mercoledì, gennaio 07, 2009

Analfabetismi comunali?

Pubblicato su Giornalettismo

Secondo la vulgata corrente, i Comuni italiani sarebbero nei guai a causa delle spericolate operazioni effettuate sui derivati. Almeno, questo è quello che raccontano inchieste e articolesse dei giornali. Ma se la realtà fosse un’altra?

E’ inutile sperare che le volpi finiscano dietro le sbarre, se ad inseguirle sono degli asini e non dei segugi. Ci voleva il quotidiano Daily Telegraph, che riporta l’ennesimo scandalo nei rapporti fra banche ed enti locali, per riuscire a descrivere chiaramente la natura della presunta frode, senza cercare feticci, fare del luddismo finanziario accusando i “derivati cattivi” e mettendo sotto accusa il capitalismo tutto. Di “cattivi“, in questa storia, ci sarebbero delle persone, se venissero condannate: i funzionari comunali in Italia ed i banchieri di mezza Europa con cui hanno chiuso certi affari, con l’aggiunta dei politici che non hanno voluto o saputo sottoporre le proprie relazioni con certe banche, certi banchieri e certi consulenti ad una disciplina di mercato. Non certo gli strumenti che hanno impiegato, per loro natura neutri, al di là di certe teorie feticiste o New Age per cui a commettere azioni sarebbero gli oggetti e non gli individui. La polemica sui derivati in Italia si è rapidamente sgonfiata, anche a causa della rappresentazione distorta e a tratti dilettantesca che ne hanno dato i media: ricordiamo certi articoli di “Libero” e certe uscite de l’Espresso, volti soprattutto a demonizzare gli strumenti derivati ed ignorando i veri problemi della gestione finanziaria degli enti locali; o, peggio ancora, certe puntate di Report, filmate con la verve e la competenza di una Guardia Rossa o di Hanoi Jane Fonda.

CAPITALISMO INFAME - Una campagna che non soltanto ha sbagliato a descrivere il movente e l’arma del “delitto“, ma ha trascurato la vittima maggiore, le piccole e medie imprese. D’altronde, si sa, sono soltanto imprese e, per i “progressisti” di Report, meritevoli ipso facto di fallire. Nel caso del Comune di Milano, le accuse rivolte riguardano le modalità di gestione del rimborso di un bond e, forse, l’ammontare delle commissioni pagate. Lo scandalo esiste, ma parrebbe riguardare molto poco i derivati e molto di più la classica fregatura da avvocati, scritta nelle clausole minori del contratto. Sarebbe bastato documentarsi, come hanno fatto gli inglesi, invece di cavarsela gridando all’untore. Evidentemente il Comune di Milano e certi iscritti all’Ordine dei Giornalisti condividono la medesima opinione sulla necessità di leggere i documenti: nessuna. I debiti degli enti locali sono stati tradizionalmente costruiti in maniera simile al normale mutuo immobiliare impiegato dalle famiglie per acquistare una casa: il capitale preso in prestito viene ripagato nel tempo, insieme agli interessi dovuti. Il motivo è parzialmente di origine storica: sino a poco tempo fa, la maggiore fonte di finanziamento per erano i mutui della Cassa Depositi e Prestiti, che impiegava il risparmio postale per acquistare debito pubblico e finanziare gli “investimenti“ locali . Nel caso ve lo chiediate: sì, i soldi del vostro conto corrente postale sono serviti anche a finanziare il Laurentino 38, un paio di ecomostri e le gioie che le amministrazioni Bassolino e Russo Iervolino hanno regalato a Napoli. Ora che l’Italia non è più considerata una nazione del Terzo Mondo finanziario e che i Comuni si degnano talvolta di pagare fornitori e creditori, si sono aperti nuovi canali di finanziamento; anche quando il rimborso del finanziamento non avviene nelle modalità tradizionali, le norme e la prassi fanno sì che l’ente locale costituisca comunque un fondo di ammortamento del debito, nel quale venga versata annualmente una quota del capitale, in modo da garantire l’estinzione completa del prestito alla sua scadenza. Non si tratta in realtà di un meccanismo particolarmente efficiente: è un mezzo crudo per cercare di disciplinare la gestione finanziaria degli enti locali, tenendo conto della competenza finanziaria pressoché nulla presente nel ceto politico od in quello amministrativo. Un ente locale, soprattutto se poco indebitato, potrebbe semplicemente limitarsi a pagare gli interessi ed una parte minore del capitale, rifinanziando il pagamento del capitale tramite l’emissione di nuovo debito e, idealmente, ad impiegare il fondo di ammortamento o le disponibilità liquide per riacquistare il proprio debito nel caso si presentino condizioni vantaggiose.

