Il terrorismo rialza la testa. Il Governo reprime. Un bisticcio in famiglia, perché i reduci, del '77 prima e quelli degli anni di piombo poi hanno ormai conquistato lo Stato che tanto odiavano e lo hanno trasformato in una greppia da cui estrarre una comoda rendita.
Per anni abbiamo assistito allo spettacolo di ex fiancheggiatori della violenza extraparlamentare assumere ruoli sempre più rilevanti, in troppi ambiti della vita civile italiana, incistandosi nella politica dell'egemonia culturale portata vanti del PCI, arrivando a spadroneggiare nell'industria culturale ed ai vertici RAI come in Mediaset; abbiamo goduto del piacere di centinaia di "reduci" che, a frotte, operavano come sindacalisti; dulcis in fundo, abbiamo avuto ex-BR al Viminale e un'aula del Parlamento intitolata ad un baldo giovane, degno erede di tali signori, morto mentre cercava di ammazzare un carabiniere. Un numero impressionante di brigatisti e terroristi di varia risma lavorano in enti statali o sovvenzionati dallo Stato.
Adesso, alcuni degli esclusi da tanto ben di Dio hanno deciso di riprendere l'attività di quei "formidabili" anni.
Qualcuno a sinistra ha avuto un soprassalto di decenza; la maggior parte ha scatenato un uragano di distinzioni e teorie del complotto. Abbiamo parlamentari e leader di partito che neppure fingono di non sapere, ma giustificano apertamente i neo-brigatisti. Abbiamo compagni che fanno a gara a consolare, accorrere e soccorrere. Abbiamo una federazione della stampa che minaccia scioperi antiberlusconiani (continuando a mangiare nel piatto dove sputano, ovviamente), ma che non riesce a produrre che una stitica noterella anodina quando si tratta di difendere giornalisti dalle intenzioni omicide dei "compagni che sbagliano".
Ascoltiamo sindacalisti come Giorgio Cremaschi, pronto a declamare il proprio "garantismo" nei confronti dei sindacalisti latitanti, ma incapace di accettare le responsabilità del sindacato, di riconoscere come le "infiltrazioni" siano in realtà una conseguenza della ideologia dominante nel sindacato , della sua tolleranza per qualsiasi estremismo non solo verbale, in nome della "unità a sinistra", non certo il prodotto di fantomatici "complotti".
Credo che abbia centrato il punto Oggettivista, che sostiene che siamo moralmente indifesi rispetto al terrorismo. Questa sinistra quasi priva di un anticorpi verso la seduzione della violenza è il prodotto finale della resa politica e culturale italiana al collettivismo, la cui natura contraddittoria e totalitaria porta anche troppo spesso alla scelta dell'illusione data da una soluzione di forza.
L'unico modo per uscirne è comprendere quanto il terrorismo sia davvero un sintomo e non la causa; non si tratta di un qualche malessere curabile con lo statalismo, ma di un male generato dallo stesso delirio di onnipotenza collettivista, vera malattia che pretende d'essere panacea. Finché non abbandoniamo tali illusioni, saremo un manicomio dove i pazzi pretendono di curare i sani.
Per anni abbiamo assistito allo spettacolo di ex fiancheggiatori della violenza extraparlamentare assumere ruoli sempre più rilevanti, in troppi ambiti della vita civile italiana, incistandosi nella politica dell'egemonia culturale portata vanti del PCI, arrivando a spadroneggiare nell'industria culturale ed ai vertici RAI come in Mediaset; abbiamo goduto del piacere di centinaia di "reduci" che, a frotte, operavano come sindacalisti; dulcis in fundo, abbiamo avuto ex-BR al Viminale e un'aula del Parlamento intitolata ad un baldo giovane, degno erede di tali signori, morto mentre cercava di ammazzare un carabiniere. Un numero impressionante di brigatisti e terroristi di varia risma lavorano in enti statali o sovvenzionati dallo Stato.
Adesso, alcuni degli esclusi da tanto ben di Dio hanno deciso di riprendere l'attività di quei "formidabili" anni.
Qualcuno a sinistra ha avuto un soprassalto di decenza; la maggior parte ha scatenato un uragano di distinzioni e teorie del complotto. Abbiamo parlamentari e leader di partito che neppure fingono di non sapere, ma giustificano apertamente i neo-brigatisti. Abbiamo compagni che fanno a gara a consolare, accorrere e soccorrere. Abbiamo una federazione della stampa che minaccia scioperi antiberlusconiani (continuando a mangiare nel piatto dove sputano, ovviamente), ma che non riesce a produrre che una stitica noterella anodina quando si tratta di difendere giornalisti dalle intenzioni omicide dei "compagni che sbagliano".
Ascoltiamo sindacalisti come Giorgio Cremaschi, pronto a declamare il proprio "garantismo" nei confronti dei sindacalisti latitanti, ma incapace di accettare le responsabilità del sindacato, di riconoscere come le "infiltrazioni" siano in realtà una conseguenza della ideologia dominante nel sindacato , della sua tolleranza per qualsiasi estremismo non solo verbale, in nome della "unità a sinistra", non certo il prodotto di fantomatici "complotti".
Credo che abbia centrato il punto Oggettivista, che sostiene che siamo moralmente indifesi rispetto al terrorismo. Questa sinistra quasi priva di un anticorpi verso la seduzione della violenza è il prodotto finale della resa politica e culturale italiana al collettivismo, la cui natura contraddittoria e totalitaria porta anche troppo spesso alla scelta dell'illusione data da una soluzione di forza.
L'unico modo per uscirne è comprendere quanto il terrorismo sia davvero un sintomo e non la causa; non si tratta di un qualche malessere curabile con lo statalismo, ma di un male generato dallo stesso delirio di onnipotenza collettivista, vera malattia che pretende d'essere panacea. Finché non abbandoniamo tali illusioni, saremo un manicomio dove i pazzi pretendono di curare i sani.
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