lunedì, agosto 30, 2010
Dopo trent'anni, Guardian e Corsera ancora al fianco di Cernenko contro Mrs. Thatcher
Posted by J.C. Falkenberg at 3:23 PM |
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giovedì, giugno 10, 2010
Pallywood 2 maritime edition
Ci risiamo: Reuters rinverdisce i fasti della propaganda filofondamentalista degli anni scorsi e ricomincia a taroccare fotografie ad uso e consumo del popolo "progressista" e di quello islamista. Questa volta, si tratta di immagini dell'operazione sulla Mavi Marmara, da cui nella versione Reuters spariscono i coltelli impiegati dai "pacifisti" palestinesi per aggredire gli israeliani, oltre al sangue israeliano versato nel loro entusiastico impiego.
Gli stessi che, poco prima, avevano risposto alla richiesta di fermare i motori per evitare l'arrembaggio con un gentile invito a "tornare ad Auschwitz".
Hat tip: The Right Nation
venerdì, aprile 23, 2010
Il popolo lo serve tua sorella
Vorremmo tanto conoscere il background dello sciagurato ghostwriter pidiellino che ha inserito la frase "servire il popolo" nel documento Pdl di ieri, uno slogan prontamente ripreso dal Corriere della Sera. Ci piacerebbe poter dire che lo slogan più celebre del genocidio maoista sia stato ripreso con perfidia dai titolisti del Corriere per tirare una frecciatina ad un partito in teoria di destra, ma profondamente infettato dai peggiori cascami della sinistra, ma temiamo che sia semplicemente passato inosservato.
Rimane il fatto che, con destrorsi così ( o così, o così), l'egemonia culturale della sinistra non ha purtroppo nulla da temere: a destra si continuano a barattare pochi anni di sottogoverno in cambio della lobotomizzazione d'intere generazioni.
Posted by Unknown at 2:27 PM |
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venerdì, aprile 16, 2010
Vianello e i doppi standard della sinistra
Posted by J.C. Falkenberg at 10:33 AM |
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lunedì, marzo 29, 2010
La propaganda obamiana sul 24 Ore
Forse è vero che La minaccia ad Obama parte dal Texas, ma di certo la sua elencazione dei padri nobili delle "due americhe" in guerra è profondamente errata e di parte.
Così Claudio Gatti, del Sole 24 Ore:
Tra l'Atlantico e il Pacifico, oggi più che mai esistono due Americhe. C'è l'America di Barack Obama e di Nancy Pelosi, rispettivamente figlio di un keniota e nipote di un abruzzese, che è quella che ha riformato il sistema di assicurazione sanitaria e ha come modelli Thomas Jefferson, Franklin Delano Roosevelt, i Kennedy (da John a Ted) e Martin Luther King Jr.
E c'è quella che ama presentarsi come la "real America" fatta di gente dai cognomi più tradizionali e che nella riforma vede un ennesimo passo nel processo di socializzazione dell'economia nazionale imposto da una classe politica corrotta e senza più alcun vincolo, né genetico né culturale, con i padri fondatori del paese.È l'America platealmente cristiana, che ha come miti politici il leader dell'esercito confederato Thomas " Stonewall" Jackson, Ronald Reagan e Newt Gingrich, e si sente rappresentata dalla Moral Majority e dalla National Rifle Association, la lobby delle armi da fuoco.
[...]Via anche Thomas Jefferson, uno dei padri fondatori del paese che nel 1801, da presidente, introdusse il concetto della separazione tra Stato e Chiesa con la sua interpretazione del primo emendamento della Costituzione
Gatti prende una delle frange più lunatiche della destra americana e la eleva a paragone per l'intero movimento, arrivando a contraddirsi, oppure a dimostrare una discreta ignoranza di ciò che sta a destra dei socialdemocratici che si spacciano per "liberal" . Thomas Jefferson è un'icona dei libertari e dei conservatori americani, a causa della sua strenua opposizione allo stato centralista ed all'invadenza governativa nella sfera personale; Jefferson è stato un eroe sia per Ronald Reagan sia per Newt Gingrich, deifniti da Gatti stesso i "miti politici" di quelli che lui nomina come i "portavoce" dell'America profonda, impiegandoli per descrivere metà dell'America come una banda di bifolchi creazionisti. La realtà è che, per quanto religiosi siano, pochissimi americani contestano la posizione di Jefferson sulla separazione fra Stato e Chiesa, una posizione che non è fra l'altro per nulla eccezionale fra i Padri Fondatori. Ci dispiace per Claudio Gatti, ma evidentemente ha letto troppo a lungo il New York Times , versione americana di Repubblica, invece di svolgere il proprio mestiere d'inviato. Il fatto che si permetta di paragonare Ted Kennedy a Roosevelt o a Jefferson getta molta più luce sui suoi pregiudizi, che su quelli dei repubblicani che vorrebbe infangare. Speriamo di non dover socprire che l'articolo è l'ennesimo copia e incolla dell'ennesiomo articolo di propaganda tipico dle New York Times nei suoi momenti peggiori.
