Il "documentario" “Jenin, Jenin” è stato oggetto di una richiesta di danni da parte di cinque soldati israeliani. Un'occasione per ricordare l'opera di propaganda e distorsione della realtà perpetrata dai media arabi e ripresa da troppi media occidentali senza neppure accordare il beneficio del dubbio all'esercito israeliano.
Il documentario accusava l'esercito israeliano di essersi macchiato di genocidio e crimini di guerra durante gli scontri avvenuti all'interno del campo profughi di Jenin, avvalorando la tesi palestinese di oltre 500 morti in un'azione contro la popolazione inerme. Le inchieste internazionali smentirono buona parte della ricostruzione dei fatti di parte araba, rivelando come il "massacro di civili" fosse stato in realtà una battaglia fra l'esercito israeliano e terroristi palestinesi pesantemente armati, infiltrati fra la popolazione civile: le vittime confermate furono 52 ( di cui 38 armate) da parte palestinese e non 500; di contro, i morti da parte israeliana furono 23. Un rapporto del genere negli scontri fra un esercito ed una "popolazione civile" è assolutamente incredibile, a meno di non confermare la verisone israeliana della presenza di forze combattenti palestinesi addestrate ed inquadrate.
Lo stesso Muhammad Bakri, regista e produttore del film, ammise di aver falsificato alcune scene del documentario. Ciononostante, la Corte Costituzionale israeliana permise la proiezione del film in tutta Israele, dimostrando la solidità delle istituzioni a tutela della libertà di espressione nella nazione - verrebbe da chiedersi quale sarebbe stato il fato di un simile documentario o del suo regista se vi fosse stato un qualche regime arabo nel ruolo d'Israele: il sequestro, il carcere o l'esilio, indubbiamente. In Israele, l'unico rischio che correrà Bakri, se fosse colpevole, sarà quello di dover pagare un risarcimento ai soldati che avrebbe diffamato. Differenza notevole, dal mio punto di vista.
HT: ilsignoredeglianelli.ilcannocchiale.it
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