La mattina immediatamente successiva ad un aggressivo tagli dei tassi si dovrebbe assistere ad un ritorno alla calma e soprattutto all'ottimismo, almeno da parte delle grandi banche. In fondo, l'azione della Fed era diretta proprio al settore finanziario in senso stretto, dove il mercato della liquidità e quindi il sistema dei pagamenti rischiavano d'essere a rischio d'ingolfamento, con le conseguenze a cui abbiamo assistito in Gran Bretagna.
La prima reazione del mercato è stata euforica, ma quella del settore finanziario è stata di approfittare dei minori tassi di mercato per fare cassa il più rapidamente possibile. Unicredito, Deutsche Bank, RBS e Commerzbank hanno appena annunciato nuove emissioni, oltre alle voci su Lehman Brothers. Perché tanta fretta? Se il taglio dei tassi fosse la cura ai problemi attuali, come mai questa corsa a raccogliere quanto più denaro a lungo termine, da parte di chi dovrebbe prestarne?
Esistono ragioni contingenti, certamente: RBS è impegnata nell'asta per ABN Amro ed ha segnalato da tempo la necessità di emettere debito; Unicredito ha necessità di fondi per rimborsare gli azionisti che intendono esercitare il diritto di recesso.
Eppure, nessuna di queste ragioni, in fondo, sembra spiegare come mai il movimento di mercato di oggi sembra il risultato della necessità di ricoprirsi da parte di un mercato andato pesantemente "short" - sino a due giorni fa, il consenso era che un taglio di 50 centesimi sarebbe stato interpretato come un segnale di panico da parte della Fed.
La spiegazione potrebbe essere che non stiamo assistendo ad una crisi di liquidità, ma ad una crisi frutto dell'eccesso di credito che ha causato la crisi di liquidità. La Fed ieri e la BoE ieri hanno garantito che la crisi creditizia non avrà effetti sul mercato interbancario, indicando così in un certo senso l'uscita dal tunnel, ma la via sarà ancora lunga.
Purtroppo per noi, il modo in cui si è scelto d'intervenire, tramite un taglio dei tassi ed un salvataggio bancario, lascia intatto il pericolo maggiore, quello della ripetizione di una bolla speculativa nata dalla protezione che lo Stato accorda ad un settore dell'economia, in cambio di politiche inflazionistiche.
Sarebbe stato meglio continuare a fornire liquidità a brevissimo termine e permettere al mercato di riprezzare il rischio correttamente; un processo doloroso, ma necessario, per non ripetere il processo in maniera catastrofica più avanti.
Non è un caso che il processo di riconoscimento delle perdite e degli errori degli ultimi due anni sia avanzato in gradi differenti all'interno della comunità finanziaria, a seconda del grado di protezione statale accordato ai vari attori: gli hedge fund sono molto avanti rispetto al mondo bancario in generale, all'interno del quale poi le banche regionali tedesche, ad esempio, sono quelle probabilmente che, al riparo dello scudo delle garanzie dei Lander, hanno accumulato le speculazioni più rilevanti ed i risultati peggiori.
Tasso di protezione statale e mancanza di trasparenza nelle strategie seguite e nei risultati ottenuti sembrano, insomma, andare a braccetto. Continuare a proteggere il mondo bancario e poi dare la colpa delle ricorrenti crisi ad hedge fund e fondi di private equity sembra decisamente ipocrita.
La prima reazione del mercato è stata euforica, ma quella del settore finanziario è stata di approfittare dei minori tassi di mercato per fare cassa il più rapidamente possibile. Unicredito, Deutsche Bank, RBS e Commerzbank hanno appena annunciato nuove emissioni, oltre alle voci su Lehman Brothers. Perché tanta fretta? Se il taglio dei tassi fosse la cura ai problemi attuali, come mai questa corsa a raccogliere quanto più denaro a lungo termine, da parte di chi dovrebbe prestarne?
Esistono ragioni contingenti, certamente: RBS è impegnata nell'asta per ABN Amro ed ha segnalato da tempo la necessità di emettere debito; Unicredito ha necessità di fondi per rimborsare gli azionisti che intendono esercitare il diritto di recesso.
Eppure, nessuna di queste ragioni, in fondo, sembra spiegare come mai il movimento di mercato di oggi sembra il risultato della necessità di ricoprirsi da parte di un mercato andato pesantemente "short" - sino a due giorni fa, il consenso era che un taglio di 50 centesimi sarebbe stato interpretato come un segnale di panico da parte della Fed.
La spiegazione potrebbe essere che non stiamo assistendo ad una crisi di liquidità, ma ad una crisi frutto dell'eccesso di credito che ha causato la crisi di liquidità. La Fed ieri e la BoE ieri hanno garantito che la crisi creditizia non avrà effetti sul mercato interbancario, indicando così in un certo senso l'uscita dal tunnel, ma la via sarà ancora lunga.
Purtroppo per noi, il modo in cui si è scelto d'intervenire, tramite un taglio dei tassi ed un salvataggio bancario, lascia intatto il pericolo maggiore, quello della ripetizione di una bolla speculativa nata dalla protezione che lo Stato accorda ad un settore dell'economia, in cambio di politiche inflazionistiche.
Sarebbe stato meglio continuare a fornire liquidità a brevissimo termine e permettere al mercato di riprezzare il rischio correttamente; un processo doloroso, ma necessario, per non ripetere il processo in maniera catastrofica più avanti.
Non è un caso che il processo di riconoscimento delle perdite e degli errori degli ultimi due anni sia avanzato in gradi differenti all'interno della comunità finanziaria, a seconda del grado di protezione statale accordato ai vari attori: gli hedge fund sono molto avanti rispetto al mondo bancario in generale, all'interno del quale poi le banche regionali tedesche, ad esempio, sono quelle probabilmente che, al riparo dello scudo delle garanzie dei Lander, hanno accumulato le speculazioni più rilevanti ed i risultati peggiori.
Tasso di protezione statale e mancanza di trasparenza nelle strategie seguite e nei risultati ottenuti sembrano, insomma, andare a braccetto. Continuare a proteggere il mondo bancario e poi dare la colpa delle ricorrenti crisi ad hedge fund e fondi di private equity sembra decisamente ipocrita.
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