Posted by Unknown at 10:25 AM |
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martedì, novembre 24, 2009
L'effetto serra e l'autocensura ipocrita del New York TImes
Il New York Times rinuncia al giornalismo d'inchiesta e si appella alla privacy quando le notizie non concordano con la propria linea politica. Ricorda un certo quotidiano italiano di nostra conoscenza.
Quello che vorremmo far notare è l'atteggiamento di uno dei quotidiani più schierati a favore dei catastrofisti e dell'aumento dell'intervento governativo nel settore ambientale: il New York Times. Posto di fronte a una fuga di notizie che mette in pessima luce il moportamento antiscientifico di alcuni celebri "esperti", il quotidiano ha deciso di non pubblicare assolutamente nulla. Il motivo è che le mail "non contengono dichiarazioni che avrebbero dovuto essere rese pubbliche". Ricordiamo che il New York Times non ha mai avuto alcuna remora nel pubblicare documenti email private del medesimo tipo, non ché documenti governativi top secret, giustificandosi - giustamente o meno - con la necessità che il pubblico dovesse sapere, in linea con le migliori tradizioni del giornalismo d'inchiesta. E' desolante notare come di fronte ad una rivelazione, per di più già pubblicata altrove, scomoda per la linea politica ddel quotidiano, l'autocensura venga dichiarata valida e legittima. Chi avesse ancora dei dubbi sull'imparzialità della Gray Lady non può che trarne le dovute conclusioni.
Posted by J.C. Falkenberg at 10:51 AM |
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domenica, novembre 08, 2009
Michael Moore dall'Annunziata: la fiera dell'assurdo
Al pubblico di Raitre, ovviamente, viene presentato come un guru in possesso di una conoscenza perfetta delle condizioni degli USA e dei rapporti fra Italia ed USA. Peccato che Michael Moore sia un incrocio fra Di Pietro e Nanni Moretti, senza i (pochi) pregi di entrambi, ma con buona parte dei loro difetti: un regista di mezza tacca, che produce documentari infarciti di propaganda e falsità. Lucia Annunziata, un vero mastino e di norma una brava giornalista, ha improvvisamente un punto cieco e si mette in ginocchio di fronte ad un incompetente, che si diverte a definire gli avversari della riforma sanitaria come dei razzisti nostalgici della schiavitù, pronti ad uccidere Obama in nome della supremazia razziale. L'unico momento in cui l'Annunziata si adombra è quello in cui Michael Moore fa notare che FIAT non ha esattamente una grande reputazione negli USA; Marchionne o non Marchionne, i dati sull'affidabilità sono quelli che sono. E' un vero peccato che Moore non applichi gli stessi standard di rigore, quando si diverte a trinciare giudizi su ciò che non conosce e non vuole conoscere.
Il canone RAI serve anche a questo: lasciare campo libero ai pregiudizi di un'altrimenti valida giornalista, prestandole l'autorità dell'imprimatur governativo e i soldi di ogni contribuente.

Posted by Unknown at 3:16 PM |
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lunedì, novembre 02, 2009
La stampa estera che non piace a Repubblica
Quello che Repubblica non vi racconta: sulla prima pagina del Wall Street Journal online non ci finiamo solo e solamente per notizie negative. Oggi, ad esempio, c'era un bell'articolo sui progressi della lotta alla camorra. Da notare: lo snapshot si rifà al pomeriggio, mentre in mattinata la notizia era ancora più in evidenza.
Non credo che Repubblica ci scriverà ponderose articolesse, meditando sulla decadenza italiota e sulla mafiosità berlusconiana. Soprattutto, non credo ve ne parlerà mai: la stampa estera esiste soltanto quando critica, mai quando approva quanto avviene in Italia sotto un governo di centrodestra.
