Sergio Marchionne avrebbe dovuto essere il redentore della FIAT. Ci ha provato, ma recentemente ha scoperto i vantaggi dello stile Agnelli, quella versione con l'erre moscia del chiagni e fotti che tanto piace agli italiani e, forse, agli americani tendenza Obama. Marchionne ha sicuramente cambiato il volto di FIAT, ma è ormai evidente che anche FIAT lo sta cambiando e non in meglio. La sua ultima dichiarazione è un vero esempio dello stile di cui sopra, la capacità di rivestire d'arroganza una richiesta d'elemosina degna del più ambiguo dei mendicanti. Da un lato, ci si vanta della propria quota di mercato arrivata al 9 per cento; dall'altra, ecco la richiesta di proroga degli 'incentivi, inclusa relativa minaccia: altrimenti vi sarebbero "fabbriche a rischio". Delle due l'una: se la crescita delle quote di mercato è solo frutto degli incentivi, allora il successo di FIAT esiste soltanto perché il contribuente europeo ed americano viene rapinato sistematicamente per sostenere un settore che distrugge ricchezza invece di crearne. E' un successo artificiale quanto la finta industrializzazione sovietica, o la farsa siderurgica e chimica perpetrata dalle Partecipazioni statali italiane negli anni'70. Se FIAT puo' reggersi da sola, sino a cercare di comprarsi Opel e gestire Chrysler, lo faccia. Altrimenti, la nostra opinione non cambia: il vero know-how del gruppo non risiede nelle automobili, ma nell'abilità di scroccare denaro e raggirare burocrati e politici, a spese nostre. Se è questo che stiamo esportando, uno stile marcio fino al midollo quanto quello della Juventus di Moggi, stacchiamo la spina: stiamo soltanto danneggiando noi stessi e gli altri. Esistono modi migliori di sprecare soldi.
PROVACI ANCORA SERGIO -Il dubbio era già sorto al momento del'affare Chrysler: il salvataggio si è trasformato in una bancarotta, che si è risolta in un affare per i sindacati e, forse, per la FIAT; l'intimidazione dei creditori in diretta televisiva, le minacce telefoniche ai consulenti che seguivano il caso, la connivenza della magistratura nella sovversione di parti rilevanti del diritto commerciale americano ne hanno danneggiato la sua reputazione di equidistanza e l'immagine degli USA come una nazione in cui vigono regole certe nel mondo degli affari. Si sta anche trasformando in una solenne fregatura per il bilancio del governo americano, che nel frattempo si è anche bevuto la palla degli incentivi alla rottamazione e lo trasformava , con un colpo del market geniale che ha fatto grande una certa America, nel "cash for clunkers" in favore dell'ambiente. Sino a quando le speranze per FIAT risiedevano nel turnaround, Marchionne è stato quello di sempre: un ottimo dirigente, sensato ed attento ai costi; è stato abile ad imporre disciplina ad un'azienda che somigliava più ad un insieme di baronie feudali che ad una multinazionale dell'automobile e a portare quindi l'azienda al passo coi tempi. Ha anche saputo valorizzare i punti di forza del marchio e quelli tecnologici: nulla di eccezionale, ma comunque in grado, in alcuni segmenti, di competere con le altre case, anche dopo anni di abbandono. Il rifiuto degli aiuti di Stato fra il 2001 ed il 2006 da parte del governo Berlusconi si è rivelata la scelta giusta: ha finalmente spronato l'azienda al cambiamento; la clamorosa fregatura rifilata alle banche tramite il convertendo e il ricatto a General Motors hanno procurato a Marchionne le risorse necessarie per finanziare il rilancio, oltre ad una sequela di denunce per il ruolo di IFIL nel bidone. La crisi del 2008 ha però riportato in auge gli aiuti di stato, e questa volta il fenomeno è avvenuto su scala mondiale. Il ministro Scajola, sempre pronto a gettare soldi pur di emulare i bei tempi della competizione DC-PCI nello spreco clientela, ne ha approfittato per rinverdire i fasti del pentapartito ed accodarsi. Marchionne, da uomo d'affari, non si è limitato ad incassare e ringraziare. Ha compreso che gli USA erano un mercato vergine: non per le automobili, ovviamente, ma per il vero prodotto di punta di casa Agnelli, ossia il capitalismo parassitario tipico delle economie "miste", parasocialiste. Grazie a Barack Obama la più grande democrazia ancora liberale, perlomeno a parole, comincia a seguire la peggiore Europa su questa strada, fingendo d'ignorare il declino che ha causato all'Europa. Il vecchio continente è sopravvissuto nonostante lo statalismo imperante, proprio dall'esistenza di una grande economia libera oltreoceano, su cui si sono appoggiati per avere supporto finanziario e, soprattutto, un laboratorio d'innovazione e sviluppo. Gli americani non avranno questa fortuna.