lunedì, gennaio 30, 2006

Geminello di giornata, su eredi imbecilli

Sia chiaro: mai mi permetterei neppure di pensare, al contrario di Geminello Alvi, ad una politica di esproprio organizzato.

Lui e' in fondo un ottimista, io invece, che mi faccio poche illusioni sui miei simili, immagino soltanto a quali abusi si possa prestare una qualsiasi politica coercitiva, nelle mani dei seguaci delle "migliori intenzioni".

Eppure, vedendo certi eredi, la tentazione di prendere misure drastiche sorge spontanea.

A mio parere, per redistribuire le ricchezze non servono patrimoniali da socialisti utopistici, ma un sano capitalismo, che, persino nelle parole del liberal John Kenneth Galbraith, rimane "il miglior metodo per separare uno stupido dal suo denaro".


La Repubblica fondata sul lavoro ha un’ economia incappata negli eredi

M’ero tanto bene perso, dove solo chi vuole perdere tempo si può smarrire, a Villa Borghese in una giornata fredda ma di un sole limpido che nemmeno in primavera. E me ne stavo distratto ripensando al perché del cielo senza nuvole, e della gran calma che c’è quando non si lavora o meglio lavorano solo la Natura e la memoria. Così ripensavo a certi miei amici, vecchi o morti, in vita inoperosi ma infine bei vecchi solenni. Quando per il vialetto lontano intravedo uno svolgersi di fogli che a prima vista parevano ali. Chi abbia avuto molti libri lasciati aperti in case ventose lo avrà sperimentato: sfogliati da una corrente d’aria paiono tanti uccelli, colombe con le ali bianche come nello sbattimento di un volo. Persino un libro noioso ritorna allora a un’essenza, libera, nella sorpresa. Ma quello lasciato su una panchina era un rotocalco di quelli acclusi ai giornali. E dove ti vado a mettere il piede: proprio sopra un erede.

L’articolo intervistava, suppongo, i figli dei ricchi ovvero gli eredi dei capitalisti più reclamati. Ed eccoli questi discendenti, di cui non faremo il nome; non per viltà, che anzi col dire quanto dico penso di riferirmi purtroppo alla maggioranza tra loro. Anche perché li ho visti quasi sempre come in queste foto: bruttini, con la sciarpa annodata alla araba sopra la giacca, i capelli cotonati, intrisi di luce plasticata. Soprattutto come anchilosati, in difetto di un vero rilassarsi o gioire, lunari, temo in decadenza senza aver conosciuto la civiltà. Neppure i ricchi sono quelli di una volta. A questi figli mancano sempre due centimetri di manica della giacca e di arguzia nelle parole. Quanto alle donne ritratte: come sopra; soltanto ancora più, se possibile, nervose dei maschi, in maggior urgenza di intervista perpetua. Certe giovani industriali, che spiegano alla nazione cosa deve fare, danno l’idea di essere ormai tenute per il collo da un collare elettrico che gli dà la scossa.

Già sarebbe ovvio: se qualcuno sa fare l’industriale non va a perdere tempo in chiacchiere politiche ma lavora. E una volta erano solo i fratelli tonti a occuparsi dei sindacati dei ricchi. Ma nei decenni trascorsi almeno restavano soli. Adesso invece parlano al mondo, pur sapendo dire anche meno degli altri. E intanto tu, greve giardiniere che stai spalando qui davanti, non solo ti trovi più povero di salari per quanto costoro e i sindacati loro complici ti hanno levato. Ti tocca pure di lasciarti fare la morale. Da chi? Da un erede coi capelli lisciati, e che è tutto desiderio di parlare di competitività e sfide coi cinesi. Di sfide che sono poi sempre degli altri, mai le loro. Perché loro hanno ereditato: sono un’aristocrazia venale. Pure questo assurdo: fare di un’impresa un’eredità, un nesso di sangue. Ma cosa c’è di più opposto al buon senso. Napoleone l’aristocrazia se la sceglieva in battaglia, nella mostra del coraggio. Questi, anche solo di fare a cazzotti, non se ne parla. Sono in scarpina ben annodata e in pubblicità permanente. Ma se non mostrano quasi mai talento, perché devono pure ereditare la guida di fabbriche o presidenze o consimili poltrone?

Chi è sano i soldi li spende

Non c’è un perché. Ci penso e ci ripenso, non c’è. E infatti io li esproprierei. Non solo ristabilirei, sopra il milione di euro di patrimoni, una tassa severa sulle eredità. L’unica cosa che mi dà fastidio è che se la prenderebbe lo stato o un comune come questo qui, a Roma. Dove invece di accomodare le strade a via Nazionale, si spende per le notti in bianco. Ma il di più di tasse potrebbe conferirsi anche a delle fondazioni scolastiche o a ospedali. Ma non dovrebbero lasciarsi a costoro le imprese. Il problema della successione nelle imprese familiari è uno dei problemi della nostra economia. Chi ha i soldi, se è sano, sarebbe nato infatti per spenderli tutti, fino all’ultimo. Se vuole accumularne degli altri deve dirsi malato. Non solo. Ma non è detto che ci riesca, il denaro non è creazione dell’eugenetica. Anzi la cupidigia sovente dipende da quanti morti di fame si hanno tra i propri antenati, dalla paura che atavismi e penurie, senza amore fissano nel sangue. Perché può dirsi ricco chi ha molti amici, e fa del bene. Povero chi invece deve sempre pensare ai soldi, perché ne ha pochi o troppi . Ed è palesemente una povera anima, se ci pensa da giovane e ricco. Insomma gli eredi andrebbero diseredati per essere meglio protetti da se stessi.

Il socialismo utopistico, che è poi quello serio, prima dell’altro pervertito dalle inversioni dialettiche di Marx, infatti chiedeva questo. E anche altri nel secolo scorso pensavano di affidare le imprese dopo la morte dei loro fondatori, a dei collegi di imprenditori che nominassero imprenditori veri, non finti come ora questi nervosi giovani noiosi. E del resto molti dei loro padri sono a loro volta eredi. Insomma l’utopia sarebbe lasciargli casa e patrimonio tosato da doni coatti a fondazioni. Ma non le imprese. Anche perché hanno stancato; e a sentirli parlare di economia, pure a un’anima contemplante, come la mia, vengono da scrivere cattiverie. Che del resto pensano pure altri. Ma chi scrive sui giornali bada alla carriera, ed è in pace con sé solo quando dei figli dei ricchi parla bene. Invece, mi sentirei di parlar bene solo di quelli che cambiano mestiere e i soldi li spendono in collezioni di farfalle, vite non venali. Poco importa. Ricordo a Basilea la splendida collezione di coleotteri di un erede. Meglio queste minute vite volanti che le imprese.

Geminello Alvi (Il foglio, 28 Gennaio 2006)

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