Posted by J.C. Falkenberg at 4:04 PM |
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martedì, settembre 22, 2009
Obama: censuriamo i blog, sussidiamo i giornali (amici, ovviamente)
In relazione a quanto scritto poco fa. Nel caso qualcuno credesse che Obama non condivida gli istinti da censura degli avvocati che lui stesso ha nominato, ecco le sue precise parole:
«Sono molto preoccupato per il tipo di informazione che circola nella blogosfera - spiega - dove si trova ogni sorta di informazioni e opinioni senza che vengano verificate, con il risultato di portare gli uni a gridare contro gli altri, rendendo più difficile la comprensione reciproca»
Ossia: "Non mi piace quelo che dite, quindi troverò un modo per tapparvi la bocca, alla faccia della Corte Suprema".
COme se poi non bastasse,ecco il "Newspaper Revitalization Act": sussidi ai giornali in crisi. Immaginiamo la maniera in cui tali sussidi verranno accordati: come in Italia, ossia agli amici degli amici.
Interessante l'esercizio descritto da Random Bits: sostituire "Berlusconi" con Obama e immaginare la cagnara da sinistra, confrontandola con l'assordante silenzio dalle redazioni nostrane.
Obama cerca di censurare blog e video ed i media tacciono
Una querela, in Italia, infiamma stampa e televisioni, ma una legge che permette al governo di censurare a volontà libri e cinema viene a malapena menzionata.
Vi piacerebbe che Berlusconi avesse il diritto di vietare la pubblicazione di un libro, soltanto perche’ parla di un politico? O che il quotidiano Repubblicapotesse scrivere sul governo, anche senza tener conto dei fatti, ma fosse illegale trasmettere un documentario che parla di politica? Benvenuti nella Nuova America: l’amministrazione Obama sta interpretando la legge in questo modo e cercando di passarne altre simili. In Italia, nessuno ne parla. Sui nostri media, impegnati ed imparziali, dove ogni starnuto di Bush veniva considerato al pari dell’invasione nazista della Polonia, il puro e semplice tentativo di vietare la pubblicazione di libri e documentari passa sotto silenzio. Negli USA, nel frattempo, si è scomodata la Corte Suprema, mentre giornali e TV tacciono. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è la censura governativa scattata sul documentario “Hillary: The Movie“. Si tratta di un lungometraggio prodotto da Citizens United, un’associazione non-profit conservatrice; è estremamente critico di Hillary Clinton e non esistono molti dubbi sullo scarso affetto che la produzione riserva alla ex-first lady. Sembra, in sintesi, una versione di destra dei capolavori propagandistici di Michael Moore. La differenza è che Moore non ha mai avuto problemi con le autorità federali, mentre la “nuova ” Casa Bianca ha minacciato la galera per i produttori del video, se avessero osato proporlo sulla TV via cavo. Ad inizio 2008 gli spot sul documentario erano già stati vietati in televisione dalla commissione elettorale, perché vennero ritenuti “propaganda elettorale non autorizzata” che avrebbe potuto interferire con le primarie del partito democratico. In seguito, la comissione elettorale e il governo federale hanno minacciato 5 anni di galera ai produttori, se il documentario fosse stato trasmesso via cavo, in pay-per-view. Il fatto sarebbe stato già grave e discriminatorio di per sé e la causa sembrava , ma ad Aprile 2009 il dream team obamiano è riuscito in un clamoroso autogol. Malcolm Stewart, il nuovo Solicitor General (avvocato generale) nominato da Obama, non ha trovato di meglio che sostenere che il governo ha il pieno diritto di bandire e censurare ogni pubblicazione che ritenga di natura politica. Ora, il Primo Emendamento della costituzione è una delle architravi della libertà americana, il primo dei diritti civili ed è molto chiaro: il diritto di parola, soprattutto nella sfera politica, è intangibile, per quanto abominevoli sano le opinioni espresse. Il Primo Emendamento è spesso servito a coprire numerosi abusi, ma la Corte Suprema non ne ha tollerato il ripudio esplicita ed ha preso un provvedimento eccezionale. Ha ordinato ai legali della difesa di ridefinire il caso; in questo modo, invece di chiarire la costituzionalità dei limiti di una sezione della legge elettorale, la Corte intende ristabilire il principio generale della libertà di parola anche in periodo elettorale. Malcolm Stewart non è più Solicitor general, ma la bomba è esplosa.