UNA FIRMA, PLEASE - E’ il metodo di gestione del debito applicato di fatto anche dal governo centrale, il cui fondo di ammortamento agisce in maniera simile a quella descritta. Negli anni’90, anche alla luce dell’entrata nella UE, si aprì la possibilità di investire anche in titoli governativi di altre nazioni europee e di affidarsi ad un gestore professionale per la gestione dell’investimento dei fondi di ammortamento. Alcuni enti locali, fra cui il Comune di Milano, hanno quindi affidato la gestione del fondo di ammortamento alle stesse banche che hanno prestato loro denaro o che hanno collocato loro obbligazioni. Qui è nato il problema: il contratto firmato per la gestione del fondo alle banche sarebbe estremamente vantaggioso per le banche e decisamente rischioso per gli enti locali. A quanto pare, il Comune era convinto di stare affidando il fondo di ammortamento ad una gestione prudente con un obbiettivo di rendimento specificato. Nei fatti, il contratto autorizzava le banche coinvolte ad investire l’equivalente dell’intero ammontare del prestito come meglio aggradava loro, riconoscendo al comune al massimo il coefficiente di rendimento accordato e tenendosi ogni potenziale extra-rendimento. In caso di perdite che avessero intaccato il capitale, sarebbe stato obbligo dell’ente locale reintegrare il fondo al momento del rimborso delle obbligazioni. Testa, vinco io scommettendo i tuoi soldi e ti pago qualcosina per il disturbo; croce, perdi tu e ci devi mettere la differenza. Cosa c’entra tutto questo con i 300 milioni di “perdite per derivati” descritti da un blog de l’Espresso, su commissione del PD, qualche tempo fa? Poco o nulla, anche se fanno invece riferimento ad un altro “scandalo“, molto più ampio ed altrettanto poco compreso. Le commissioni pagate risultano sicuramente elevate (fra il 4,6% ed il 4,9% dell’ammontare nozionale del prestito), ma la polemica sulle “perdite” nozionali sul derivato è fuorviante: il contratto swap si limita a trasformare il tasso pagato da fisso a variabile e per paradosso riporta il profilo di rischio del prestito in linea con quello degli strumenti offerti dalla CDP: le minusvalenze esistono a fronte delle plusvalenze inespresse o del mancato aumento dei costi sul lato dell’approvvigionamento dei fondi. Se, invece, i 300 milioni si rifanno alle perdite che il Comune ha dovuto sopportare a seguito delle strategie di investimento del fondo di ammortamento, perché tirare in ballo i derivati?


DISTRAZIONI FATALI - La perdita deriva da un contratto-capestro, non da uno strumento derivato, per quanto di moda siano al momento. Quasi ogni contratto fra enti locali e banche d’affari per ristrutturazione del debito è, di fatto, unico : in teoria, per meglio adattarsi alle esigenze del cliente, in pratica per motivi anche meno confessabili: aumentare le commissioni ben oltre la best practice del settore, “rifilare” agli enti locali operazioni il cui profilo è più adatto all’eliminazione del rischio dal bilancio dell’intermediario bancario, più che da quello dell’ente locale suo cliente, alterare il profilo dei pagamenti in maniera tale che l’amministrazione in carica possa spendere risorse il cui onere ricadrà più avanti nel tempo, sulle amministrazioni seguenti. Poco o nulla di queste motivazioni sono state purtroppo esposte dai nostri media, più interessati a crocifiggere (giustamente) le banche che a preoccuparsi di documentare le proprie accuse o verificare le responsabilità politiche e non solo paragiudiziarie degli amministratori locali: a certi compagni è meglio far fare la figura dei fessi, piuttosto che di quelli anche troppo furbi? Un’altro interrogativo che i cittadini dovrebbero porsi è perché mai nessuno, per un motivo od un altro, ha mai pensato di affidare la valutazione delle offerte di certi strumenti finanziari impiegati ad una società terza, visto l’uso ed abuso di perizie per altri campi della cosa pubblica? Alcune delle transazioni effettuate dagli Enti locali gridano allo scandalo persino quando vengono analizzate con carta e penna, senza neppure ricorrere ad un computer. A cosa serve la pletora di “consulenti” che compaiono nella documentazione di certe operazioni? Soltanto ad evitare che gli amministratori locali si sporchino le mani in prima persona, evitando di fare la fine che rischiano Del Turco e soci, in Abruzzo?

Template Designed by Douglas Bowman - Updated to Beta by: Blogger Team
Modified for 3-Column Layout by Hoctro. Credits: Daryl Lau, Phydeaux3