Sto leggendo Il costo della democrazia, scritto a due mani da Cesare Salvi e M.Villone, senatori Ds e professori di diritto.
il libro e' pubblicato da Mondadori (l'ennesima prova evidente del regime totalitario in cui i compagni sono costretti a vivere - la casa editrice del premier si permtte persino di stamparne i libri, che orrore!).
Buona parte dell'analisi che S&V svolgono della politica, dei costi sempre maggiori per le casse dello stato e della indebita proliferazione di cariche elettive retribuite , consulenze misteriose ed altro e' assolutamente corretta e condivisibile, soprattutto nella parte che tratta delle modifiche al codice Rocco: e' ora di rendere di nuovo rigorose le norme che puniscono comportamenti clientelari.
E' altamente istruttiva la documentazione sul malaffare imperante anche fra forze politiche nuove e "rinnovate", di entrambi gli schieramenti, appena arrivano alla greppia.
Mi trovo del del tutto d'accordo, inoltre, sulla necessita' di attuare un vero federalismo fiscale: le spese delle Regioni debbono essere davvero pagate dai cittadini di una regione e cosi' deve valere per tutti i livelli di Governo; aggiungo che cio' a parer mio andrebbe svolto attraverso imposte che rendano ben evidente a chi vadano i denari estorti al contribuente. La mancata riforma delle entrate fiscali per attuare anche in quel ramo il federalismo e' stata una delle maggiori pecche di questo Governo
Tuttavia, alcune delle soluzioni proposte e la narrazione della storia delle riforme tradiscono una concezione etica dello Stato ed una totalizzante ed idealistica della politica, la stessa che ci ha portati dove siamo.
Salvi propone, di fatto, due tipi di misure: arginare il malaffare degli eletti tramite il ritorno alla partitocrazia da un lato; reintrodurre pesanti sanzioni penali e cercare di isolare la pubblica amministrazione dall'influenza politica, dall'altro.
Non credo che si tratti di soluzioni praticabili e neppure desiderabili.
In primo luogo, non credo che affidare a funzionari di partito il bottino derivante dal finanziamento pubblico sia maggior garanzia di moralita' rispetto all'attuale sistema, che perlomeno ha i pregio di mettere nome e cognome ai ladri.
Non condivido neppure la critica strisciante che Salvi porta in piu' di un'occasione all'ampliamento del numero di cariche elettive, critica che nasce dalla sorprendente preoccupazione che gli eletti siano troppo indipendenti dai partiti; la partitocrazia degli anni '70 e '80 non era sicuramente un regime pulito!
In realta' credo che in Italia non si stia assistendo tanto ad una crescita del "costo della politica", quanto, finalmente, all'emersione degli stessi costi.
Mi spiego: non e' che in regime partitocratico si rubasse meno; si poteva tuttavia rubare in maniera piu' centralizzata e dietro le quinte. Le attuali modalita' di elezione diretta, invece, lasciano nella disponibilita' di chi riceve il mandato la possibilita' di autoassegnarsi prebende, facolta' ampiamente sfruttata. In precedenza, tale "surplus" veniva consegnato ai vertici del partito, che provvedevano alla distribuzione all'interno.
Siamo alle fasi iniziali: il cittadino e' abituato a prendersela con il partito o la coalizione che imponevano certe scelte. Piano piano, la stampa comincera' forse a fare il proprio lavoro ed i cittadini a ricordare nome e congnome dei propri rappresentanti, in modo da chieder conto di sprechi e ruberie.
La vera soluzione , ovviamente mai neppure ipotizzata da Salvi, e' togliere potere di sottogoverno dalle mani dei politici, eliminando proprio il sottogoverno: senza soldi e senza poltrone e' difficile finanziare corruzione e clientelismo.
Fino a quel momento, rassegniamoci: i politici sono persone come tutti, che fanno il proprio interesse; senza un meccanismo di mercato che allinei gli interessi dei politici a quelli degli elettori-utenti, i farabutti possono continuare impunemente ad approfittarne.