RIMEDIO PEGGIORE DEL MALE? La radice del problema è la serie di recenti leggi di riforma dei finanziamenti elettorali. La principale è il Bipartisan Campaign Reform Act del 2002, meglio noto come il McCain-Feingold Act. Il senatore repubblicano McCain ed il liberal, ossia socialdemocratico, Russ Feingold sono stati gli sponsor di un nobile tentativo di limitare l’influenza delle lobby aziendali e dei sindacati nelle campagne elettorali. Sono stati imposti limiti ai finanziamenti elettorali ed è scattato il divieto, per aziende e sindacati, di finanziare messaggi diretti ad attaccare o a sostenere candidati alle elezioni, per un periodo fra i trenta ed i sessanta giorni. L’autorità di specificare quali messaggi costituiscano propaganda politica è stata affidata ad un’agenzia governativa, la Federal Electoral Commission (FEC). Gli avversari della legge e sostennero che si stava concedendo a politici e burocrati il potere di censurare determinati gruppi di persone, quando il materiale riguarda i politici stessi, mentre i limiti alla spesa e le nuove regolamentazioni avrebbero favorito i grandi interessi, con le risorse per affrontare la burocrazia, ed i politici già al potere, che godono di “pubblicità gratuita sui media. Vennero definiti lacché delle corporations. Dopo soli sette anni, i difetti della norma sono evidenti: i limiti ai finanziamenti elettorali si sono rivelati fallimentari ed hanno paradossalmente favorito gli individui molto ricchi, le grandi aziende e le organizzazioni di massa, scoraggiando chiunque altro dall’intervenire. Adesso emergono anche gli effetti perversi dei limiti alla propaganda politica. La parte più contestata è il divieto di pubblicare materiale che sia finanziato in tutto od in parte da una “corporation”, ossia un’azienda. Il problema è l’inevitabile l’interpretazione data da politici e burocrati. In senso stretto, ad esempio, quasi ogni libro che non sia pubblicato a spese dell’autore viene finanziato da una corporation: la casa editrice. Ogni film ed ogni documentario hanno una pletora di finanziatori che non sono persone fisiche: la casa di produzione, il distrbutore che ha dato anticipi, il conglomerato dei media che ne acquista i diritti per l’uscita in DVD. Di conseguenza, la FEC è libera di considerare ogni lavoro che parli di un politico, soprattutto sotto elezioni, come una potenziale fonte di contributi elettorali non controllabili e di conseguenza si arroga il diritto di autorizzare o vietarne la pubblicazione. A decidere cosa sia una forma di espressione esente da censura e cosa sia invece propaganda, inoltre , è la FEC stessa, con l’eventuale copertura dell’amministrazione. I documentari sono ad esempio teoricamente esenti dalla legge; si tratta di una scappatoia impiegata abbondantemente da Michael Moore e che è stata invece preclusa dalla FEC ai produttori del documentario su Hillary Clinton. Una legge che si proponeva di migliorare la democrazia ha quindi fornito al governo i mezzi per minare la libertà di stampa. Mentre l’amministrazione Bush, con tutte le sue colpe, non ha mai fatto uso della norma, l’Amministrazione Obama ha dimostrato di non avere alcun problema a censurare le voci non gradite.
