Waves of money are coming at the markets from investors around the world. Bond and loan buyers have to put this money to work, even if the deals are shoddy. In the last year alone, they bought up $148 billion in new junk bonds from U.S. issuers, the largest sum in history by more than half for such high-risk debt.
The fuller answer tunnels into the Street's cynical heart, and why it has always been so profitable to work there: Hedge-fund managers, buyout artists, and bankers get paid for short-term performance. The long-term consequences of their actions are, conveniently, someone else's problem.
People inside the big banks are eerily candid about the credit cycle creeping to an end. They also candidly admit they don't want to get caught missing the next big deal. Their banks, and their own bonuses, might suffer. So they ply ahead.
Tradizionalmente, i prestiti alle aziende rimanevano nei bilanci delle banche, che sopportavano il rischio in caso di ritardato pagamento od insolvenza. In cambio di condizioni economiche più favorevoli e flessibili rispetto al mercato obbligazionario, le banche ottengono informazioni più approfondite e riservate riguardo all'andamento aziendale ed un livello di garanzie maggiore rispetto ai "bond".
L'evoluzione del mercato nell'ultimo decennio ha modificato profondamente gli assetti tradizionali: l'evoluzione della tecnologia finanziaria permette alle banche di vendere il rischio di credito ad investitori non bancari, creando su misura prodotti che si adattano al profilo di rischio di tali investitori. questo sviluppo è indubbiamente positivo nel lungo periodo, come ogni innovazione che permette di diversificare i rischi.
Il problema nasce in questi ultimi tempi, per l'incrocio del processo d'innovazione con altri due fattori.
In primo luogo, la bolla sul carry trade: l'elevato ammontare di liquidità in circolazione, il basso livello di tassi reali e la situazione sullo yen hanno ampliato forse eccessivamente la domanda per qualsiasi attività finanziaria in grado di generare reddito.
In secondo luogo, l'emergere delle case di private equity come debitori di grandi dimensioni. Al momento, la situazione economica è ancora benigna per le aziende medio grandi; di conseguenza, la domanda di credito per operazioni di finanza ordinaria non è elevata e in aggregato viene soddisfatta ampliamente dai flussi di cassa prodotti dalle aziende stesse. Esiste quindi uno sbilancio fra il desiderio di investire in rischio di credito e la necessità da parte delle aziende di finanziarsi con debito. Le case di private equity quadrano il cerchio, comprando aziende con denaro preso a prestito. Anche in questo caso, in condizioni normali si tratterebbe di uno sviluppo fisiologico, che porta ad un aumento dell'efficienza nella circolazione del management. In queste condizioni, abbiamo invece casi di acquisizioni che sembrano motivate puramente dal desiderio di aumentare la leva finanziaria.
Le banche non costituiscono più un controllore affidabile, almeno per alcuni segmenti del mercato: rivendendo all'esterno fino al 95% dei prestiti erogati.Vero è che permane, per gli acquirenti di prestiti, l'accesso ad informazioni dettagliate ed in alcuni casi riservate, ma viene a mancare l'incentivo a disciplinare i prenditori di fondi da parte degli operatori più vicini ad essi.
Aggiungiamo a questo una caratteristica biografica: molti fra gli acquirenti di prestiti, ossia i veri prestatori di denaro, sono istituzioni finanziarie non bancarie (assicurazioni e fondi pensione) ed hedge funds, ossia attori entrati recentemente nel settore del credito, privi di esperienza in caso di crisi. I prenditori sono invece vecchie volpi, in alcuni casi veterani delle ultime ondate di LBOs.
E' vero che, storicamente, le banche vincono più spesso dei loro debitori; per la prima volta nella storia, tuttavia, oggi i "banchieri" sono meno esperti del ramo dei loro clienti. Nessun premio per chi indovina a chi resterà in mano il cerino.
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