La privatizzazione unita ad una seria deregolamentazione e' la vera, unica alternativa alla lottizzazione.
il libro e' pubblicato da Mondadori (l'ennesima prova evidente del regime totalitario in cui i compagni sono costretti a vivere - la casa editrice del premier si permtte persino di stamparne i libri, che orrore!).
Buona parte dell'analisi che S&V svolgono della politica, dei costi sempre maggiori per le casse dello stato e della indebita proliferazione di cariche elettive retribuite , consulenze misteriose ed altro e' assolutamente corretta e condivisibile, soprattutto nella parte che tratta delle modifiche al codice Rocco: e' ora di rendere di nuovo rigorose le norme che puniscono comportamenti clientelari.
E' altamente istruttiva la documentazione sul malaffare imperante anche fra forze politiche nuove e "rinnovate", di entrambi gli schieramenti, appena arrivano alla greppia.
Mi trovo del del tutto d'accordo, inoltre, sulla necessita' di attuare un vero federalismo fiscale: le spese delle Regioni debbono essere davvero pagate dai cittadini di una regione e cosi' deve valere per tutti i livelli di Governo; aggiungo che cio' a parer mio andrebbe svolto attraverso imposte che rendano ben evidente a chi vadano i denari estorti al contribuente. La mancata riforma delle entrate fiscali per attuare anche in quel ramo il federalismo e' stata una delle maggiori pecche di questo Governo
Tuttavia, alcune delle soluzioni proposte e la narrazione della storia delle riforme tradiscono una concezione etica dello Stato ed una totalizzante ed idealistica della politica, la stessa che ci ha portati dove siamo.
Salvi propone, di fatto, due tipi di misure: arginare il malaffare degli eletti tramite il ritorno alla partitocrazia da un lato; reintrodurre pesanti sanzioni penali e cercare di isolare la pubblica amministrazione dall'influenza politica, dall'altro.
Non credo che si tratti di soluzioni praticabili e neppure desiderabili.
In primo luogo, non credo che affidare a funzionari di partito il bottino derivante dal finanziamento pubblico sia maggior garanzia di moralita' rispetto all'attuale sistema, che perlomeno ha i pregio di mettere nome e cognome ai ladri.
Non condivido neppure la critica strisciante che Salvi porta in piu' di un'occasione all'ampliamento del numero di cariche elettive, critica che nasce dalla sorprendente preoccupazione che gli eletti siano troppo indipendenti dai partiti; la partitocrazia degli anni '70 e '80 non era sicuramente un regime pulito!
In realta' credo che in Italia non si stia assistendo tanto ad una crescita del "costo della politica", quanto, finalmente, all'emersione degli stessi costi.
Mi spiego: non e' che in regime partitocratico si rubasse meno; si poteva tuttavia rubare in maniera piu' centralizzata e dietro le quinte. Le attuali modalita' di elezione diretta, invece, lasciano nella disponibilita' di chi riceve il mandato la possibilita' di autoassegnarsi prebende, facolta' ampiamente sfruttata. In precedenza, tale "surplus" veniva consegnato ai vertici del partito, che provvedevano alla distribuzione all'interno.
Siamo alle fasi iniziali: il cittadino e' abituato a prendersela con il partito o la coalizione che imponevano certe scelte. Piano piano, la stampa comincera' forse a fare il proprio lavoro ed i cittadini a ricordare nome e congnome dei propri rappresentanti, in modo da chieder conto di sprechi e ruberie.
La vera soluzione , ovviamente mai neppure ipotizzata da Salvi, e' togliere potere di sottogoverno dalle mani dei politici, eliminando proprio il sottogoverno: senza soldi e senza poltrone e' difficile finanziare corruzione e clientelismo.
Fino a quel momento, rassegniamoci: i politici sono persone come tutti, che fanno il proprio interesse; senza un meccanismo di mercato che allinei gli interessi dei politici a quelli degli elettori-utenti, i farabutti possono continuare impunemente ad approfittarne.
La privatizzazione unita ad una seria deregolamentazione e' la vera, unica alternativa alla lottizzazione.