OBAMA PEGGIO DI ALFANO? – Il caso getta una luce ancora più inquietante sulla libertà di espressione su Internet. Un impiego estensivodelle leggi vigenti metterebbe a rischio l’attività politica su Internet, dove il confine fra informazione e attivismo non è mai stato lungo le linee tradizionali. Il governo Obama e la FEC hanno già sostenuto che le norme darebbero loro il diritto di intervenire e censurare blog e siti colpevoli di attività politica a ridosso delle elezioni; considerando che negli USA il ciclo elettorale è pressoché continuo, si comprende la gravità di una simile affermazione, su cui di recente si sta cercando di effettuare una precipitosa retromarcia. I media americani, in teoria sempre pronti ad insorgere contro ogni violazione della libertà di parola, hanno reagito soltanto debolmente. In parte, si tratta del pregiudizio positivo nei confrontidi Barack Obama, ma esistono motivazioni più sostanziose. Innanzitutto radio, televisioni e giornali registrati sono infatti esenti dalle regolamentazioni del McCain-Feingold; godono quindi di un privilegio concesso loro dalla legge, a scapito di chiunque altro. Questo significa che i media sono ancora liberi di spendere qualsiasi somma, appoggiando o dando l’assalto ad un candidato, senza che la commissione elettorale possa intervenire. Chiunque abbia avuto il piacere di una trasmissione con Santoro o Bruno Vespa quali conduttori dovrebbe accoglier econ una sana dose di scetticismo l’idea che i media siano naturalmente imparziali. Un’ipotetica stretta amministrativa di Obama su Internet libererebbe i media tradizionali da concorrenti temibili. Al confronto, il Decreto Alfano sembra decisamente materia per dilettanti. Concedere potere ad una burocrazia governativa si è rivelato un rimedio peggiore del male. Ancora una volta, la legge delle conseguenze inattese smentisce l’efficienza dell’approccio interventista ad un problema: norme nate con le migliori intenzioni vengono sistematicamente applicate per gli scopi peggiori. Non si capisce perché insistiamo a chiamarla “legge delle conseguenze inattese”: dopo decenni, le conseguenze dello statalismo dovrebbero essere quasi scontate.
Crosspost con Giornalettismo
Posted by J.C. Falkenberg at 6:11 PM |
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martedì, settembre 01, 2009
Crosspost of the day: i profitti di carta dello Zio Sam
Crosspost con Giornalettismo
Leggendo i quotidiani finanziari, i governi sono seduti su miliardi di dollari di utili derivanti dai salvataggi delle banche in difficoltà. Tutto vero? Dobbiamo ringraziare i nostri illuminati politici? Se ci credete, ho una fontana da vendervi. A Trevi
Posted by J.C. Falkenberg at 1:41 PM |
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martedì, agosto 18, 2009
Obama ammaina la bandiera sulla gogna di stato
La reazione contro l'iniziativa è stata abbastanza forte da convincere la Casa Bianca ad alterare il piano: vi ala casella email, rimane soltanto un form per chiedere informazioni sul progetto di riforma. Non una parola sul motivo del cambiamento, o sul buon gusto di parlare continuamente di equità per tutti, a patto che siano d'accordo con il Presidente.
Almost two weeks after the White House launched its Snitch Central in order to get reports on political dissent over ObamaCare, it appears that the Obama administration and its chief propagandist have quietly thrown in the towel. Matt Drudge reported this morning that all e-mails to flag@whitehouse.gov have begun bouncing back as undeliverable. |
Posted by J.C. Falkenberg at 2:42 PM |
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lunedì, maggio 11, 2009
Pirati SpA: GPS, Bloomberg e tattiche di marineria. Altro che poveracci costretti dalla miseria.
Alla faccia di chi li descrive come dei poveracci intenti soltanto a sbarcare il lunario: I Pirati somali ormai si sono muniti di GPS, armano vere e proprie flotte e sono sbarcati a Londra, assumendo "consulenti" che identificano e segnalano la partenza dei cargo potenzialmente più lucrosi.
Per quanto tempo la nostra stampa pseudo-progressista continuerà a fare propaganda pauperista e a crogiolarsi nel senso di colpa, continuando a a descriverli come "vittime del capitalismo" e non per quello che sono: dei protagonisti tecnologicamente avanzati dell'economia di rapina, la stessa delle civiltà pre-moderne e di quelle socialiste?
Posted by Unknown at 4:46 PM |
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lunedì, marzo 30, 2009
Barack Obama è Roosevelt o Herbert Hoover?
Secondo naked capitalism, è più Herbert Hoover, che ebbe la sfortuna di presiedere sulla fase più critica della Depressione, mentre Roosevelt prese in cura una nazione che non lo sapeva, ma era sulla via della ripresa - e provvide a farla rimpiombare nella Grande Depressione grazie all'assalto anticapitalista chiamato New Deal.
Abbiamo la tremenda sensazione che Obama sarà Hoover, ma abbia il potenziale per diventare Roosevelt, sia per gli effetti devastanti sulla salute a lungo termine della libertà negli USA, sia nella sua capacità di nascondere la realtà dietro la propaganda, grazie all'aiuto di una casta mediatica graniticamente schierata per il socialismo, come negli anni '30.
Speriamo di sbagliarci.
