lunedì, febbraio 19, 2007

Fiat e sindacati, marchette e sussidi: l'eterno ritorno

In Italia esistono cose che fanno dubitare della direzione del fluire del tempo; che essa sia circolare e non lineare e noi intrappolati in una pessima replica del "Giorno della marmotta".

Uno dei tratti peculiari della non compianta Prima Repubblica post-sessantottina e post-autunno caldo era la posizione peculiare della FIAT nel panorama economico italiano: anche dopo aver cessato di essere la più grande azienda privata italiana, il colosso di Torino aveva mantenuto una straordinaria preminenza, evidenziata in due comportamenti particolarmente odiosi a chi vorrebbe un'Italia più liberale.
Il primo era l'atteggiamento adulatorio dei media italiani e soprattutto della televisione, attenti a non mettere mai in cattiva luce gli Agnelli e la loro azienda principale. Gianni Agnelli divenne, anzi, il "re senza corona" d'Italia anche dal punto di vista mediatico: come un monarca, non venne quasi mai criticato apertamente dalla grande stampa e dalle televisioni.
Il secondo, la valanga di favoritismi di cui godeva FIAT, in cambio di una gestione delle risorse umane di fatto concordata con il neo-caporalato del sindacato metalmeccanici: il sindacato faceva ed otteneva cio' che voleva, almeno sul piano economico; il governo, in cambio, sovvenzionava FIAT: cassa integrazione e mobilità per gonfiare i livelli occupazionali, politiche fiscali, di trasporto e doganali che sembravano fatte apposta per favorire l'unico grande polo automobilistico italiano.

La crisi di Fiat ne ha ridotto drasticamente il peso specifico nel sistema economico e politico italiano, ma non lo ha mai del tutto eliminato, come paradossalmente esemplificato dalla vicenda di Lapo Elkann: mai sarebbe finita in pasto ai media, una generazione fa; mai sarebbe risorto tanto rapidamente, se non avesse avuto ancora le spalle abbondantemente coperte.

Con la ripresa industriale di cui Fiat è almeno temporaneamente protagonista, potremmo assistere ad una riedizione della "Monarchia" piemontese? Due di piccole cose, avvenute rispettivamente oggi e sabato, sembrano riportarci direttamente in quegli anni tutt'altro che formidabili e riproporre entrambi i fastidiosi comportamenti di cui si parlava.

Gianni Riotta, fresco direttore del TG1, ha imparato perfettamente come funzionano certi meccanismi e ce ne ha data una magistrale interpretazione. L'ex-ragazzo prodigio del Manifesto avrebbe dovuto essere un inflessibile fustigatore di ogni deviazione dal sacro dovere di cronaca, l'epuratore dell'epidemia di sicofanti berlusconiani; con un'agile capriola, il suo Tg1 ha propinato agli spettatori di TV7 una intervista a Sergio Marchionne nello stile da inginocchiatoio tipico delle interviste ai vertici Fiat degli anni di massima gloria. Una "marchetta" in piena regola: panegirico sulle immense doti del nuovo team di management, magnifiche sorti e progressiva di Fiat, elegante glissagigo sui motivi delle difficoltà precedenti. Sul finale, la rivendicazione di aver tagliato manager, ma quasi mai "colletti blu", come li ha definiti Marchionne, perché il problema non sarebbe stato di efficienza industriale, ma di cattiva leadership e mancanza di spinta commerciale e creativa.

Le parole di Marchionne suonano profondamente ironiche, di fronte alla seconda notizia, di oggi: 2mila operai in mobilità, a spese di Pantalone, a seguito di un accordo fra Fiat e Governo che ratifica quello fra Fiat e sindacati metalmeccanici. Ha un bello strillare Epifani, che prima usa i soldi del contribuente per colmare la differenza fra richieste sindacali e quelle dell'azienda, e poi si atteggia a Thatcher in trentaduesimo: è uno dei colpevoli, non un testimone impotente, di questo ennesimo assalto alla diligenza, guidata da un Romano Prodi, che alla FIAT e al sindacato ha fatto ben altri favori, in linea con la propria visione della società, tranquillamente definibile come "feudalesimo industriale".
Il documento recepisce le richieste del Gruppo e dei sindacati facendo riferimento "alla misura indicata" nell'accordo raggiunto tra Fiat e le confederazioni il 18 dicembre scorso. "Poi Fiat non chieda più nulla", ha commentato il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani.
Chi scrive ha un enorme rispetto per le doti dell'attuale AD di Fiat, doti dimostrate anche in altre occasioni tutt'altro che semplici. Eppure, rimane un sottile retrogusto amarognolo: che bisogno c'era, con una bella, vera storia di risanamento e rinascita industriale da raccontare, di ricorrere a certi mezzucci? Le cattive abitudini sono tanto dure a morire?


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