che ricostituisca diarchia democomunista, questa volta in chiave d'alternanza e non di democrazia bloccata. Relegando, di nuovo, al di fuori o ai margini della competizione le tradizioni politiche e culturali estranee alla comune radice collettivista. Sino a quando resiste la convinzione che questo sia lo stato naturale del corpo politico italiano e non, invece, una aberrazione, una camicia di forza in cui fu costretto per troppo tempo, la Prima Repubblica sarà viva e vegeta.
HT: Fenomeni, RDM20, JimMomo
tag: DC, Italia, Politica