Posted by J.C. Falkenberg at 5:53 PM |
Labels: Herbert Hoover , Obama , Propaganda , Roosevelt , Statalismo , Storia
giovedì, marzo 26, 2009
Razzisti mai, nazisti invece va bene
Per certi media americani, fare dell'umorismo prendendo spunto da una notizia di cronaca è razzismo, a causa di una labile connessione che potrebbe esistere fra l'uso di uno scimpanzé per descriver ela stupidità della manovra, ed il Presidente in carica, è razzismo.
Usare lo stile e la costruzione tipica delle vignette antisemite naziste e sovietiche per descrivere Israele, invece, è perfettamente lecito.
Aspettiamo fiduciosi che Pat Oliphant, autore della vignetta incriminata, tratti allo stesso modo gli arabi e Chavez.
Posted by J.C. Falkenberg at 11:46 AM |
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venerdì, marzo 20, 2009
Global warming - i soldi da che parte stanno?
Ci raccontano sempre che le grandi multinazionali spendono cifre faraoniche nella propaganda contro la giusta causa verde, per sussidiare gli scienziati pazzi che accolgono con scetticismo le tesi estremiste sul riscaldamento globale.
Bene, Iain Murray fa notare come, soltanto nelle ultime due settimane, le tre più grandi fondaizoni claiforniane abbiano deciso di investire fino a 1.5 miliardi di dollari.
Sapete quanto ha speso il gigante petrolifero Exxon ,nei dieci anni scorsi, per finanziare ricerche sul riscaldamento globale? 19 milioni . Milioni.
Posted by J.C. Falkenberg at 4:11 PM |
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venerdì, febbraio 20, 2009
Da quando la decapitazione non è violenza sulle donne?
Muzzammil Hassan è imprenditore musulmano, recentemente impegnato nel lancio di una TV orientata a "difendere" i musulmani dai pregiudizi: di fatto, a fare propaganda filoaraba e filo-islamista, sostenendo che l'immagine "medievale" dei fondamentalisti fossero menzogne demoplutogiudaiche. Tutto perfettamente legittimo, ma difendere il suo punto di vista è divenuto alquanto difficile, dopo che il suddetto "imprenditore" è stato accusato della decapitazione della moglie in una vera e propria esecuzione in stile talebano.
Quello che sembra incredibile è quello che ha da dire il NOW, la maggiore associazione femminista d'America assolutamente nulla. Nel suo sito Web non se ne parlava sino a ieri, anche se va detto che la questione veniva bollata con parole di fuoco dalle femministe a livello locale.
Come interpretarlo? I progressivi equi e solidali sono uguali ovunque: la censura cala su qualsiasi evento che non si conformi con il Paese delle Meraviglie nel quale pensano di vivere; quando poi si parla di fondamentalismo, sappiamo quanto il complesso di colpa e la vigliaccheria nei confronti contino molto. Mister Hassan era esattamente quello che serviva per l'allucinazione riguardo il fondamentalismo islamico e sulla colpa perenne dell'Occidente; di conseguenza, Il razzismo "alla rovescia" di certa sinistra fa sì che una testa mozzata, anche se femminile, non interessi nemmeno a certe femministe.
Posted by J.C. Falkenberg at 6:49 PM |
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martedì, gennaio 27, 2009
Censurano anche l'Unto del Signore
La Cina ha paura della propria ombra. Il momento in cui la televisione di stato cinese interrompe la traduzione simultanea del discorso di Obama e passa ad altro. Il presidente stava parlando di fascismo e comunismo. Le dittature sono ridicole.Anche le democrazie isteriche non scherzano, comunque. Parlare di sacrifici dall'alto di 150milioni di dollari di party e di 25mila pretoriani sarebbe suonato lievemente stridente per chiunque non suscitasse gli entusiasmi isterici e l'adulazione senza vergogna che suscita Barack Obama. Incrociamo le dita, perché abbiamo letto delle adunate oceaniche d'una volta. Purtroppo
Hat tip: 1972
Posted by Unknown at 2:46 AM |
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A futura memoria
Il reportage di Cremonesi è un piccolo miracolo. Io griderò ancora di più al VERO miracolo se la sua carriera sopravviverà alla pubblicazione di un reportage che sbugiarda i miti della classe giornalistica italiana, venduta al padrone ma ocn la nostalgia della P38.
