domenica, ottobre 22, 2006

Asia, motore sia della produzione che del consumo mondiale

Sino a questo punto, l’espansione economica mondiale negli ultimi cinque anni si e’ basata su due fattori: la rapida crescita industriale asiatica e la conferma della propensione al consumo statunitense: in Asia si produceva sempre più, il consumatore americano consumava sempre più, che ne avesse i mezzi o meno. Ora, tuttavia, il calo del mercato immobiliare sta indebolendo gli istinti al consumo dei cittadini USA, con la conseguenza di un evidente rallentamento economico, che fortunatamente sembrerebbe profilarsi come una lenta decelerazione, invece del crollo tanto temuto.In ogni caso, uno dei grandi motori della crescita economica sta venendo a mancare. Le altre due grandi “locomotive” tradizionali , Europa e Giappone, non sembrano essere in grado di sostituire il consumatore americano. Siamo alla fine di questo ciclo espansivo?

Non necessariamente: anche l’Economist nota come l’Asia abbia tutti i numeri per divenire un importante centro del consumo, oltre che della produzione mondiale ed anzi, che lo e’ già diventato: ad esempio le esportazioni europee verso l’Asia sono nettamente maggiori di quelle verso gli USA. Uno sviluppo del genere sarebbe positivo: una crescita mondiale più equilibrata, sarebbe in generale positiva: una correzione di alcuni degli squilibri strutturali USA potrebbe finalmente avvenire tramite una riduzione della crescita, senza timori di una recessione globale ed anzi con qualche possibile aiuto da parte della domanda esterna durante un aggiustamento che promette di non essere indolore ; d’altro canto, il calo dei tassi di risparmio in Asia avrebbe conseguenze a larghissimo raggio sulle condizioni del sistema finanziario.

Anche l’effetto politico potrebbe essere rilevante: una bilancia commerciale più equilibrata dovrebbe portare ad una diminuzione dell’isteria protezionista, da sempre endemica in Europa e che purtroppo si sta diffondendo anche negli Stati Uniti, i candidati democratici al Senato Usa sono spesso protezionisti e populisti, generando il rischio della fine del consenso trasversale favorevole al libero commercio.





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