Gianni Riotta ha definito la recente sentenza della Corte Suprema USA come una riapertura della politica alle lobby. In realtà la sentenza ci si limita a stabilire che il governo non ha il diritto di censurare il dissenso prendendo la legge elettorale come pretesto.
Come abbiamo già scritto, la legge attuale ha creato un sistema distorto a favore di politici, grande stampa, sindacati e grandi corporations, a discapito dei gruppi d'interesse più piccoli e delle semplici associazioni di cittadini: sindacati e media tradizionali hanno il diritto di fare le campagne che vogliono e di spendere quanto vogliono per sostenere i propri candidati, sino al paradosso per cui fra i dieci maggiori contribuenti alle campagne elettorali, sette sono organizzazioni sindacali. Le grandi aziende, dal canto loro, hanno la possibilità di assumere legali specializzati nell'aggirar ela legge attuale senza eccessive difficoltà. Come in Italia, insomma.
Chi rimaneva escluso ed , anzi , rischiava condanne penali sono i piccoli uomini d'affari e le organizzazioni anche senza scopo di lucro, alle quali vengono imposti limiti draconiani. La Corte Suiprema, con il suo verdetto, ha dato ragione ad una piccola organizzazione conservatrice, colpevole di aver prodotto un (pessimo) documentario contrario a Hillary Clinton e di aver cercato una rete via cavo che lo trasmettesse. La reazione del governo fu quella di minacciare multe e galera a chiunque avesse osato renderlo pubblico. Con la sentenza non viene vietato al Congresso di regolamentare le spese elettorali, né di vietare, come avviene già ora, ad aziende straniere di contribuire alle campagne politiche.
Più in generale, si dovrebbe notare che il legame fra lobbies e corruzione politica è estremamente tenue, almeno negli USA e nel mondo anglosassone. Anche il New York Times è entrato in lutto per la sentenza, eppure secondo uno articolo pubblicato dallo stesso quotidiano progressista , non vi sono prove di legami significativi fra le leggi sulle campagne elettorali a livello locale e il livello di corruzione politica da parte di gruppi d'interesse.
Numerosi studi hanno messo a confronto Stati, che hanno scarsa regolamentazione , come la Virginia, con stati come il Wisconsin, con regole molto rigide e non ha trovato molta differenza nei livelli di corruzione o di fiducia del pubblico. Jeff Milyo, economista presso l'Università del Missouri, ha messo a confronto gli Stati con rigidi divieti sui contributi delle imprese ai partiti politici e coloro senza limiti a tutti: "Non vi è alcuna prova rilevante che le leggi sul finanziamento delle campagne elettorali abbiano conseguenze rilevanti sulla corruzione effettiva".
Il direttore del Sole 24Ore forse non ha avuto il tempo di approfondire i difetti della legge elettorale americana attuale, o forse insiste nella vecchia abitudine italiana di prendere per oro colato qualsiasi editoriale del New York Times, imparziale di norma quanto lo sono Repubblica o il Fatto. Se si volesse essere maliziosi, si potrebbe notare come Riotta difenda una legge che rende il sistema americano più simile a quello italiano, un sistema di ipocriti vincoli che finiscono per favorire i politici già al potere e poche lobby organizzate a discapito di chiunque altro. Il piccolo particolare che il Sole24Ore sia di proprietà di una delle poche lobby autorizzate a godere di questa situazione, ossia Confindustria, e che Riotta ne sia il direttore, è sicuramente un particolare del tutto accidentale.
Come abbiamo già scritto, la legge attuale ha creato un sistema distorto a favore di politici, grande stampa, sindacati e grandi corporations, a discapito dei gruppi d'interesse più piccoli e delle semplici associazioni di cittadini: sindacati e media tradizionali hanno il diritto di fare le campagne che vogliono e di spendere quanto vogliono per sostenere i propri candidati, sino al paradosso per cui fra i dieci maggiori contribuenti alle campagne elettorali, sette sono organizzazioni sindacali. Le grandi aziende, dal canto loro, hanno la possibilità di assumere legali specializzati nell'aggirar ela legge attuale senza eccessive difficoltà. Come in Italia, insomma.
Chi rimaneva escluso ed , anzi , rischiava condanne penali sono i piccoli uomini d'affari e le organizzazioni anche senza scopo di lucro, alle quali vengono imposti limiti draconiani. La Corte Suiprema, con il suo verdetto, ha dato ragione ad una piccola organizzazione conservatrice, colpevole di aver prodotto un (pessimo) documentario contrario a Hillary Clinton e di aver cercato una rete via cavo che lo trasmettesse. La reazione del governo fu quella di minacciare multe e galera a chiunque avesse osato renderlo pubblico. Con la sentenza non viene vietato al Congresso di regolamentare le spese elettorali, né di vietare, come avviene già ora, ad aziende straniere di contribuire alle campagne politiche.
Più in generale, si dovrebbe notare che il legame fra lobbies e corruzione politica è estremamente tenue, almeno negli USA e nel mondo anglosassone. Anche il New York Times è entrato in lutto per la sentenza, eppure secondo uno articolo pubblicato dallo stesso quotidiano progressista , non vi sono prove di legami significativi fra le leggi sulle campagne elettorali a livello locale e il livello di corruzione politica da parte di gruppi d'interesse.
Numerosi studi hanno messo a confronto Stati, che hanno scarsa regolamentazione , come la Virginia, con stati come il Wisconsin, con regole molto rigide e non ha trovato molta differenza nei livelli di corruzione o di fiducia del pubblico. Jeff Milyo, economista presso l'Università del Missouri, ha messo a confronto gli Stati con rigidi divieti sui contributi delle imprese ai partiti politici e coloro senza limiti a tutti: "Non vi è alcuna prova rilevante che le leggi sul finanziamento delle campagne elettorali abbiano conseguenze rilevanti sulla corruzione effettiva".
Il direttore del Sole 24Ore forse non ha avuto il tempo di approfondire i difetti della legge elettorale americana attuale, o forse insiste nella vecchia abitudine italiana di prendere per oro colato qualsiasi editoriale del New York Times, imparziale di norma quanto lo sono Repubblica o il Fatto. Se si volesse essere maliziosi, si potrebbe notare come Riotta difenda una legge che rende il sistema americano più simile a quello italiano, un sistema di ipocriti vincoli che finiscono per favorire i politici già al potere e poche lobby organizzate a discapito di chiunque altro. Il piccolo particolare che il Sole24Ore sia di proprietà di una delle poche lobby autorizzate a godere di questa situazione, ossia Confindustria, e che Riotta ne sia il direttore, è sicuramente un particolare del tutto accidentale.