«Così i ragazzini di Hamas ci hanno utilizzato come bersagli» - dal Corriere della Sera
ubbi sul numero delle vittime: potrebbero essere 600 e non 1.300
«Così i ragazzini di Hamas
ci hanno utilizzato come bersagli»
Abitanti di Gaza accusano i militanti islamici: «Ci impedivano di lasciare le case e da lì sparavano»
GAZA - «Andatevene, andatevene via di qui! Volete che gli israeliani ci uccidano tutti? Volete veder morire sotto le bombe i nostri bambini? Portate via le vostre armi e i missili», gridavano in tanti tra gli abitanti della striscia di Gaza ai miliziani di Hamas e ai loro alleati della Jihad islamica. I più coraggiosi si erano organizzati e avevano sbarrato le porte di accesso ai loro cortili, inchiodato assi a quelle dei palazzi, bloccato in fretta e furia le scale per i tetti più alti. Ma per lo più la guerriglia non dava ascolto a nessuno. «Traditori. Collaborazionisti di Israele. Spie di Fatah, codardi. I soldati della guerra santa vi puniranno. E in ogni caso morirete tutti, come noi. Combattendo gli ebrei sionisti siamo tutti destinati al paradiso, non siete contenti di morire assieme?». E così, urlando furiosi, abbattevano porte e finestre, si nascondevano ai piani alti, negli orti, usavano le ambulanze, si barricavano vicino a ospedali, scuole, edifici dell’Onu.
In casi estremi sparavano contro chi cercava di bloccare loro la strada per salvare le proprie famiglie, oppure picchiavano selvaggiamente. «I miliziani di Hamas cercavano a bella posta di provocare gli israeliani. Erano spesso ragazzini, 16 o 17 anni, armati di mitra. Non potevano fare nulla contro tank e jet. Sapevano di essere molto più deboli. Ma volevano che sparassero sulle nostre case per accusarli poi di crimini di guerra», sostiene Abu Issa, 42 anni, abitante nel quartiere di Tel Awa. «Praticamente tutti i palazzi più alti di Gaza che sono stato colpiti dalle bombe israeliane, come lo Dogmoush, Andalous, Jawarah, Siussi e tanti altri avevano sul tetto le rampe lanciarazzi, oppure punti di osservazione di Hamas. Li avevano messi anche vicino al grande deposito Onu poi andato in fiamme E lo stesso vale per i villaggi lungo la linea di frontiera poi più devastati dalla furia folle e punitiva dei sionisti», le fa eco la cugina, Um Abdallah, 48 anni. Usano i soprannomi di famiglia. Ma forniscono dettagli ben circostanziati. E’ stato difficile raccogliere queste testimonianze. In generale qui trionfa la paura di Hamas e imperano i tabù ideologici alimentati da un secolo di guerre con il «nemico sionista».
Chi racconta una versione diversa dalla narrativa imposta dalla «muhamawa» (la resistenza) è automaticamente un «amil», un collaborazionista e rischia la vita. Aiuta però il recente scontro fratricida tra Hamas e Olp. Se Israele o l’Egitto avessero permesso ai giornalisti stranieri di entrare subito sarebbe stato più facile. Quelli locali sono spesso minacciati da Hamas. «Non è un fatto nuovo, in Medio Oriente tra le società arabe manca la tradizione culturale dei diritti umani. Avveniva sotto il regime di Arafat che la stampa venisse perseguitata e censurata. Con Hamas è anche peggio», sostiene Eyad Sarraj, noto psichiatra di Gaza city. E c’è un altro dato che sta emergendo sempre più evidente visitando cliniche, ospedali e le famiglie delle vittime del fuoco israeliano. In verità il loro numero appare molto più basso dei quasi 1.300 morti, oltre a circa 5.000 feriti, riportati dagli uomini di Hamas e ripetuti da ufficiali Onu e della Croce Rossa locale. «I morti potrebbero essere non più di 500 o 600. Per lo più ragazzi tra i 17 e 23 anni reclutati tra le fila di Hamas che li ha mandati letteralmente al massacro», ci dice un medico dell’ospedale Shifah che non vuole assolutamente essere citato, è a rischio la sua vita. Un dato però confermato anche dai giornalisti locali: «Lo abbiamo già segnalato ai capi di Hamas. Perché insistono nel gonfiare le cifre delle vittime? Strano tra l’altro che le organizzazioni non governative, anche occidentali, le riportino senza verifica. Alla fine la verità potrebbe venire a galla. E potrebbe essere come a Jenin nel 2002. Inizialmente si parlò di 1.500 morti. Poi venne fuori che erano solo 54, di cui almeno 45 guerriglieri caduti combattendo».
Come si è giunti a queste cifre? «Prendiano il caso del massacro della famiglia Al Samoun del quartiere di Zeitun. Quando le bombe hanno colpito le loro abitazioni hanno riportato che avevano avuto 31 morti. E così sono stati registrati dagli ufficiali del ministero della Sanità controllato da Hamas. Ma poi, quando i corpi sono stati effettivamente recuperati, la somma totale è raddoppiata a 62 e così sono passati al computo dei bilanci totali», spiega Masoda Al Samoun di 24 anni. E aggiunge un dettaglio interessante: «A confondere le acque ci si erano messe anche le squadre speciali israeliane. I loro uomini erano travestiti da guerriglieri di Hamas, con tanto di bandana verde legata in fronte con la scritta consueta: non c’è altro Dio oltre Allah e Maometto è il suo Profeta. Si intrufolavano nei vicoli per creare caos. A noi è capitato di gridare loro di andarsene, temevamo le rappresaglie. Più tardi abbiamo capito che erano israeliani». E’ sufficiente visitare qualche ospedale per capire che i conti non tornano. Molti letti sono liberi all’Ospedale Europeo di Rafah, uno di quelli che pure dovrebbe essere più coinvolto nelle vittime della «guerra dei tunnel» israeliana. Lo stesso vale per il “Nasser” di Khan Yunis. Solo 5 letti dei 150 dell’Ospedale privato Al-Amal sono occupati. A Gaza city è stato evacuato lo Wafa, costruito con le donazioni «caritative islamiche» di Arabia Saudita, Qatar e altri Paesi del Golfo, e bombardato da Israele e fine dicembre. L’istituto è noto per essere una roccaforte di Hamas, qui vennero ricoverati i suoi combattenti feriti nella guerra civile con Fatah nel 2007. Gli altri stavano invece allo Al Quds, a sua volta bombardato la seconda metà settimana di gennaio.
Dice di questo fatto Magah al Rachmah, 25 anni, abitante a poche decine di metri dai quattro grandi palazzi del complesso sanitario oggi seriamente danneggiato. «Gli uomini di Hamas si erano rifugiati soprattutto nel palazzo che ospita gli uffici amministrativi dello Al Quds. Usavano le ambulanze e avevano costretto ambulanzieri e infermieri a togliersi le uniformi con i simboli dei paramedici, così potevano confondersi meglio e sfuggire ai cecchini israeliani». Tutto ciò ha ridotto di parecchio il numero di letti disponibili tra gli istituti sanitari di Gaza. Pure, lo Shifah, il più grande ospedale della città, resta ben lontano dal registrare il tutto esaurito. Sembra fossero invece densamente occupati i suoi sotterranei. «Hamas vi aveva nascosto le celle d’emergenza e la stanza degli interrogatori per i prigionieri di Fatah e del fronte della sinistra laica che erano stato evacuati dalla prigione bombardata di Saraja», dicono i militanti del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina. E’ stata una guerra nella guerra questa tra Fatah e Hamas. Le organizzazioni umanitarie locali, per lo più controllate dall’Olp, raccontano di «decine di esecuzioni, casi di tortura, rapimenti nelle ultime tre settimane» perpetrati da Hamas. Uno dei casi più noti è quello di Achmad Shakhura, 47 anni, abitante di Khan Yunis e fratello di Khaled, braccio destro di Mohammad Dahlan (ex capo dei servizi di sicurezza di Yasser Arafat oggi in esilio) che è stato rapito per ordine del capo della polizia segreta locale di Hamas, Abu Abdallah Al Kidra, quindi torturato, gli sarebbe stato strappato l’occhio sinistro, e infine sarebbe stato ucciso il 15 gennaio.
Lorenzo CremonesiPosted by Unknown at 2:39 AM |
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Mille negri non valgono un Arabo?
Crossposto il mio contributo su Giornalettismo
Affamati di tragedie, pronti a volteggiare su ogni cadavere disponibile e, se non c'è, a farselo da soli, i media nostrani ignorano stranamente una delle più ghiotte tragedie umane attuali. Per spirito di servizio la segnaliamo noi e, poi, ognuno la pensi come gli pare.
Posted by Unknown at 1:27 AM |
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